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SELDON, WANDA... Nel corso degli ultimi anni della sua vita, Hari Seldon sviluppò un forte attaccamento (alcuni la definiscono una vera e propria dipendenza) nei confronti della nipote Wanda. Rimasta orfana ancora adolescente, costei si consacrò totalmente al Progetto Psicostoria del nonno, colmando il vuoto lasciato da Yugo Amaryl...

Il contenuto del lavoro di Wanda rimane ancora ampiamente avvolto nel mistero, in quanto fu svolto in un isolamento pressoché totale. Le sole persone con libero accesso alle ricerche di Wanda furono lo stesso Hari e un giovane di nome Stettin Palver (un discendente del quale, Preem Palver, quattrocento anni dopo avrebbe contribuito alla rinascita di Trantor mentre il pianeta cercava di sollevarsi dalle ceneri del Grande Sacco [300 E.F.])...

Benché l’ampiezza del contributo portato da Wanda Seldon alla Fondazione rimanga sconosciuto, esso fu indubbiamente della massima importanza...

ENCICLOPEDIA GALATTICA

Hari Seldon entrò nella biblioteca galattica (zoppicando leggermente, come gli capitava sempre più spesso in quei giorni) e si diresse verso le file di parcheggio dei levitanti, i piccoli veicoli capaci di scivolare silenziosi lungo gli interminabili corridoi dell’enorme complesso di edifici.

Si bloccò, tuttavia, alla vista di tre giovanotti seduti in una delle nicchie dedicate alla galattografia, dinanzi a una rappresentazione tridimensionale della galassia con tutti i mondi che giravano lentamente intorno al nucleo galattico ruotando ad angoli retti.

Da dove si trovava, Seldon vide che la provincia periferica di Anacreon era evidenziata in rosso vivo. Costeggiava un bordo della galassia e occupava un grande volume di spazio, ma era scarsamente punteggiata di stelle. Anacreon non era un mondo straordinario né per ricchezza né per cultura, ma era straordinaria la sua distanza da Trantor: diecimila parsec.

Seldon, agendo d’impulso, si sedette alla tastiera di un computer accanto ai tre uomini e impostò una ricerca casuale che era sicuro avrebbe richiesto un tempo indefinito. Il suo istinto gli suggeriva che un interesse così intenso nei riguardi di Anacreon doveva avere radici politiche: la sua posizione nella galassia ne faceva uno dei possedimenti meno sicuri del presente regime imperiale. I suoi occhi rimasero fissi sullo schermo, ma le orecchie di Seldon si concentrarono sulla discussione vicino a lui. Di solito non si sentivano discussioni politiche nella biblioteca. Anzi, in teoria in quel luogo non si doveva parlare di politica.

Seldon non conosceva nessuno dei tre uomini. Non era poi così sorprendente. Alcune persone erano assidue frequentatrici della biblioteca e Seldon le conosceva quasi tutte di vista – aveva anche parlato con alcune di loro –, ma la biblioteca era aperta a ogni cittadino. Non era necessaria alcuna qualifica. Tutti potevano entrare e servirsi delle apparecchiature (naturalmente per un periodo di tempo limitato. Solo pochi eletti, come Seldon, avevano il permesso di “mettere su bottega” nella biblioteca; a Seldon era stata concessa la possibilità di usufruire di un ufficio privato chiuso a chiave e di accedere illimitatamente alle risorse della biblioteca).

Uno dei giovanotti (Seldon lo chiamò tra sé “Naso-a-becco” per ovvie ragioni) parlò a bassa voce ma con un tono urgente.

«Lasciamolo andare. Lasciamolo andare. Cercare di conservarlo ci costa una fortuna e, anche se ci riusciamo, durerà solo fino a quando loro resteranno là. Però non potranno rimanerci in eterno e, non appena se ne andranno, la situazione ritornerà quella che era.»

Seldon sapeva di cosa stavano parlando. La notizia che il governo imperiale aveva deciso una dimostrazione di forza per rimettere in riga il turbolento governatore di Anacreon risaliva ad appena tre giorni prima.

L’analisi psicostorica di Seldon aveva mostrato che sarebbe stata una mossa inutile, ma il governo di solito non ascoltava suggerimenti quando veniva punto sul vivo. Seldon sorrise leggermente e con aria piuttosto cupa nel sentire Naso-a-becco dire le stesse cose e senza poter contare sui benefici della psicostoria.

