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Su Trantor
Le stelle nel cielo erano fitte come gramigna in un campo abbandonato. Lathan Devers si era accorto dell’importanza dei decimali la prima volta che aveva dovuto calcolare i balzi dell’iperspazio. Provava una specie di claustrofobia quando doveva compiere voli non più lunghi di un anno luce. C’era qualcosa di impressionante in un cielo dove si vedevano lumi in tutte le direzioni. Era come perdersi in un mare di radiazioni.
Al centro della costellazione formata da diecimila soli ruotava l’immenso pianeta imperiale, Trantor.
Ma era più di un pianeta: era il cuore pulsante di un impero di venti milioni di sistemi stellari. Aveva una sola funzione: l’amministrazione; un solo scopo: il governo; e produceva una sola cosa: la legge.
Su quel mondo non esisteva essere vivente all’infuori dell’uomo, dei suoi animali domestici e dei suoi parassiti. Non esisteva un filo d’erba, né una zolla di terreno che non fosse ricoperta da cemento o ferro, all’infuori delle cento miglia quadrate di giardini attorno al palazzo imperiale. Non esisteva un ruscello, sempre all’infuori dei giardini imperiali, che non fosse stato incanalato e raccolto nelle gigantesche cisterne sotterranee che fornivano acqua alla popolazione del pianeta.
Il lucido, indistruttibile, incorruttibile metallo che ricopriva tutto il pianeta costituiva l’armatura e le fondamenta delle colossali strutture che incastellavano il mondo. Erano costruzioni collegate fra loro da autostrade, corridoi, giganteschi edifici adibiti a uffici, sotterranei larghi miglia quadrate usati come grandi magazzini; attici destinati a ritrovi che ogni notte si illuminavano di luci.
Si poteva percorrere tutto Trantor senza mai uscire da quell’unico conglomerato di edifici, né vedere la città.
Una flotta di astronavi, la più grande posseduta dall’impero, atterrava con il suo carico su Trantor ogni giorno per fornire cibo ai quaranta miliardi di persone che in cambio non offrivano altro che il loro lavoro di burocrati del governo più complesso che l’umanità avesse mai conosciuto.
Il granaio di Trantor era costituito da venti pianeti agricoli. Un universo intero serviva la città...
Trattenute da ambo i lati da poderose braccia d’acciaio, le astronavi venivano lentamente guidate fino agli hangar. Devers era già riuscito ad attraversare la barriera di complicazioni burocratiche che circondava un mondo dove ogni azione era registrata in quadruplice copia.
Erano stati fermati in un primo tempo ancora nello spazio, dov’era stato riempito il primo di una lunga serie di questionari. Si erano dovuti sottoporre a centinaia di controlli, alla fotografia dell’astronave, alla compilazione dei loro dati personali, al conseguente incasellamento nello schedario, all’ispezione anticontrabbando e infine al pagamento della carta d’identità e del visto turistico.
Ducem Barr era siwenniano e quindi suddito dell’imperatore, ma Lathan Devers era uno sconosciuto sprovvisto di documenti. L’ufficiale incaricato era profondamente dispiaciuto, ma Devers non sarebbe potuto entrare. Anzi, avrebbe dovuto essere sottoposto a indagini ufficiali.
Dal nulla apparve un biglietto da cento crediti, garantiti dai possedimenti del signore Brodrig, che cambiarono mano rapidamente.
L’ufficiale borbottò qualcosa e l’espressione dispiaciuta sul suo volto si trasformò in un sorriso. Apparve una scheda del tutto nuova. Venne riempita velocemente e con efficienza, completa dei dati personali di Devers.
Finalmente il mercante e il patrizio entrarono a Trantor.
Nell’hangar l’astronave venne di nuovo fotografata, registrata e il suo contenuto inventariato.
Vennero fotocopiate le carte d’identità dei passeggeri e venne pagata un’altra tassa debitamente registrata.
Alla fine Devers si ritrovò su un grande terrazzo sotto un sole caldo, insieme a donne che parlavano, bambini che urlavano e uomini comodamente seduti che sorseggiavano una bibita ascoltando le notizie dell’impero trasmesse da un colossale televisore.
