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Per alcuni giorni a venire, Hari Seldon trascurò i suoi doveri universitari e si concentrò sul computer, usandolo nella modalità raccogli-notizie.
Non esistevano molti computer capaci di gestire le informazioni quotidiane in arrivo da venticinque milioni di mondi. Ce n’erano parecchi nei principali uffici ministeriali dell’impero, dove erano assolutamente necessari. Anche alcune delle maggiori capitali dei Mondi esterni ne possedevano qualche esemplare, sebbene quasi tutti si accontentassero di un collegamento via iperspazio con il Notiziario centrale di Trantor.
Un computer situato in un’importante facoltà di Matematica poteva, se sufficientemente avanzato, essere modificato in un terminale indipendente per la raccolta di notizie, e con molta cautela Seldon aveva fatto proprio questo. In fondo, era una cosa necessaria al suo lavoro sulla psicostoria, anche se le modifiche alle capacità del computer erano state prudentemente ascritte a motivi ben diversi e assai più plausibili.
Teoricamente, il computer avrebbe segnalato qualsiasi evento fuori dall’ordinario su ogni mondo dell’impero. Grazie a una lucetta codificata e poco appariscente, Seldon sarebbe riuscito a rintracciare facilmente la fonte. Una simile lucetta si accendeva di rado, poiché la definizione in codice corrispondente a “fuori dall’ordinario” riguardava solo eventi su larga scala e davvero rari.
In mancanza di quella fatidica accensione si poteva stabilire un contatto con diversi mondi a caso; non con tutti i venticinque milioni, ma con alcune decine. Era un’incombenza deprimente e addirittura spossante, in quanto non esistevano mondi che non avessero le loro catastrofi quotidiane, sia pure su scala ridotta. Un’eruzione vulcanica qui, un’alluvione là, un tracollo economico di qualche genere sul pianeta accanto, e poi, naturalmente, i tumulti popolari. Negli ultimi mille anni non era passato giorno senza che si fossero verificati tumulti per i motivi più svariati su questo o quello di cento e più mondi diversi.
Com’era ovvio, eventi simili andavano scartati. Non si potevano prendere in considerazione i tumulti quando, alla stregua delle eruzioni vulcaniche, quei fatti rappresentavano delle costanti sui mondi abitati. Piuttosto, se fosse arrivato un giorno nel quale nessun tumulto sarebbe stato segnalato in nessun luogo, quello avrebbe potuto essere il segno di una contingenza talmente insolita da giustificare il più attento interesse.
Interesse che Seldon era ben lungi dal provare. I Mondi esterni, sia pure con tutti i loro disordini e cataclismi naturali, erano simili all’oceano in una giornata serena... un dolce moto ondoso e qualche cavallone, ma niente di più. Non riusciva a trovare traccia di nessuna situazione globale che mostrasse chiaramente un declino negli ultimi otto anni, o magari negli ultimi ottanta. Eppure Demerzel (in assenza di Demerzel, Seldon non poteva più pensare a lui come a “Daneel”) aveva detto che il declino stava continuando, e lui sorvegliava il battito cardiaco dell’impero con mezzi che Seldon non poteva duplicare... almeno fino a quando non avrebbe avuto a sua disposizione la guida della psicostoria.
Forse quel declino era così minuscolo da risultare impercettibile finché non avesse raggiunto un punto cruciale; come una casa che si deteriorava lentamente, senza mostrare alcun segno premonitore, finché una notte il tetto non fosse crollato.
Quando sarebbe crollato il tetto? Quello era il problema, e Seldon non conosceva la risposta.
E poi, ogni tanto, Seldon controllava anche lo stesso Trantor. Là, logicamente, la mole di notizie era sempre molto più sostanziosa. In primo luogo, con i suoi quaranta miliardi di abitanti, Trantor era il mondo più densamente popolato dell’impero. Inoltre, i suoi ottocento settori costituivano una specie di impero in scala ridotta. In terzo luogo, c’erano le tediose sequele di incombenze governative e le azioni della famiglia imperiale da seguire.
Ciò che quel giorno colpì l’attenzione di Seldon, comunque, era una notizia che riguardava il settore di Dahl. Alle elezioni per il Consiglio settoriale cinque seguaci di Joranum avevano conquistato altrettanti seggi. Era la prima volta – proseguiva l’articolo del notiziario – che dei joranumiti occupavano cariche a livello settoriale.
Non c’era da sorprendersi. Fra tutti i settori, Dahl era una roccaforte di Joranum, ma Seldon giudicò la notizia un fastidioso indizio dei progressi fatti dal demagogo. Ordinò una copia dell’articolo su microchip e quella sera se lo portò a casa.
All’ingresso di Seldon, Raych sollevò gli occhi dal suo computer e apparentemente sentì il bisogno di giustificarsi. «Sto aiutando la mamma con del materiale di consultazione che le serve.»
«E i tuoi compiti?»
«Fatti, papà. Tutti fatti.»
«Bene. Dai un’occhiata a questo.» Mostrò a Raych il microchip che aveva in mano prima di inserirlo nel proiettore.
