48

Gendibal si sentì toccare la mente e si svegliò. Il tocco era efficace, ma per niente fastidioso. Era diretto solo verso il centro del risveglio, che infatti fu l’unico a reagire.

Gendibal si tirò su a sedere nel letto, e il lenzuolo, scivolando, gli lasciò scoperto il busto ben fatto e muscoloso. Aveva riconosciuto il tocco; i mentalisti riconoscevano quel genere di sfumature allo stesso modo in cui le persone che comunicavano coi suoni riconoscevano le voci.

Rispose con il segnale standard chiedendo se ci fosse urgenza, e ricevette risposta negativa.

Cominciò allora le operazioni del mattino senza fretta. Era ancora sotto la doccia – l’acqua usata sull’astronave finiva nei meccanismi di riciclaggio –, quando si rimise in contatto col suo corrispondente.

«Compor?»

«Sì, oratore.»

«Ha parlato con Trevize e il suo compagno?»

«Si chiama Pelorat. Janov Pelorat. Sì, oratore.»

«Bene. Mi dia altri cinque minuti e stabilirò il contatto visivo.»

Gendibal passò accanto a Sura Novi mentre si dirigeva verso i comandi. La hamiana lo guardò con aria interrogativa e stava per parlare, ma lui portò l’indice alle labbra invitandola a tacere. Gendibal avvertiva ancora un certo disagio davanti all’intensa adorazione e al grande rispetto che coglieva nella mente di lei. Però era quasi giunto a considerare quei sentimenti primitivi come parte integrante e piacevole dell’ambiente che lo circondava.

Aveva collegato una piccola fibra della propria mente con le fibre della donna e adesso nessuno avrebbe potuto influenzare la mente dell’uno senza influenzare anche la mente dell’altra. La semplicità della mente di Sura (e Gendibal non poteva negare che contemplarne la simmetria disadorna procurasse un enorme piacere estetico) impediva nel modo più assoluto a un campo mentale estraneo di avvicinarsi senza essere individuato. Era contento di essersi comportato gentilmente con la donna, dopo l’attacco di Rufirant, perché la sua gentilezza l’aveva indotta a tornare da lui proprio nel momento in cui gli si era rivelata di grande aiuto.

«Compor?»

«Sì, oratore?»

«Si rilassi, la prego. Devo studiare la sua mente. Senza offesa, è un controllo necessario.»

«Come vuole, oratore. Posso chiederle il perché di questo controllo?»

«Devo assicurarmi che non sia stato influenzato.»

«So che ha degli avversari politici alla Tavola, oratore, ma certo nessuno di loro...»

«Lasci stare le elucubrazioni. Si rilassi. No, la sua mente non è stata toccata. Ora, se collaborerà con me, stabiliremo il contatto visivo.»

Il contatto visivo era, nel senso comune della parola, un’illusione, dal momento che solo un membro della Seconda Fondazione, educato alla mentalica, avrebbe potuto distinguere qualcosa con i sensi o con apparecchi di rilevamento.

Si traeva un’immagine dai contorni della mente: l’immagine di un viso. Non era facile. Anche il migliore dei mentalisti a volte riusciva a produrre soltanto una forma vaga e indistinta. Il volto di Compor adesso era proiettato nello spazio e appariva al suo corrispondente come dietro a un velo in movimento. Allo stesso modo il volto di Gendibal appariva a Compor.

Con le iperonde fisiche la comunicazione visiva che si poteva produrre fra persone che si trovavano a migliaia di parsec di distanza era così perfetta da creare l’impressione di un normale contatto diretto. E l’astronave di Gendibal possedeva le apparecchiature necessarie a quel tipo di comunicazione. Ma la visione mentalica presentava dei vantaggi, primo fra tutti quello di non poter essere intercettata dai congegni tecnici della Prima Fondazione. D’altra parte, nemmeno un membro della Seconda Fondazione poteva intercettare la visione mentalica di un altro. Era, sì, possibile captare le rappresentazioni della mente, ma non cogliere i sottili mutamenti di espressione che costituivano il succo della comunicazione.

Quanto agli anti-Mulo... Be’, il fatto che la mente di Novi fosse intatta dimostrava che non c’erano pericoli incombenti.

«Compor, mi racconti esattamente, a livello mentale, la conversazione che ha avuto con Trevize e con quel Pelorat.»

«Certo, oratore.»

Non ci volle molto. La combinazione di suoni, espressioni e mentalismo condensava notevolmente la materia, nonostante il fatto che ci fossero ben più cose da dire a livello mentale che a livello di linguaggio di suoni.

Gendibal osservò attentamente l’immagine di Compor. Nella visione mentalica la ridondanza era minima, se non addirittura nulla. Nelle visioni vere, o anche in quelle trasmesse nello spazio attraverso le iperonde, le unità informative erano enormemente sovrabbondanti rispetto a quanto era strettamente necessario per la comprensione, e, se uno ne perdeva anche un gran numero, non rischiava con questo di lasciarsi sfuggire sfumature importanti.