Naso-a-becco proseguì: «Se lasciamo in pace Anacreon, che cosa perdiamo? Il pianeta resterà dov’è sempre stato, proprio ai bordi dell’impero. Non potrà fare i bagagli e andarsene verso Andromeda, no? Quindi dovrà ancora commerciare con noi e la vita continuerà come prima. Che differenza fa se rendono omaggio all’imperatore o no? Non cambierebbe nulla in ogni caso».

Il secondo uomo, che Seldon aveva battezzato “Pelato” per ragioni ancora più ovvie, disse: «Però tutta questa storia non è un fenomeno isolato. Se Anacreon se ne va, anche gli altri prefetti di confine se ne andranno. L’impero si smembrerà».

«E allora?» sussurrò Naso-a-becco con tono quasi feroce. «L’impero non è più in grado di funzionare in modo efficiente. È troppo grande. Lascia che i mondi di confine se ne vadano e cerchino di cavarsela come possono. I Mondi interni risulteranno più ricchi e più forti. Non è necessario che il confine rimanga nostro politicamente; continuerà a esserlo economicamente.»

E a quel punto il terzo uomo (ovvero “Gote-rosse”) disse: «Vorrei proprio che voi due aveste ragione, ma non andrà così. Se le province di confine riescono a rendersi indipendenti, la prima cosa che faranno sarà quella di cercare con ogni mezzo di aumentare il loro potere a scapito dei vicini. Seguiranno guerre e conflitti e ogni governatore sognerà di diventare alla fine imperatore. Sarà come ai vecchi tempi prima del regno di Trantor... un’epoca oscura che durerà per migliaia di anni».

Pelato disse: «Sicuramente le cose non andranno così male. L’impero potrebbe anche disgregarsi, ma saprebbe guarire in fretta non appena la gente si accorgesse che la disgregazione porta soltanto guerra e impoverimento. Ricorderebbero con nostalgia i giorni dorati dell’impero unito e tutto ritornerebbe come prima. In fondo, non siamo dei barbari, lo sai. Troveremo un modo».

«Oh, certo» disse Naso-a-becco. «Dobbiamo ricordare che l’impero ha fronteggiato una crisi dopo l’altra nel corso della sua storia, ed è sempre riuscito a sopravvivere.»

Ma Gote-rosse scosse il capo dicendo: «Questa non è una delle solite crisi. È qualcosa di molto più grave. L’impero si va deteriorando da molte generazioni. Dieci anni di Giunta hanno distrutto l’economia e, dopo la caduta della Giunta e l’arrivo di questo nuovo “imperatore”, l’impero è diventato così debole che i viceré della periferia non sono obbligati a fare proprio nulla. L’impero cadrà da solo per il suo stesso peso».

«E il giuramento di fedeltà all’imperatore...» iniziò Naso-a-becco.

«Quale fedeltà?» fece Gote-rosse. «Abbiamo passato dieci anni senza imperatore dopo l’assassinio di Cleon e non sembrava importasse a nessuno. E questo nuovo imperatore è soltanto un simbolo. Non può fare niente. Nessuno può fare qualcosa. Questa non è una crisi. Questa è la fine.»

Gli altri due fissarono Gote-rosse aggrottando la fronte. Pelato disse: «Ma tu ci credi sul serio! Pensi davvero che l’impero se ne starà seduto a guardare senza fare niente».

«Sì! Proprio come voi due, nessuno vorrà credere che sta accadendo. O almeno, finché non sarà troppo tardi.»

«E secondo te cosa dovrebbero fare, se ci credessero?»

Gote-rosse fissò il galattografo, come se la risposta fosse là dentro. «Non lo so. Sentite, fra un po’ di tempo, spero parecchio, morirò; per allora le cose non andranno ancora troppo male. Dopo, quando la situazione peggiorerà, ci saranno altre persone che potranno preoccuparsi. Io sarò scomparso. E così pure i bei vecchi tempi. Magari per sempre. Fra l’altro, non sono il solo a pensarla così. Avete mai sentito parlare di uno che si chiama Hari Seldon?»

«Certo» rispose subito Naso-a-becco. «Non è stato primo ministro sotto Cleon?»

