2
Verso Comporellen
V
Piovigginava. Trevize guardò il cielo che era una distesa compatta e grigiastra.
Portava un cappello impermeabile che respingeva le gocce e le faceva schizzare lontano dal suo corpo, in ogni direzione. Pelorat, tenendosi fuori dal raggio degli schizzi, non sfruttava una protezione identica.
«Non vedo perché vuoi proprio bagnarti, Janov.»
«Bagnarmi non mi dà fastidio, caro amico» replicò Pelorat con la solita espressione solenne. «È una pioggia lieve e tiepida. Non c’è un alito di vento. E poi, per citare il vecchio detto: “Su Anacreon, fa’ come gli anacreoniani”.» Indicò i gaiani che accanto alla Stella lontana osservavano silenziosi l’astronave. Stavano ordinatamente sparsi, come gli alberi di un boschetto gaiano e nessuno indossava cappelli protettivi.
«Immagino che non gli dispiaccia bagnarsi» osservò Trevize «perché l’intera Gaia si bagna. Le piante, l’erba, il terreno: tutto bagnato e tutto parte di Gaia, compresi gli abitanti.»
«Non c’è nulla di illogico. Presto tornerà il sole e tutto si asciugherà in fretta. Gli indumenti non faranno grinze né si restringeranno, non c’è freddo e, dato che non ci sono microrganismi patogeni inutili, nessuno prenderà il raffreddore, l’influenza o la polmonite. Perché preoccuparsi per un po’ di umidità, dunque?»
Trevize non ebbe difficoltà a cogliere la logica del discorso, ma non gli andava affatto l’idea di interrompere le proprie rimostranze. «Comunque, non era necessario che piovesse proprio mentre partiamo. Dopotutto la pioggia è volontaria, dipende da Gaia. Ecco, sembra che il mondo mostri il suo disprezzo per noi.»
«Forse» disse Pelorat con un fremito del labbro «Gaia piange per il dispiacere della nostra partenza.»
«Può darsi, io non piango di certo.»
«In realtà, è probabile che il terreno in questa zona abbia bisogno di essere innaffiato e che questo bisogno sia più importante del tuo desiderio di sole.»
Trevize sorrise. «Ho l’impressione che questo mondo ti piaccia davvero, sbaglio? Anche non tenendo conto di Bliss, intendo dire.»
«Sì, mi piace» rispose Pelorat leggermente sulla difensiva. «La mia è sempre stata un’esistenza tranquilla e ordinata: pensa a come mi troverei qui, con un mondo intero che opera per mantenere la quiete e l’ordine. Dopotutto, Golan, quando costruiamo una casa o un’astronave come quella, cerchiamo di creare un rifugio perfetto. Lo forniamo di tutte ciò di cui abbiamo bisogno; facciamo in modo che la temperatura, l’aerazione, l’illuminazione e così via siano controllate da noi e predisposte in modo da rendere l’ambiente perfettamente adatto alle nostre esigenze. Gaia è solo un ampliamento del desiderio di comodità e sicurezza esteso a un pianeta intero. Che c’è di male in questo?»
«Che c’è di male? C’è che la mia casa o la mia astronave sono costruite per adattarsi a me, non sono io a dovermi adattare. Se facessi parte di Gaia e il pianeta cercasse il più possibile di venire incontro alle mie esigenze, mi disturberebbe comunque il dovermi piegare, almeno in parte, alle esigenze globali.»
Pelorat increspò le labbra. «Si potrebbe ribattere che ogni società modella i propri componenti perché si adeguino a essa. In una società nascono consuetudini legittime che vincolano ogni individuo ai bisogni generali.»
«Nelle società che conosco ci si può ribellare. Ci sono eccentrici, perfino criminali.»
«Ti piacciono gli eccentrici e i criminali?»
«Perché no? Noi due siamo eccentrici. Sicuramente non siamo due esempi tipici per gli abitanti di Terminus. E per quanto riguarda i criminali, è una questione di definizione. Se i criminali sono il prezzo che dobbiamo pagare per avere ribelli eretici e geni, ebbene io sono disposto a pagarlo. Anzi, pretendo di pagarlo.»
«I criminali l’unico prezzo possibile? Non si possono avere dei geni anche senza pagare lo scotto dei delinquenti?»
«No, l’esistenza di santi e uomini geniali presuppone che vi sia uno spazio per le persone che si discostano abbondantemente dalla norma. Non vedo come sia possibile arrivare a questi elementi se nessuno si spinge oltre la linea che delimita lo status quo. In ogni caso, non mi basta sapere che Gaia sia la versione planetaria di una casa comoda. Voglio una ragione più valida per la mia decisione di adottare questo modello per il futuro dell’umanità.»
«Caro amico, non cercavo di convincerti della bontà della tua decisione. Mi limitavo a osserv...»
Pelorat si interruppe. Bliss avanzava verso di loro, i capelli bagnati, la tunica che aderiva al corpo mettendo in risalto l’ampiezza generosa dei fianchi.
«Mi dispiace di avervi trattenuto più del necessario» disse trafelata. «Il colloquio con Dom è durato più del previsto.»
«Eppure, tu sai tutto quello che Dom sa» disse Trevize.
«A volte c’è una differenza di interpretazione. Non siamo identici, in fin dei conti, così discutiamo. Senti,» disse Bliss leggermente irritata «tu hai due mani. Fanno parte di te e sembrano identiche, a parte il fatto di essere ognuna l’immagine speculare dell’altra. Eppure non le usi esattamente nello stesso modo, no? Certe cose le fai quasi sempre con la destra, altre con la sinistra. Differenze di interpretazione, per così dire.»
«Ti ha inchiodato» commentò Pelorat con palese soddisfazione.
Trevize annuì. «Un’analogia efficace, se fosse pertinente e non sono del tutto sicuro che lo sia. In ogni caso, questo significa che adesso possiamo finalmente salire a bordo? Sta piovendo.»