Barr pagò il numero di monete di iridio richieste e prese un giornale dalla pila. Era il «Notiziario imperiale» di Trantor, organo ufficiale del governo. Dal retro del chiosco si sentiva provenire il leggero ticchettio della macchina che stampava l’edizione straordinaria che veniva contemporaneamente composta negli uffici del «Notiziario» lontani diecimila chilometri di corridoi – seimila in linea d’aria –, mentre altri dieci milioni di copie venivano stampate in quello stesso istante in altri dieci milioni di luoghi simili, in tutto il pianeta.
Barr diede una scorsa ai titoli. «Quale sarà la prima mossa?»
Devers cercò di scrollarsi di dosso lo sconforto che si era impadronito di lui. Si trovava in un universo troppo lontano dal suo, in un mondo che lo opprimeva con tutte le sue complicazioni, in mezzo a gente le cui attività gli erano incomprensibili e della quale non riusciva quasi ad afferrare il linguaggio. Luccicanti torri metalliche lo circondavano, estendendosi a perdita d’occhio e oltre l’orizzonte, e trasmettendogli un senso di claustrofobia; la vita intensa e febbrile della capitale lo faceva sentire un pigmeo solo e privo di importanza.
«È meglio che ci pensi tu, dottore.»
Barr era calmo. «Ho cercato di spiegartelo,» rispose a bassa voce «ma è difficile crederci finché non lo si sperimenta, lo so perfettamente. Sai quanta gente chiede udienza all’imperatore ogni giorno? Un milione di persone circa. E sai quanta gente l’imperatore riceve ogni giorno? Dieci individui. Saremo costretti a passare attraverso i funzionari dell’amministrazione, il che è più difficile. Ma non possiamo permetterci di appoggiarci all’aristocrazia.»
«Ma abbiamo quasi centomila crediti.»
«Un solo scudiero del regno ti costerebbe quella somma, e ce ne vorrebbero per lo meno tre o quattro per arrivare all’imperatore. Forse ci vorranno cinquanta commissari e altrettanti funzionari per arrivare allo stesso risultato, ma loro ci costeranno solo cento crediti ciascuno. Penserò io a parlare. In primo luogo, non capirebbero il tuo accento; secondo, non conosci l’etichetta che regola la corruzione. Si tratta di un’arte, te lo posso assicurare.»
Si interruppe. Nella terza pagina del «Notiziario imperiale» aveva visto la notizia che cercava, e passò il giornale a Devers.
Devers lesse lentamente. Era scritto in uno stile strano per lui, ma riuscì a capire lo stesso. Alzò gli occhi, il suo sguardo era preoccupato. Batté un gran colpo con la mano sul quotidiano. «Pensi che ci si possa fidare di questo giornale?»
«Entro certi limiti» rispose Barr calmo. «È molto improbabile che la flotta della Fondazione sia stata completamente distrutta. Può darsi che abbiano già pubblicato una notizia del genere più di una volta, sempre che il giornale segua la consueta tecnica dei reportage di guerra in uso nella capitale lontana dalla zona di operazione. Probabilmente significa che Riose ha vinto un’altra battaglia, il che non era del tutto imprevedibile. Dice anche che Locris è stata conquistata. Sarebbe la capitale del regno di Locris?»
«Sì, o per lo meno di quell’area che un tempo costituiva il regno di Loris. Non dista più di venti parsec dalla Fondazione. Dottore, dobbiamo muoverci in fretta.»
Barr alzò le spalle. «Non si può lavorare in fretta su Trantor. Quando ci si prova, si finisce sempre con un fulminatore puntato contro le costole.»
«E quanto ci vorrà?»
«Un mese, se siamo fortunati. Un mese e centomila crediti, se ci basteranno. E questo sempre che all’imperatore non venga in mente, nel frattempo, di trasferirsi sui pianeti estivi, dove non vengono accolte petizioni nel modo più assoluto.»