Raych osservò per un attimo la pagina di notiziario che si materializzò nell’aria davanti ai suoi occhi e disse: «Sì, lo sapevo».
«Davvero?»
«Certo. Mi tengo sempre informato su Dahl. Lo sai. È il posto in cui sono nato e tutto il resto.»
«E cosa ne pensi di questo?»
«Non ne sono sorpreso. Tu sì? Il resto di Trantor tratta Dahl come un mucchio di sporcizia. Perché non dovrebbero abbracciare le idee di Joranum?»
«Le abbracci anche tu?»
«Be’...» Raych fece una smorfia pensierosa. «Devo ammettere che condivido alcune delle cose che dice. Dice di volere l’uguaglianza per tutto il popolo. Cosa c’è di sbagliato in questo?»
«Nulla... se dice sul serio. Se è sincero. Se non se ne serve come di un’esca per ottenere voti.»
«È abbastanza vero, papà, ma probabilmente quasi tutti i dahliti pensano: “Cosa abbiamo da perdere? L’uguaglianza adesso non esiste, anche se le leggi sostengono il contrario”.»
«È una cosa ardua da stabilire con le leggi.»
«È una consolazione che non scalda granché quando stai congelando.»
Seldon rifletteva rapidamente. Stava riflettendo fin da quando si era imbattuto in quella notizia. «Raych, non sei più stato a Dahl dopo che tua madre e io ti abbiamo fatto uscire dal settore, vero?»
«Sì, ci sono stato, quando cinque anni fa vi ho accompagnati in quella vostra visita laggiù.»
«Certo, certo,» Seldon agitò una mano «ma questo non conta. Ci siamo fermati in un albergo intersettoriale che era quanto di meno dahlita si potesse immaginare. Inoltre, se ricordo bene, Dors non ti ha mai lasciato andare per strada da solo. In fondo, avevi solo quindici anni. Che ne diresti di visitare Dahl, da solo, affidato esclusivamente a te stesso... adesso che hai vent’anni compiuti?»
Raych ridacchiò. «La mamma non lo permetterebbe mai.»
«Confesso che non mi attira la prospettiva di discuterne con lei, ma non intendo chiedere il suo permesso. La domanda è: saresti disposto a fare questo per me?»
«Per semplice curiosità? Certo. Mi piacerebbe vedere cos’è successo al vecchio settore.»
«Puoi permetterti di sottrarre questo tempo ai tuoi studi?»
«Certo. Una settimana di assenza non mi farà alcun male. E poi, puoi registrarmi le lezioni e al mio ritorno mi rimetterò in pari. Ottenere un permesso non mi sarà difficile. Dopotutto, il mio vecchio è un preside di facoltà... a meno che non ti abbiano licenziato, papà.»
«Non ancora. Ma non stavo pensando a questo viaggio come a una vacanza di solo svago.»
«Sarei sorpreso del contrario. Non credo che tu sappia cos’è una vacanza di solo svago, papà. Anzi, mi sorprende che tu conosca la definizione.»
«Non essere impertinente. Quando sarai là, voglio che tu incontri Laskin Joranum.»
Raych assunse un’espressione sorpresa. «E come faccio? Non so nemmeno dove sarà.»
«Sarà a Dahl anche lui. Gli hanno chiesto di parlare al Consiglio insieme ai membri suoi seguaci. Scopriremo la data esatta e tu potrai arrivare là qualche giorno prima.»
«E come farò a incontrarlo, papà? Non credo che la sua casa sia aperta al pubblico.»
«Anch’io non lo credo, ma questo lo lascio alla tua inventiva. Quando avevi dodici anni avresti saputo come cavartela. Spero che gli anni successivi non abbiano troppo smussato il tuo acume di mariuolo.»
Raych sorrise. «Speriamo di no. Ma supponiamo che io riesca a vederlo. E poi?»
«Be’, cerca di scoprire quello che puoi. Quali sono i suoi veri progetti. Che cosa pensa realmente.»
«Credi davvero che lui verrà a raccontarlo a me?»
«Non sarei affatto sorpreso se lo facesse. Tu possiedi il dono di ispirare fiducia, specie di scavezzacollo. Discutiamone un po’.»
E così fecero. In diverse occasioni.
La mente di Seldon era percorsa da pensieri dolorosi. Non sapeva minimamente a cosa avrebbe portato la sua operazione, ma non osava consultarsi con Yugo Amaryl, o con Demerzel, o (meno ancora) con Dors. Potevano fermarlo. Potevano dimostrargli che la sua era una ben misera idea, e lui non voleva quella dimostrazione. Ciò che aveva progettato gli appariva come l’unica porta verso la salvezza e non voleva che qualcuno gliela sbarrasse.
Ma quella porta esisteva veramente? Raych era il solo, ragionava Seldon, che fosse in grado di guadagnarsi la fiducia di Joranum, ma Raych era lo strumento adatto a quello scopo? Era un dahlita e mostrava simpatia per le idee di Joranum. Fino a che punto Seldon poteva fidarsi di lui?
Che situazione orribile! Raych era suo figlio, e fino ad allora Seldon non aveva mai avuto occasione di dubitare della sua lealtà.