«Sì, sì. I nostri sono scesi tutti e l’astronave è sistemata alla perfezione.» Poi, all’improvviso, guardando incuriosita Trevize, Bliss disse: «Sei asciutto. Le gocce di pioggia non ti colpiscono».
«Certo. Evito di bagnarmi, io.»
«Non è bello bagnarsi di tanto in tanto?»
«Bellissimo, ma io devo scegliere il momento. Non deve dipendere dalla pioggia.»
Bliss alzò le spalle. «Be’, come preferisci. I nostri bagagli sono a bordo. Saliamo.»
S’incamminarono verso la Stella lontana. La pioggia era sempre più lieve ma l’erba era fradicia. Trevize si ritrovò a muoversi con passi guardinghi, ma Bliss si era tolta le ciabatte che ora aveva in mano e sguazzava scalza nell’erba.
«È delizioso» disse rispondendo all’occhiata significativa di Trevize.
«Bene» fece lui distrattamente. Poi con una punta di irritazione: «Perché quei gaiani se ne stanno qui intorno, si può sapere?».
«Stanno registrando l’avvenimento, che Gaia giudica importantissimo» rispose Bliss. «Per noi sei importante, Trevize. Pensa: se dopo questo viaggio dovessi cambiare idea e decidere contro di noi, non diventeremmo Galaxia e non sopravviveremmo nemmeno come Gaia.»
«Dunque rappresento la vita o la morte per l’intero mondo.»
«Crediamo di sì.»
Trevize si arrestò di colpo e si levò il cappello. Nel cielo si aprivano squarci d’azzurro. «Ma adesso avete il mio voto favorevole. Se mi ucciderete, non potrò cambiarlo.»
«Golan» mormorò Pelorat scioccato. «Che cosa terribile hai detto.»
«Tipico di un isolato» osservò Bliss con calma. «Devi capire, Trevize, che non ci interessi come persona, né ci interessa il tuo voto ma solo la verità, la realtà dei fatti. Sei importante come tramite per arrivare alla verità e per un voto che la esprima. È questo che vogliamo; se ti uccidessimo per evitare una modifica del voto, non faremmo altro che nascondere la verità a noi stessi.»
«Se vi dirò che la verità è sfavorevole a Gaia, accetterete allegramente di morire?»
«Forse non proprio allegramente, ma quasi.»
Trevize scosse il capo. «Quest’affermazione dovrebbe convincermi che Gaia è un orrore e merita di morire.» Poi, tornando a guardare i gaiani che osservavano pazientemente (e, senza dubbio, ascoltavano), continuò: «Perché sono sparsi in quel modo e come mai ne occorrono tanti? Se un osservatore assiste all’avvenimento e lo immagazzina nella sua memoria, il ricordo non è disponibile per il resto del pianeta? Non può essere depositato in qualsiasi posto, se volete?».
«Ognuno di loro» rispose Bliss «osserva l’avvenimento da una prospettiva diversa e ognuno di loro lo deposita in un cervello leggermente diverso. Quando tutte le osservazioni verranno studiate, il fenomeno risulterà maggiormente comprensibile esaminando la totalità delle osservazioni invece di una qualsiasi presa singolarmente.»
«In altre parole, l’intero è superiore alla somma delle parti.»
«Sì, hai colto il motivo fondamentale dell’esistenza di Gaia. Tu, come individuo umano, sei composto da cinquanta trilioni di cellule. Come individuo multicellulare sei più importante della somma individuale delle cellule. Su questo sarai d’accordo, mi auguro.»
«Sì, sono d’accordo.»
Trevize salì a bordo dell’astronave e si voltò un istante per rivolgere un ultimo sguardo a Gaia. La breve pioggia aveva conferito una nuova freschezza all’atmosfera. Trevize vide un mondo verdeggiante, rigoglioso, tranquillo, pacifico: un’oasi di serenità fra i tumulti di una galassia stanca.
E Trevize si augurò di cuore di non rivederlo mai più.
VI
Quando il portello si chiuse alle loro spalle, Trevize ebbe la sensazione di aver escluso, se non un incubo, almeno qualcosa di anormale che gli aveva impedito di respirare liberamente.
Si rendeva conto che un elemento dell’anomalia era ancora con lui, incarnato da Bliss. Se c’era lei, c’era anche Gaia... Tuttavia Trevize era anche convinto che la presenza di Bliss fosse essenziale. Era un altro responso della scatola nera e lui sperava di non cominciare a credere troppo in quell’artificio.
Si guardò intorno, osservando l’astronave e la trovò bellissima. Era sua da poco, da quando il sindaco Harla Branno della Fondazione l’aveva costretto a imbarcarsi e lo aveva spedito fra le stelle. Un parafulmine vivente destinato ad attirare gli strali di quelli che la Branno considerava nemici della Fondazione. L’impresa era stata ultimata ma l’astronave era ancora sua e non intendeva restituirla.
Era diventata sua pochi mesi prima, ma ormai gli sembrava casa sua e ricordava solo in modo vago cos’era stata un tempo la sua abitazione su Terminus.
Terminus! Il perno decentrato della Fondazione, destinato, secondo il Piano Seldon, a formare un secondo e più grande impero nel corso dei prossimi cinque secoli. Peccato che Trevize avesse mandato a monte tutto. Con la sua decisione stava minando la Fondazione e contribuendo all’edificazione di una nuova società o di un nuovo sistema di vita, una spaventosa rivoluzione che si sarebbe rivelata il fenomeno più ampio e sconvolgente da quando si era evoluta la vita multicellulare.
Ora si preparava a un viaggio che avrebbe dimostrato la validità della sua scelta (o l’avrebbe confutata).
