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La Volta del Tempo era gremita. Tutti i sedili erano occupati e gli uomini rimasti in piedi si erano allineati lungo le pareti.
Salvor Hardin paragonò tra sé questa larga affluenza alle poche persone che avevano assistito alla prima apparizione di Hari Seldon, trent’anni addietro. Allora erano solo in sei: i cinque enciclopedisti, tutti ormai morti, e lui, giovane sindaco senza alcuna importanza. Era stato in quel giorno che, con l’aiuto di Yohan Lee, aveva tolto la dicitura “senza alcuna importanza” alla sua carica.
Adesso la situazione era diversa sotto ogni punto di vista. Ora tutti i membri del Consiglio municipale aspettavano che Hari Seldon apparisse, e lui, Hardin, sebbene fosse ancora soltanto sindaco, aveva in mano tutti i poteri. Dopo la completa sconfitta di Anacreon, era anche al massimo della popolarità. Quando era tornato da laggiù con la notizia della morte di Wienis e con il nuovo trattato firmato dal tremante Lepold, l’Assemblea aveva approvato all’unanimità la politica del governo. Al primo trattato erano seguiti in rapida successione accordi analoghi firmati con ognuno dei tre regni, patti che conferivano alla Fondazione poteri tali che un attacco come quello tentato da Anacreon d’ora in poi sarebbe stato impossibile. Su Terminus furono organizzate fiaccolate in ogni strada. Nemmeno il nome di Hari Seldon era mai stato tanto acclamato.
Hardin storse la bocca. Anche dopo la soluzione della prima crisi era stato ugualmente popolare.
Al lato opposto della stanza Sermak e Bort avevano intrapreso un’animata discussione. I recenti avvenimenti non li avevano affatto messi fuori causa. Anche loro avevano votato a favore della mozione di fiducia; avevano tenuto comizi pubblici nei quali avevano ammesso di essersi sbagliati, si erano scusati per le frasi pronunciate nei dibattiti precedenti. Si erano giustificati affermando che avevano semplicemente seguito i dettami della loro coscienza. E subito avevano lanciato una nuova campagna azionista.
Yohan Lee toccò leggermente la manica di Hardin e con un gesto nervoso indicò l’orologio.
Hardin sollevò lo sguardo. «Salve, Lee. Sempre preoccupato? Che cosa c’è adesso che non va?»
«Deve apparire fra cinque minuti, vero?»
«Penso di sì. L’altra volta è apparso a mezzogiorno.»
«E se non si fa vivo?»
«Non è il caso di angosciarsi troppo. Se non viene, non viene.» Lee s’accigliò e scosse il capo. «Se va a monte, siamo di nuovo nei guai. Se Seldon non appoggia la tua linea politica, Sermak sarà libero di ricominciare da capo. Vuole l’immediata annessione dei Quattro Regni e vuole che la Fondazione si espanda con la forza, se necessario. Ha già dato inizio alla sua campagna.»
«Lo so. Un mangiatore di fuoco sarà sempre un mangiatore di fuoco, anche se dovrà accenderselo da solo. E tu, Lee, non farai che preoccuparti anche a costo di ucciderti pur di avere qualche problema che ti angosci.»
Lee avrebbe risposto, ma rimase senza fiato perché, proprio in quel momento, le luci s’abbassarono. Alzò la mano per indicare la nicchia di vetro che dominava il centro della stanza e poi, con un gran sospiro, sprofondò nella poltrona.
Anche Hardin sussultò all’apparizione dell’uomo sulla sedia a rotelle. Lui solo, fra tutti i presenti, poteva ricordarsi del giorno in cui, decine d’anni prima, quell’immagine si era mostrata per la prima volta. A quei tempi era giovane e l’uomo che gli era apparso, vecchio. Ma se l’immagine non era invecchiata di un giorno, lui, al contrario, sì.
La figura guardava dritto davanti a sé, le mani tenevano un libro chiuso sulle ginocchia.
«Sono Hari Seldon.» La sua voce era antica e serena.
Nella sala tutti trattenevano il respiro e Hari Seldon continuò con tono familiare: «Questa è la seconda volta che vengo qui. Naturalmente non posso sapere se qualcuno di voi fosse presente l’altra volta. A dire il vero, non ho modo di percepire con i sensi se ci siano ascoltatori, ma non ha importanza. Se la seconda crisi è stata superata felicemente, dovreste trovarvi qui, non c’è altra possibilità. Se non ci siete, vuol dire che la seconda crisi è stata per voi insuperabile. Ma ne dubito» aggiunse sorridendo «perché i miei calcoli danno una probabilità del novantotto virgola quattro per cento che non si verifichino deviazioni nei primi ottant’anni del Piano.
«Secondo i miei calcoli, voi ora avete raggiunto il predominio sui regni barbari confinanti con la Fondazione. Nella prima crisi li avete tenuti a bada con l’equilibrio dei poteri; nella seconda, avete vinto servendovi del potere spirituale contro quello temporale.
«Tuttavia, vorrei mettervi in guardia contro gli eccessi di fiducia. In queste registrazioni non voglio darvi indicazioni per il futuro, ma voglio ricordarvi che quanto avete raggiunto è semplicemente un nuovo tipo d’equilibrio, anche se la vostra posizione è ora considerevolmente migliore. Il potere spirituale, che è sufficiente per sconfiggere gli attacchi di quello temporale, non è sufficiente a contrattaccare. A causa dell’inevitabile crescita delle forze contrarie quali regionalismo o nazionalismo, il potere spirituale non sarà in grado di prevalere. Non vi dico niente di nuovo, ne sono certo.
«Dovete perdonarmi se parlo in maniera così vaga. I termini che adopero sono solo approssimativi, ma nessuno di voi è qualificato per comprendere i simboli profondi della psicostoria, e così devo cercare di farmi comprendere meglio che posso.
«In questo caso la Fondazione è solamente all’imbocco della strada che la porterà al Nuovo impero. I regni vicini, in quanto a popolazione e risorse economiche, sono molto più potenti di voi. Oltre questi confini è la giungla della barbarie in continua espansione in tutta la galassia. In mezzo a tutto questo ci sono ancora i resti dell’impero galattico, il quale, pur debole e corrotto, è ancora incomparabilmente potente.»
A quel punto Hari Seldon aprì il libro. Assunse un’espressione solenne. «Non dimenticate che esiste un’altra Fondazione, creata ottant’anni fa all’altro capo della galassia, su Fine di Stella. Ricordatevene sempre, signori, novecentoventi anni del nostro Piano vi stanno di fronte. Il problema è vostro. Affrontatelo!»
Abbassò lo sguardo sul libro e scomparve, mentre le luci tornavano a brillare. Nel brusio che seguì, Lee si piegò su Hardin e gli sussurrò all’orecchio: «Non ha detto quando tornerà».
«Lo so,» rispose Hardin «ma penso che quando lui tornerà di nuovo noi saremo finalmente sereni e in pace sottoterra.»