«Sì» confermò Gote-rosse. «È una specie di scienziato. L’ho sentito tenere un discorso qualche mese fa. Mi ha rincuorato sapere di non essere il solo a credere che l’impero stia crollando. Ha detto...»

«Ha detto che tutto andrà in rovina e che ci sarà un’epoca buia per sempre?» lo interruppe Pelato.

«Be’, no» rispose Gote-rosse. «È uno di quei tipi molto cauti. Ha detto che potrebbe accadere, ma si sbaglia. Accadrà di certo.»

Seldon aveva sentito abbastanza. Zoppicò verso il tavolo dove i tre uomini sedevano e toccò una spalla di Gote-rosse.

«Signore, potrei parlarle un istante?»

Sorpreso, Gote-rosse sollevò lo sguardo e poi disse: «Ehi, lei non è per caso il professor Seldon?».

«Lo sono sempre stato» rispose Seldon. Porse all’uomo una piastrina d’identificazione. «Vorrei vederla dopodomani nel mio ufficio qui alla biblioteca alle quattro del pomeriggio. Può venire?»

«Devo lavorare.»

«Se proprio deve, si dia malato. È importante.»

«Be’, non so se posso, professore.»

«Lo faccia. Se dovesse avere dei problemi, posso occuparmene io. E nel frattempo, signori, vi spiace se studio la simulazione della galassia per un istante? È da molto tempo che non ne vedo una.»

Annuirono, ammutoliti, apparentemente intimoriti dalla presenza di un ex primo ministro. Uno alla volta i tre uomini si spostarono indietro e fecero posto a Seldon ai controlli del galattografo.

Un dito di Seldon si mosse sul pannello, e il colore rosso che aveva individuato la provincia di Anacreon scomparve. La galassia era immacolata, una lucente spirale di foschia che si faceva più luminosa nel bagliore sferico al centro, dietro il quale c’era il buco nero galattico.

Naturalmente, non si potevano riconoscere le singole stelle, a meno che la visuale non fosse ingrandita, però così facendo solo una porzione dell’impero sarebbe comparsa sullo schermo mentre Seldon voleva vedere l’insieme, per guardare l’impero che stava svanendo.

Premette un contatto e sull’immagine galattica comparve una serie di puntini gialli. Indicavano i pianeti abitabili, venticinque milioni in tutto. Si riusciva a distinguerli come puntini isolati nella leggera nebbia che rappresentava la periferia della galassia, ma verso il centro erano sempre più ravvicinati. C’era una fascia quasi solida di colore giallo (ma che si sarebbe suddivisa in puntini separati se ingrandita) intorno al bagliore centrale, che naturalmente appariva candido e intatto. Non potevano esistere pianeti abitabili in mezzo alle energie turbolente del nucleo.

Malgrado la grande densità del giallo, Seldon sapeva che neppure una stella su diecimila disponeva di un pianeta abitabile intorno a sé. Questo, nonostante le capacità di manipolare i pianeti che l’umanità possedeva. Neppure tutta la tecnologia di terraformazione dell’intera galassia poteva trasformare certi mondi in qualcosa dove un essere umano avrebbe potuto camminare liberamente senza la protezione di una tuta spaziale.

Seldon chiuse un altro contatto. I puntini gialli scomparvero, ma una piccola regione si illuminò di blu: Trantor e i vari mondi che ne dipendevano direttamente. Quella zona era talmente vicina al nucleo – pur rimanendo fuori dalla portata dei suoi effetti mortali – che veniva comunemente ritenuta il “centro della galassia”, anche se ciò non era affatto vero. Come sempre, si rimaneva colpiti dalle ridotte dimensioni del mondo di Trantor, un angolo minuscolo nella vasta distesa della galassia, al cui interno tuttavia era stipata la più grande concentrazione di ricchezza, di cultura e di autorità governativa che l’umanità avesse mai visto.

E anche quello era destinato alla distruzione.

Fu come se i tre giovanotti gli avessero letto nel pensiero, o forse avevano interpretato l’espressione triste sul suo volto.

Pelato chiese con voce pacata: «L’impero verrà distrutto sul serio?».

Seldon rispose, ancora più pacatamente: «Potrebbe. Potrebbe accadere di tutto».

Si alzò, sorrise ai tre uomini e se ne andò, mentre la sua mente continuava a urlare: “Accadrà. Accadrà!”.

Fondazione. Il ciclo completo
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