Si accorse di essersi bloccato nei propri pensieri e si scosse irritato. Si affrettò a raggiungere la sala comandi e notò che il suo computer era ancora là.
Luccicava; tutto luccicava. La pulizia era stata accurata. I contatti che toccò, quasi a caso, funzionavano alla perfezione, anzi sembrava che fossero ancor più morbidi e scorrevoli di prima. Il sistema di ventilazione era così silenzioso che Trevize dovette posare la mano sulle feritoie per sentire il flusso d’aria.
Il cerchio luminoso sulla scrivania brillava invitante. Trevize lo toccò e la luce si diffuse sul ripiano del tavolo, finché apparvero i contorni di una mano destra e di una sinistra. Inspirò profondamente e si rese conto di aver trattenuto il respiro per qualche istante. I gaiani non sapevano nulla della tecnologia della Fondazione e avrebbero potuto danneggiare il computer senza volerlo. Finora, nessun danno: le sagome c’erano ancora.
La prova cruciale consisteva nell’appoggiare le proprie mani su quelle elettroniche. Trevize ebbe un attimo di esitazione, ma avrebbe capito subito se qualcosa non andava. In tal caso, che cosa poteva fare? Se ci fosse stato bisogno di riparazioni, sarebbe dovuto tornare su Terminus dove il sindaco Branno gli avrebbe impedito di ripartire. E se non fosse ripartito...
Il cuore batteva forte, inutile prolungare deliberatamente la tensione.
Tese le mani in avanti e le posò nei contorni tracciati sulla scrivania. Ebbe subito l’impressione che un altro paio di mani stringesse le sue. I sensi si estesero e Trevize vide Gaia in tutte le direzioni, verdeggiante e umida; poi vide i gaiani che ancora osservavano. Quando sollevò lo sguardo con uno sforzo di volontà, vide un cielo nuvoloso. Altro intervento della volontà e le nubi svanirono, dopo di che si ritrovò a contemplare una distesa ininterrotta di cielo azzurro, con il disco filtrato del sole di Gaia.
Poi, sempre dietro suo comando, la distesa azzurra lasciò il posto alle stelle.
Trevize le fece scomparire e vide la galassia, simile a una girandola osservata in prospettiva. Controllò l’immagine computerizzata, regolandone l’orientamento e alterando l’apparente sfasamento temporale. Prima la fece ruotare in un senso, poi in quello opposto. Individuò il sole di Sayshell, la stella più importante vicino a Gaia; quindi il sole di Terminus e di Trantor, uno dopo l’altro. Viaggiò di stella in stella grazie alla mappa galattica racchiusa nelle viscere del computer.
Infine staccò le mani, lasciando che il mondo reale lo circondasse di nuovo e si rese conto di essere in piedi, chino sul computer per il contatto manuale. Si sentiva rigido e prima di sedersi dovette stendere i muscoli del dorso.
Fissò il computer con una calda sensazione di sollievo. Funzionava perfettamente. Anzi, la sua sensibilità sembrava aumentata e Trevize provò verso la macchina qualcosa di definibile solo con la parola “amore”. Dopotutto, quando stringeva le mani sulla scrivania (di fronte a se stesso rifiutò di ammettere che le considerava mani femminili), lui e il computer si fondevano e la volontà di Trevize controllava un insieme più grande, ne faceva parte, viveva un’esperienza particolare. Insieme al computer provava su scala ridotta – rifletté d’un tratto, turbato – quello che Gaia provava su scala planetaria.
Scosse il capo. No! In questo caso era lui, Trevize, a controllare completamente la situazione. Il computer aveva un ruolo totalmente passivo.
Si alzò, spostandosi nella piccola cambusa che fungeva anche da sala da pranzo. C’erano abbondanti scorte alimentari di ogni genere, con tutti gli impianti di refrigerazione e cottura occorrenti. Aveva già notato che i suoi videolibri erano riposti ordinatamente nella cabina personale ed era abbastanza sicuro... no, del tutto sicuro che anche la biblioteca di Pelorat fosse a posto: in caso contrario, le rimostranze di Janov si sarebbero già fatte sentire.
Pelorat! Ricordandosi improvvisamente di una cosa, Trevize entrò nella cabina dello studioso. «C’è posto per Bliss, Janov?»
«Oh sì, abbastanza.»
«Posso trasformare la sala comune in una camera da letto per lei.»
Bliss sollevò lo sguardo spalancando gli occhi. «Non desidero affatto una camera da letto separata. Sono contenta di stare con Pel. Comunque, immagino di poter usare le altre stanze in caso di necessità. La palestra, per esempio.»
«Certamente. Qualsiasi stanza, purché non sia la mia.»
«Bene. È proprio quello che avrei suggerito io, se fosse dipeso da me. Naturalmente, tu starai fuori dalla nostra.»
«Naturalmente» disse Trevize, abbassando lo sguardo e notando che le sue scarpe oltrepassavano la soglia. Mosse un passo indietro e disse con espressione severa: «Questo non è un alloggio adatto a una luna di miele, Bliss».
«Date le sue dimensioni, direi che è proprio così, anche se Gaia l’ha ampliato di una buona metà rispetto a prima.»
Trevize cercò di non sorridere. «Dovrete andare molto d’accordo.»
«Andiamo molto d’accordo» disse Pelorat visibilmente imbarazzato dall’argomento. «Ma, credimi, amico mio, lascia che siamo noi a decidere come sistemarci.»
«In realtà, non posso» replicò lentamente Trevize. «Voglio mettere bene in chiaro che questo non è il luogo adatto a una luna di miele. Se siete d’accordo tutti e due siete liberi di fare quel che volete, io non ho alcuna obiezione a questo proposito, ma dovete rendervi conto che non avrete un minimo di privacy. Spero che tu lo capisca, Bliss.»
«C’è una porta» disse lei «e immagino che non verrai a disturbarci quando la troverai chiusa... a meno che non si tratti di una situazione di emergenza, ovviamente.»