«Ma la Fondazione...»
«Riuscirà a cavarsela, come sempre. Vieni, ora dobbiamo andare a mangiare. Io ho fame. Poi, la notte sarà nostra e potremo metterla a frutto. Ricordati che non vedremo mai più un posto come Trantor.»
Il commissario incaricato delle province esterne allargò le braccia grassocce in un gesto sconsolato e scrutò i due con sguardo miope. «L’imperatore è indisposto. È inutile che sottoponiate il vostro caso ai miei superiori. È una settimana che sua maestà non riceve visite.»
«Ci riceverà» disse Barr ostentando sicurezza. «Si tratta di dare udienza a un membro del seguito del segretario privato.»
«È impossibile» replicò il commissario con enfasi. «Ci rimetterei l’impiego. Se foste meno reticenti nello spiegare la natura della vostra richiesta forse si potrebbe fare qualcosa. Sono prontissimo ad aiutarvi, voi mi capite, ma naturalmente vorrei qualcosa di meno vago, qualcosa da poter presentare ai miei superiori.»
«Se la mia missione fosse tale da poter essere comunicata a qualcun altro che non fosse l’imperatore,» fece notare Barr con gentilezza «sarebbe stupido chiedere udienza a sua maestà. Io le propongo di correre il rischio. Le ricordo che se sua maestà attribuirà a questa faccenda l’importanza che noi garantiamo, lei verrà ricompensato per averci aiutato.»
«Sì, ma...» e il commissario alzò le spalle senza più parlare.
«È un rischio, d’accordo» ammise Barr. «Naturalmente ogni rischio esige la sua ricompensa. È un favore davvero grande quello che le chiediamo, e le siamo già molto riconoscenti per la gentilezza che ci ha mostrato nell’averci dato l’opportunità di spiegare il nostro problema. Ma se vorrà permetterci di esprimere la nostra gratitudine per mezzo di questo modesto...»
Devers fece spallucce. Aveva ascoltato quel discorso, con varianti minime, per lo meno venti volte nell’ultimo mese. Finiva sempre in un rapido scambio di banconote seminascoste. Ma questa volta l’epilogo cambiò. Di solito il denaro spariva immediatamente, ora invece le banconote rimasero in vista mentre il commissario le contava, esaminandole accuratamente da ogni lato.
Il tono di voce di Barr cambiò. «Garantiti dal segretario privato? Soldi ottimi!» e lo incalzò: «Per tornare alla richiesta...».
«No, no. Un momento» lo interruppe il commissario. «Andiamo per gradi. Sinceramente mi piacerebbe sapere di che genere è la vostra missione. Questi soldi sono nuovi e voi dovete averne una bella quantità, perché mi risulta che avete incontrato parecchi altri funzionari prima di me. Suvvia, ditemi.»
«Non vedo dove vuole arrivare.»
«Vede, potrei anche provare che vi trovate sul pianeta illegalmente, perché la carta d’identità del suo amico silenzioso non è certo in regola. Lui non è un suddito dell’impero.»
«Lo nego nel modo più assoluto.»
«Non importa quello che lei dice» rispose il commissario perdendo improvvisamente la calma. «L’ufficiale che ha firmato le vostre carte, per la somma di cento crediti, ha confessato, dietro nostre pressioni, e ne sappiamo più di quanto voi non immaginiate.»
«Se sta cercando di farci capire che la somma che le abbiamo chiesto di accettare è inadeguata in vista del rischio...»
Il commissario sorrise. «Al contrario, è più che adeguata.» Mise i soldi da un lato. «Per tornare a quanto stavo dicendo, è lo stesso imperatore che ha cominciato a interessarsi al vostro caso. Non è forse vero, signori, che di recente siete stati ospiti del generale Riose? Non è forse vero che siete scappati in maniera così strana e rocambolesca dal suo quartier generale? Non è forse vero che possedete una piccola fortuna in biglietti garantiti dai possedimenti del signor Brodrig? In breve, non è forse vero che voi siete spie e assassini mandati qui... Bene, sarete voi stessi a spiegare chi vi ha pagato.»