«Certo, non vi disturberò. A ogni modo, qui l’insonorizzazione è inesistente.»
«In pratica, Trevize,» fece Bliss «stai cercando di dire che sentirai perfettamente le nostre conversazioni e i suoni che potremmo fare durante un rapporto sessuale.»
«Sì, mi riferivo a questo. Quindi, tenendo conto di tale particolare, può darsi che dobbiate limitare le vostre attività a bordo. Sarà seccante, mi spiace, purtroppo la situazione è questa.»
Pelorat si schiarì la voce e disse garbatamente: «In effetti, Golan, è un problema che ho già dovuto affrontare. Come saprai, ogni sensazione provata da Bliss, quando è insieme a me, viene provata da tutta Gaia».
«Ci avevo pensato» annuì Trevize e a giudicare dall’espressione sembrava che stesse reprimendo un sussulto. «Ma non intendevo parlartene... caso mai non ti fosse venuto in mente.»
«Ma mi è venuto in mente, temo» disse Pelorat.
Bliss intervenne: «Non ingigantire la cosa, Trevize. In qualunque istante può darsi che ci siano migliaia di esseri umani su Gaia impegnati in attività sessuali, milioni di persone intente a mangiare, a bere, o impegnate in altre attività ricreative che producono piacere. Questo fenomeno crea un’aura generale di delizia che Gaia avverte in tutte le sue parti. Gli animali, le piante, i minerali... tutti hanno i loro piaceri, su scala progressivamente ridotta... e pure questi contribuiscono a una gioia cosciente generalizzata che Gaia percepisce sempre e che è sconosciuta su tutti gli altri mondi».
«Anche noi abbiamo le nostre gioie» disse Trevize. «Se vogliamo, possiamo dividerle con gli altri, più o meno. E se vogliamo, le teniamo per noi.»
«Se poteste provare le nostre, capireste come siete poveri, voi isolati, sotto questo aspetto.»
«Come puoi sapere cosa proviamo?»
«Anche senza saperlo, mi pare logico supporre che un mondo di piaceri comuni debba essere un’esperienza molto più intensa dei piaceri alla portata di un singolo isolato.»
«Forse, ma anche se i miei piaceri fossero miseri, mi terrei le mie gioie e i miei dolori e mi accontenterei, nonostante la loro scarsa intensità e sarei me stesso, non il fratello consanguineo della roccia più vicina.»
«Non prendere in giro» disse Bliss. «Tu apprezzi il valore di ogni cristallo minerale delle tue ossa o dei tuoi denti e ti preoccupi del loro stato, anche se hanno il medesimo livello di coscienza dei comuni cristalli di roccia delle stesse dimensioni.»
«Be’, è vero,» ammise Trevize con riluttanza «ma intanto stiamo divagando. Non mi interessa se tutta Gaia sia partecipe della tua gioia, Bliss. Io non voglio essere partecipe. Viviamo in uno spazio ridotto e non intendo partecipare per forza alle vostre attività, nemmeno indirettamente.»
Pelorat allora disse: «Questa è una discussione superflua, mio caro amico. Sono ansioso quanto te di tutelare la mia intimità. Bliss e io saremo discreti, non è vero, Bliss?».
«Come desideri, Pel.»
«Dopotutto,» continuò Pelorat «probabilmente i periodi di tempo trascorsi sui pianeti saranno più lunghi di quelli di volo spaziale e sui pianeti le opportunità per godere di un’autentica privacy...»
«Non mi interessa quello che farete sui pianeti» lo interruppe Trevize. «Ma su questa astronave sono io che comando.»
«Proprio così» disse Pelorat.
«Allora, chiarito questo, è giunto il momento di decollare.»
«Ma... un momento.» Pelorat trattenne Trevize per la manica. «Decollare per dove? Non sai dove sia la Terra. Bliss e io non lo sappiamo. E non lo sa neppure il tuo computer, perché mi hai detto tempo fa che non ha alcuna informazione riguardo alla Terra. Che intendi fare, dunque? Non puoi semplicemente vagare per lo spazio a casaccio, mio caro amico.»
Al che Trevize sorrise esprimendo qualcosa di prossimo alla gioia. Per la prima volta da quando era caduto nella morsa di Gaia si sentiva finalmente padrone del proprio destino.
«Ti assicuro che non è mia intenzione vagare nello spazio, Janov. So perfettamente qual è la mia destinazione.»
VII
Pelorat entrò adagio nella sala comandi dopo aver atteso invano che rispondessero ai suoi lievi battiti alla porta. Trovò Trevize che fissava assorto il campo stellare.
«Golan...» esordì Pelorat e attese.
Trevize sollevò lo sguardo. «Janov, siediti. Dov’è Bliss?»
«Sta dormendo. Siamo nello spazio, vedo.»
«Vedi bene.» Trevize non ebbe alcuna reazione di fronte alla leggera sorpresa del compagno. Sulle nuove astronavi gravitazionali non c’era modo di accorgersi del decollo. Non c’erano effetti inerziali; nessuna spinta d’accelerazione, nessun rumore, nessuna vibrazione.
Possedendo la capacità di isolarsi dai campi gravitazionali esterni, a qualsiasi livello fino a un isolamento totale, la Stella lontana si staccava dalla superficie dei pianeti come se galleggiasse su un mare cosmico. E mentre lo faceva, l’effetto gravitazionale all’interno dell’astronave, paradossalmente, rimaneva normale.
Mentre l’astronave era all’interno dell’atmosfera, naturalmente, non c’era bisogno di accelerare, così che il sibilo e le vibrazioni del rapido scorrimento dell’aria erano assenti. Uscendo dall’atmosfera era possibile accelerare e parecchio, senza che i passeggeri ne risentissero.
Era il massimo della comodità e Trevize era convinto che sarebbe stato impossibile inventare qualcosa di superiore, almeno finché l’umanità non avesse scoperto un sistema per spostarsi nell’iperspazio senza astronavi e senza preoccuparsi dei campi gravitazionali vicini che avrebbero potuto essere troppo forti. Ora la Stella lontana avrebbe dovuto allontanarsi dal sole di Gaia per parecchi giorni prima che l’intensità gravitazionale scendesse a livelli sufficientemente deboli da consentire il balzo iperspaziale.
«Golan, amico mio. Posso parlarti un attimo, se non sei troppo occupato?»
«Non lo sono affatto. Il computer pensa a tutto, una volta ricevute le mie istruzioni. E talvolta sembra che indovini quali saranno gli ordini eseguendoli prima che io riesca ad articolare il messaggio.» Trevize accarezzò affettuosamente la sommità della scrivania.
«Siamo diventati buoni amici, Golan, nel breve periodo di tempo trascorso da che ci conosciamo, anche se devo ammettere che a me non sembra un periodo poi tanto breve. Sono accadute tante cose. È strano, se mi soffermo a pensare alla mia esistenza moderatamente lunga mi rendo conto che gran parte degli avvenimenti degni di nota si sono concentrati negli ultimi mesi. Almeno, così parrebbe. Sarei quasi tentato di...»
Trevize alzò una mano. «Janov, stai uscendo dal seminato, credo. Eri partito dicendo che siamo diventati buoni amici in breve tempo. Sì, è vero, lo siamo diventati e lo siamo tuttora... Se è per questo, conosci Bliss da ancor meno tempo e con lei hai stretto un’amicizia ancor più profonda.»
«Be’, è una faccenda diversa, naturalmente» osservò Pelorat schiarendosi la voce imbarazzato.
«Naturalmente» annuì Trevize. «Ma cosa implica la nostra breve e salda amicizia?»
«Ecco, ragazzo mio, se come hai appena detto siamo ancora amici, allora devo comunicare a Bliss... che come hai appena detto mi è particolarmente cara.»
«Capisco. E allora?»
«Lo so, Golan, che Bliss non ti piace, ma vorrei, per...»
Trevize alzò di nuovo la mano. «Un attimo, Janov. Non sono estasiato dalla presenza di Bliss, ma nemmeno la detesto. In effetti, non ho alcuna animosità nei suoi confronti. È una ragazza attraente e, anche se non lo fosse, sarei disposto a trovarla tale per l’amicizia che mi lega a te. È Gaia che detesto.»
«Ma Bliss è Gaia.»
«Lo so, Janov. È questo che complica tanto le cose. Finché vedo Bliss come persona, nessun problema. Se penso a lei come Gaia, i problemi sorgono.»
«Ma non hai concesso a Gaia una sola possibilità, Golan. Ascolta, caro amico, lascia che ti confessi una cosa. Quando Bliss e io siamo in intimità, a volte lei per un paio di minuti mi lascia entrare nella sua mente. Solo un paio di minuti, perché dice che sono troppo vecchio per adattarmi... Oh, non ridere, Golan, anche tu saresti troppo vecchio per adattarti al fenomeno. Se un isolato, come noi due, dovesse far parte di Gaia per più di un paio di minuti, potrebbero esserci delle lesioni cerebrali, che in cinque o dieci minuti sarebbero irreversibili. Ah, se solo potessi provare questa esperienza, Golan!»
«Quale, le lesioni cerebrali irreversibili? No, grazie.»
«Golan, mi fraintendi volutamente. Mi riferivo a quei brevi attimi di unione. Non sai cosa perdi, è indescrivibile. Bliss parla di un senso di gioia. È come dire che si prova un senso di gioia nel bere finalmente un po’ d’acqua dopo essere quasi morti di sete. No, se dovessi descrivere la sensazione non saprei neppure da che parte iniziare. Ecco, si è partecipi dei piaceri provati separatamente da un miliardo di persone. Non è una gioia costante; se lo fosse, dopo un po’ non la si avvertirebbe più. È qualcosa che vibra, che lampeggia, ha uno strano ritmo pulsante che ti cattura. È una gioia più grande, no, migliore, di quella che si può provare separatamente. Quando Bliss mi esclude, avrei quasi voglia di piangere.»
Trevize scosse il capo. «Sei molto eloquente, amico mio, ma dalle tue parole si direbbe che tu stia descrivendo una dipendenza da pseudoendorfine, o da qualche altra droga che ti offre una gioia passeggera per poi sprofondarti in un inferno permanente. Non fa per me! Non intendo rinunciare alla mia individualità per qualche fugace barlume di gioia.»
«Io ho ancora la mia individualità, Golan.»
«Ma se continuerai, per quanto tempo la conserverai, Janov? Vorrai dosi sempre maggiori della tua droga e alla fine il tuo cervello sarà danneggiato. Janov, non devi permettere a Bliss di farti una cosa simile. Probabilmente sarebbe meglio che gliene parlassi io.»
«No, non farlo. Ecco, non sei un campione di tatto e non voglio che si offenda. Ti assicuro che sotto questo aspetto si prende cura di me più di quanto immagini. La possibilità di lesioni cerebrali la preoccupa più di quanto non preoccupi il sottoscritto, te lo garantisco.»
«Be’, in tal caso mi rivolgerò a te, Janov. Non farlo più. Sei vissuto per cinquantadue anni col tuo tipo particolare di piacere e di gioia e il tuo cervello si è adattato a sopportare una data situazione. Non lasciarti coinvolgere da un vizio nuovo e insolito. Altrimenti dovrai pagare un prezzo, forse non subito, ma alla fine lo pagherai.»
«Sì, Golan» disse Pelorat sottovoce guardandosi la punta delle scarpe. Poi disse: «Prova a guardare la cosa sotto questa angolazione... E se tu fossi una creatura unicellulare...».