«Non posso permettere» disse Barr facendo finta di controllare una falsa ira «che un piccolo commissario mi accusi di crimini. Me ne vado.»
«Eh no, non ve ne andrete.» Il commissario si alzò e i suoi occhi parvero aver perso ogni miopia. «Per ora non dovrete rispondere a domanda alcuna: a questo penseremo più tardi e con metodi più convincenti. Inoltre io non sono un commissario addetto alle province esterne, ma un tenente della polizia imperiale. Siete in arresto.»
Nella sua mano destra apparve un fulminatore mentre il tenente sorrideva. «In questi giorni ci sono uomini ben più importanti di voi agli arresti. Siamo in procinto di fare un po’ di pulizia.»
Devers storse la bocca e fece per afferrare la sua arma. Il tenente scoppiò in una risata e premette il contatto. Il raggio disintegratore colpì Devers in pieno petto, ma rimbalzò inoffensivo contro il campo di forza protettivo, disperdendosi in una miriade di scintille.
Devers sparò a sua volta e la testa del tenente si staccò dal resto del corpo completamente disintegrato cadendo a terra. Le labbra erano ancora atteggiate a un sorriso, mentre un raggio di sole illuminava la sua fronte passando attraverso il buco nella parete.
Uscirono dalla porta di servizio.
«Presto, all’astronave» disse Devers con voce rauca. «Tra pochi minuti sarà dato l’allarme.» Bestemmiò fra i denti. «È un altro piano che va in fumo. Potrei giurare che gli spiriti maligni sono contro di noi.»
Erano già fuori quando si accorsero di una grande folla che s’accalcava attorno agli enormi televisori pubblici. Non avevano tempo da perdere; non riuscirono ad afferrare le frasi sconnesse che giunsero alle loro orecchie. Ma Barr riuscì a impadronirsi di una copia del «Notiziario imperiale» poco prima di dirigersi a tutta velocità verso gli hangar, dove la loro astronave torreggiava chiusa in un capannone coperto.
«Pensi di farcela?» gli chiese Barr.
Dieci astronavi della polizia si stavano lanciando al loro inseguimento. L’apparecchio in fuga aveva scoperchiato l’hangar e, senza aspettare il segnale di via libera, filava a velocità superiore rispetto a quella consentita dalla legge. Anche le astronavi del servizio segreto si unirono alla caccia.
«Sta’ a vedere» rispose Devers e ingranò il comando che avrebbe lanciato l’astronave nell’iperspazio a sole duemila miglia dalla superficie del pianeta. Il colpo, provocato dalla vicinanza della massa solida del pianeta, fece svenire Barr mentre Devers si contorceva per la fitta dolorosa, ma, alcuni anni luce più in là, lo spazio era libero.
Devers, provando un senso d’orgoglio per la sua astronave, esclamò: «Non c’è flotta imperiale capace di fermarmi».
Poi aggiunse amaramente: «Ma dove possiamo scappare? Non possiamo combatterli. Che cosa faremo ora? Nessuno può far nulla».
Barr si mosse lentamente gemendo dal dolore. Gli effetti del contraccolpo ricevuto non erano ancora svaniti. Aveva i muscoli indolenziti. «Non dobbiamo far nulla. È finita, leggi qui.»
Mostrò a Devers la copia del «Notiziario imperiale» che ancora stringeva in mano. A Devers bastò dare un’occhiata ai titoli di testa.
«Riose e Brodrig richiamati in patria e arrestati» mormorò Devers. Si volse allibito verso Barr. «E perché?»
«L’articolo non lo spiega, ma che importa? La guerra con la Fondazione è finita, e in questo momento Siwenna è in rivolta. Leggi.» La sua voce si fece debole. «Ci fermeremo in qualche provincia e ci informeremo su tutti i particolari. Se non ti dispiace, ora vorrei sdraiarmi.»
S’addormentò di colpo.
Con un balzo improvviso l’astronave mercantile si lanciò nella galassia diretta verso la Fondazione.