«So cosa vorresti dire, Janov. Lascia perdere. Bliss e io abbiamo già discusso di questa analogia.»
«Sì, ma rifletti un attimo. Immaginiamo degli organismi unicellulari con un grado di coscienza pari a quello umano e in possesso della facoltà di pensiero; immaginiamo che si trovino di fronte alla possibilità di diventare un organismo multicellulare. Gli organismi unicellulari non piangerebbero la loro perdita di individualità, non sarebbero fermamente contrari all’imminente fusione coatta nella personalità di un organismo globale? E non sbaglierebbero? Una cellula individuale potrebbe mai immaginare la potenza del cervello umano?»
Trevize scosse il capo, deciso. «No, Janov, è una falsa analogia. Gli organismi unicellulari non hanno coscienza né facoltà di pensiero, o al massimo hanno un livello di coscienza infinitesimale che equivale in pratica a zero. Combinandosi e perdendo la loro individualità, questi organismi perdono qualcosa che in realtà non hanno mai avuto. Un essere umano, invece, è cosciente e pensante. Perderebbe una vera coscienza e intelligenza indipendenti, ecco perché a questo punto l’analogia viene a cadere.»
Ci fu un attimo di silenzio quasi opprimente. Infine Pelorat, tentando di spostare la conversazione su una rotta diversa, disse: «Perché fissi lo schermo?».
«La forza dell’abitudine» rispose Trevize con un sorriso amaro. «Il computer dice che non ci sono astronavi gaiane che ci seguono, né squadre di Sayshell che ci vengono incontro. Eppure osservo ansioso lo schermo, confortato dalla mancata apparizione di queste astronavi, nonostante i sensori del computer siano centinaia di volte più acuti e precisi dei miei occhi. Come se non bastasse, il computer è in grado di percepire certe proprietà dello spazio che i miei sensi non potranno mai cogliere. Pur sapendo tutto questo, io guardo.»
«Golan, se siamo veri amici...»
«Ti prometto che non farò nulla per rattristare Bliss, a meno che non sia inevitabile.»
«C’è un’altra cosa. Mi tieni nascosta la tua destinazione, come se non ti fidassi di me. Dove stiamo andando? Credi di conoscere la posizione della Terra?»
Trevize sollevò lo sguardo inarcando le sopracciglia. «Mi dispiace. Ho serbato il segreto tutto per me, vero?»
«Sì... perché?»
«Già, anch’io me lo chiedo. Forse dipende da Bliss.»
«Non vuoi che lei sappia? amico mio, puoi fidarti nel modo più assoluto.»
«Non si tratta di questo. A che cosa servirebbe non fidarsi di Bliss? Ho il sospetto che, volendo, Bliss possa carpire dalla mia mente qualsiasi segreto. Credo che ci sia un motivo più infantile alla base del mio comportamento. Ho la sensazione che tu ti interessi solamente a lei e che io in pratica non esista più.»
Pelorat inorridì. «Ma non è vero, Golan.»
«Lo so. Sto solo cercando di analizzare i miei sentimenti. Sei appena venuto da me manifestando dei timori riguardo alla nostra amicizia e, ripensandoci, credo di aver avuto anch’io gli stessi timori. Non l’ho ammesso apertamente, fra me, ma penso di essermi sentito tagliato fuori da Bliss. Forse sto cercando di pareggiare i conti tenendoti all’oscuro di tutto. Un atteggiamento infantile, suppongo.»
«Golan!»
«Un atteggiamento infantile, ho detto. Del resto, tutti si comportano in modo infantile di tanto in tanto, no? Comunque, siamo amici. Chiarito questo punto, non mi perderò in ulteriori giochetti. Stiamo puntando su Comporellen.»
«Comporellen?» ripeté Pelorat momentaneamente perplesso.
«Ricorderai senza dubbio il mio amico traditore, Munn Li Compor. Ci siamo incontrati su Sayshell.»
Il volto di Pelorat si illuminò visibilmente. «Certo, ora ricordo. Comporellen era il mondo dei suoi antenati.»
«Può darsi. Non sono tenuto a credere a tutto quello che Compor ha detto. Comunque Comporellen è un mondo noto e Compor ha affermato che i suoi abitanti sapevano della Terra. Bene, noi andremo là e indagheremo. Può darsi che non approderemo a nulla, ma è l’unico punto di partenza che abbiamo.»
Pelorat si schiarì la voce e parve dubbioso. «Oh, mio caro amico, ma sei proprio sicuro?»
«Non c’è nulla di cui essere sicuri o meno. Abbiamo un unico punto di partenza: per quanto debole possa essere, non ci resta che seguire questa traccia.»
«Sì, ma se ci andiamo sulla base delle parole di Compor, dovremmo prendere in considerazione tutto quello che ci ha detto. Mi pare che abbia insistito, con particolare rilievo, sul fatto che la Terra non esista più come pianeta abitato e che la sua superficie fosse radioattiva, priva di qualsiasi forma di vita. In tal caso, andremmo su Comporellen per nulla.»
VIII
I tre mangiavano nella zona pranzo occupando quasi tutto lo spazio disponibile.
«Molto buono» commentò Pelorat con evidente soddisfazione. «Fa parte delle nostre provviste originali di Terminus?»
«No, Quelle sono finite da un pezzo» rispose Trevize. «Fa parte delle scorte che abbiamo comprato su Sayshell, prima di dirigerci su Gaia. Insolito, vero? Una specie di piatto di mare, piuttosto croccante. Questa roba, invece... credevo fosse cavolo quando l’ho comprata, ma il gusto è completamente diverso.»
Bliss ascoltò senza parlare spilluzzicando il cibo con circospezione.
Pelorat disse dolcemente: «Devi mangiare, cara».
«Lo so, Pel. E infatti mangio.»
Senza poter reprimere un moto di impazienza, Trevize disse: «Abbiamo anche piatti gaiani, Bliss».
«Lo so, ma preferisco conservarli. Non sappiamo per quanto tempo viaggeremo nello spazio e prima o poi dovrò imparare a mangiare cibo da isolato.»
«È tanto cattivo? O Gaia deve mangiare solo Gaia?»
Bliss sospirò. «In effetti, c’è una nostra massima che dice: “Quando Gaia mangia Gaia, non ci sono perdite né guadagni”. Non è altro che uno spostamento di coscienza lungo i vari gradi della scala. Qualsiasi cosa mangi su Gaia è Gaia e, quando il cibo è metabolizzato e diventa parte di me, è ancora Gaia. Anzi, mangiando, parte di quel che mangio ha la possibilità di raggiungere un livello più elevato di coscienza, mentre il resto, naturalmente, si trasforma in rifiuti di vario genere e dunque scende a un livello più basso.»
Prese un boccone di cibo, masticò per un attimo, deglutì, infine continuò dicendo: «È un grande cerchio. Le piante crescono e vengono mangiate dagli animali. Gli animali mangiano e vengono mangiati. Ogni organismo che muore viene assimilato nelle cellule delle muffe, dei batteri della decomposizione e così via, ma rimane Gaia. In questa vasta circolazione di coscienza è compresa perfino la materia inorganica e ogni cosa, periodicamente, ha la possibilità di essere partecipe di un grado di consapevolezza non indifferente».
«Questo si può dire di qualsiasi mondo» osservò Trevize. «Ogni atomo del mio corpo ha una lunga storia, durante la quale può aver fatto parte di molti esseri viventi, esseri umani compresi, e durante la quale può aver trascorso lunghi periodi come parte del mare, di un pezzo di carbone, di una roccia. Può essere stato un elemento costitutivo del vento.»
«Su Gaia, ma,» replicò Bliss «tutti gli atomi fanno parte continuamente di una più elevata coscienza planetaria che vi è estranea.»
«Be’,» disse Trevize «allora cosa succede alla verdura di Sayshell che stai mangiando? Diventa parte di Gaia?»
«Sì, lentamente. E le scorie che il mio corpo espelle, altrettanto lentamente, cessano di essere parte di Gaia. Dopotutto, sono prive di qualsiasi contatto con il pianeta, sono prive perfino del contatto indiretto iperspaziale che riesco a mantenere grazie al mio alto livello di intensità cosciente. È il contatto iperspaziale che permette al cibo estraneo di diventare parte del mio mondo, dopo che io l’ho ingerito.»
«E le nostre scorte di viveri gaiani? Diventeranno lentamente estranee? In tal caso, ti conviene mangiarle finché sei in tempo.»
«Non c’è motivo di preoccuparsi. I nostri viveri sono stati trattati in modo tale da rimanere parte di Gaia per un lungo periodo di tempo.»
A un tratto Pelorat intervenne: «Ma cosa succederà quando noi mangeremo cibo gaiano? Anzi, cosa ci è successo quando abbiamo mangiato cibo gaiano laggiù? Anche noi stiamo diventando lentamente Gaia?».
Bliss scosse il capo e un’espressione turbata le attraversò il viso. «No, quello che avete mangiato è andato perduto per noi. O almeno, la parte metabolizzata nei vostri tessuti. Quello che avete espulso è rimasto Gaia o è diventato Gaia lentamente, così in sostanza l’equilibrio non si è alterato, ma parecchi atomi di Gaia sono diventati non-Gaia in seguito alla vostra visita.»
«Perché?» chiese Trevize incuriosito.
«Perché non sareste stati in grado di sopportare la conversione, neppure una trasformazione parziale. Eravate nostri ospiti, arrivati sul nostro mondo dietro costrizione, per così dire, e dovevamo proteggervi dal pericolo, anche a costo di perdere qualche minuscolo frammento di Gaia. Eravamo pronti a pagare quel prezzo, ma non è stato piacevole.»
«Ci dispiace,» disse Trevize «ma sei sicura che il cibo non-Gaia, o almeno alcuni tipi di cibo non-Gaia, non possano a loro volta essere nocivi per te?»
«Sicura. Quello che per voi è commestibile lo è anche per me. Per quanto mi riguarda, c’è solo il problema aggiuntivo di metabolizzare del cibo estraneo in Gaia oltre che nei miei tessuti. È una barriera psicologica che mi impedisce di gustare appieno i pasti e mi costringe a mangiare lentamente, ma col tempo supererò l’ostacolo.»
«E le infezioni?» sbottò Pelorat allarmato. «Chissà perché non ci ho pensato prima, Bliss. I mondi su cui atterreremo probabilmente saranno pieni di microrganismi contro cui tu non avrai alcuna difesa, potresti morire per un banale contagio. Trevize, dobbiamo tornare indietro.»
«Pel, caro, non lasciarti prendere dal panico» disse Bliss sorridendo. «Anche i microrganismi vengono assimilati da Gaia quando fanno parte del mio cibo o quando entrano nel mio corpo in qualsiasi altro modo. Se si riveleranno dannosi, verranno assimilati più in fretta e, quando saranno Gaia, non avranno più effetti nocivi.»
Il pasto si avviò al termine e Pelorat sorseggiò la sua miscela calda di succhi di frutta speziati. «Povero me. Credo che sia ora di cambiare di nuovo argomento. Pare che la mia unica occupazione su questa astronave sia quella di cambiare argomento. Come mai?»
Trevize affermò con aria solenne: «Perché Bliss e io ci appigliamo a qualsiasi argomento di discussione, battendoci fino all’ultimo sangue. Dipendiamo da te, Janov, per conservare il nostro equilibrio psichico. A quale argomento vuoi passare, amico mio?».
«Ho consultato il materiale su Comporellen e il settore cui appartiene è ricco di antiche leggende. Fanno risalire la loro colonizzazione a un periodo molto remoto, al primo millennio dei viaggi iperspaziali. Comporellen parla addirittura di un fondatore leggendario di nome Benbally, anche se non dicono da dove venisse. Sostengono che il nome iniziale del loro pianeta fosse Mondo di Benbally.»
«Secondo te quanto c’è di vero in questo?»
«Una piccola parte di verità, forse. Ma chi può stabilire quale sia?»
«Non ho mai sentito parlare di un personaggio storico di nome Benbally. E tu?»
«No, neanch’io. Ma sai che nell’ultimo periodo dell’era imperiale ci fu una soppressione deliberata della storia pre-imperiale. Gli imperatori degli ultimi secoli turbolenti si sforzarono di ridurre il patriottismo locale, che era ritenuto a ragione un’influenza disgregante. In quasi tutti i settori della galassia, dunque, la storia corredata di documentazioni complete e cronologie accurate comincia solo a partire dai giorni in cui l’influenza di Trantor si estese e i vari settori si allearono con l’impero o furono annessi.»
«Non pensavo che fosse così facile sradicare la storia» commentò Trevize.
«Per molti versi, non è facile. Ma un governo deciso e potente può indebolirla notevolmente. Se sufficientemente indebolita, la storia primitiva finisce col dipendere da materiale sparso e tende a degenerare in racconti popolari. Invariabilmente, questi racconti folcloristici si riempiono di esagerazioni e tendono a dimostrare che il settore in questione è più vecchio e potente di quanto non sia mai stato in realtà. E per quanto una leggenda possa essere sciocca e inverosimile, per i nativi crederci diventa una questione di patriottismo. Potrei mostrarti storie di ogni angolo della galassia che parlano di colonizzazione originaria da parte della Terra stessa, anche se non sempre indicano con questo nome il pianeta d’origine.»
«In quali altri modi lo chiamano?»
«In svariati modi: l’Unico, a volte, o Il Più Vecchio. In altri casi è il Mondo lunato, che stando ad alcune fonti è un termine riferito al suo satellite gigantesco. Altri sostengono che significhi “Mondo perduto” e che “lunato” sia una derivazione di “allunato”, una parola pre-galattica che significherebbe “perduto” o “abbandonato”.»
«Janov, basta» intervenne garbatamente Trevize. «Non intenderai continuare all’infinito a citare fonti e contro fonti? Queste leggende sono ovunque, dici?»
«Sì, amico mio. Se ne esaminassi un po’, noteresti subito come l’uomo abbia l’abitudine di iniziare da un granello di verità per rivestirlo di strati successivi di falsità... proprio come le ostriche di Rhampora che formano perle intorno a una pietruzza. Una volta mi sono appunto imbattuto in questa metafora, mentre...»
«Janov, basta! Dimmi piuttosto se le leggende di Comporellen hanno qualcosa di diverso rispetto alle altre.»
«Oh!» Per un attimo Pelorat guardò Trevize, inespressivo. «Qualcosa di diverso? Be’, dicono che la Terra sia relativamente vicina, il che è insolito. Su gran parte dei mondi che parlano della Terra, qualunque sia il nome che usano, c’è una tendenza a essere vaghi riguardo alla sua posizione... La si colloca in qualche regione sperduta o remotissima.»
«Già, come quelli di Sayshell che ci hanno detto che Gaia si trovava nell’iperspazio» disse Trevize.
Bliss rise.
Trevize le lanciò una breve occhiata. «È vero, ci hanno detto così.»
«Ci credo, solo che è divertente. Naturalmente, noi vogliamo che gli altri lo pensino. Chiediamo solo di essere lasciati in pace e mi pare che un posto più sicuro dell’iperspazio non esista, vero? Se poi non siamo laggiù è come se ci fossimo, finché la gente pensa che sia quella la nostra posizione.»
«Sì,» disse Trevize asciutto «e nello stesso modo c’è qualcosa che spinge la gente a credere che la Terra non esista, o che sia lontanissima o abbia la crosta radioattiva.»
«Ma i comporelliani credono che sia relativamente vicina al loro mondo.»
«Sostengono anche loro che la sua crosta sia radioattiva. In un modo o nell’altro, ogni mondo con una leggenda sulla Terra la considera inavvicinabile.»
«È abbastanza vero» annuì Pelorat.
«Su Sayshell molti credevano che Gaia fosse vicina, alcuni indicavano correttamente la sua stella eppure tutti la consideravano inavvicinabile. Forse ci sono dei comporelliani in grado di indicare la stella della Terra, pur sostenendo magari che si tratti di un pianeta morto e radioattivo. Noi ci avvicineremo ugualmente, nonostante le loro credenze. Nel caso di Gaia ci siamo comportati esattamente così.»
«Gaia era disposta a ricevervi, Trevize» disse Bliss. «Vi avevamo catturati, bloccati e non avevamo intenzione di farvi del male. Cosa succederebbe se anche la Terra fosse potente, ma ostile?»
«Io devo cercare di raggiungerla comunque e accettarne le conseguenze. È il mio compito. Quando individuerò la Terra e farò rotta su di essa, voi sarete ancora in tempo per ritirarvi. Vi lascerò sul mondo della Fondazione più vicino o vi riporterò su Gaia, se proprio vorrete; poi raggiungerò la Terra da solo.»
«Mio caro amico,» disse Pelorat visibilmente a disagio «non dirle neppure certe cose. Non mi sognerei mai di abbandonarti.»
«Né io di abbandonare Pel» disse Bliss e tese la mano sfiorando la guancia di Pelorat.
«Benissimo, allora. Tra poco saremo pronti per il balzo verso Comporellen, dopo di che auguriamoci che il balzo successivo ci porti sulla Terra.»