Nella visione mentalica, invece, si aveva sì l’assoluta sicurezza di non essere intercettati, ma non ci si poteva permettere il lusso di lasciarsi sfuggire qualche unità informativa. Tutte erano sommamente significative.

Gli istruttori, su Trantor, amavano raccontare agli studenti storie orrorifiche che avevano lo scopo di far capire loro l’importanza della concentrazione. Quella più famosa era anche la meno credibile. Parlava del primo rapporto riguardante le imprese del Mulo ricevuto prima che questi conquistasse Kalgan. Il rapporto era stato ricevuto da un funzionario di grado piuttosto basso, il quale aveva creduto che il messaggio parlasse di un equino. Non aveva infatti veduto o afferrato la piccola sfumatura visiva che significava “nome della persona”. Aveva quindi pensato che l’informazione fosse troppo poco importante per essere trasmessa a Trantor. Quando era arrivato il messaggio successivo, ormai era troppo tardi per intraprendere un’azione immediata ed erano passati cinque anni amari prima della ripresa.

Il fatto quasi sicuramente non era mai successo, ma questo non importava. Era una storia paradossale che incitava gli studenti ad abituarsi alla concentrazione più assoluta. Gendibal si ricordava ancora di quando, da ragazzo, aveva commesso un errore nella ricezione di un messaggio e aveva interpretato male un particolare che gli era parso tanto insignificante quanto incomprensibile. Il suo insegnante, il vecchio Kendast, un tiranno che tormentava la mente fino alle radici del cervelletto, si era limitato a dire con un sogghigno: «Un equino, eh, pivello Gendibal?». E questo era bastato a far precipitare Gendibal negli abissi della vergogna.

Compor terminò il suo resoconto.

«Quali sono state secondo lei le reazioni di Trevize? Lo conosce meglio di me, meglio di chiunque altro...»

«Le indicazioni mentaliche erano inconfondibili. Trevize ha dedotto dai miei discorsi e dal mio comportamento che sono ansioso di spedirlo su Trantor o nel settore Sirio: in una parola, in qualsiasi posto che non sia quello da lui scelto. Ciò significa, a mio avviso, che rimarrà dove si trova. Il fatto che gli abbia consigliato caldamente di spostarsi altrove gli ha fatto pensare che questo sia il mio obiettivo e l’ha indotto ad agire in un modo che crede contrastante con esso.»

«Ne è certo?»

«Certissimo.»

Gendibal ci rifletté un poco e decise che Compor aveva ragione. «Sono davvero soddisfatto. Ha proceduto ottimamente. È stato abile a scegliere quella storia della distruzione radioattiva della Terra; così ha prodotto la reazione giusta senza bisogno di ricorrere alla manipolazione mentale diretta. Bravo!»

Per un breve attimo Compor parve lottare con se stesso. «Oratore, non posso accettare le sue lodi. La storia non l’ho inventata. È vera. C’è davvero un pianeta chiamato Terra nel settore Sirio, ed è considerato sul serio il pianeta d’origine dell’umanità. È radioattivo. Non so se sia stato così fin dall’inizio o se lo sia diventato; so solo che la radioattività è cresciuta sempre di più, finché ogni forma di vita è scomparsa. Anche l’espansore mentale è esistito veramente, benché non abbia prodotto conseguenze. Tutto questo è considerato storia sul pianeta da cui provengono i miei antenati.»

«Ah sì? Interessante» disse Gendibal, che però appariva non troppo convinto. «Meglio ancora, dunque. È bene sapere quando una verità ci può servire, visto che è impossibile servirsi di una bugia con la stessa convinzione con cui si usa il suo contrario. Palver una volta ha detto: “Più la menzogna è vicina alla verità, più è efficace, e la verità stessa, quando la si può usare, è la menzogna migliore”.»

«Vorrei aggiungere un’altra cosa. Ho seguito le sue istruzioni e ho fatto di tutto per trattenere Trevize nel settore Sayshell fino al suo arrivo, ma i miei sforzi sono stati tali che ormai è inevitabile che pensi che io sia sotto l’influenza della Seconda Fondazione.»

Gendibal annuì. «Date le circostanze, credo che questo sia effettivamente inevitabile. Trevize è così fissato con l’idea della Seconda Fondazione che ne vedrebbe le tracce anche se non ci fossero. Dobbiamo semplicemente prendere atto della cosa e tenerne conto.»

«Oratore, se è assolutamente necessario che Trevize resti dov’è finché lei non arrivi sarebbe forse utile che le venissi incontro, la prendessi a bordo della mia astronave e la riportassi indietro. Impiegherei meno di un giorno...»

«No, osservatore» disse Gendibal brusco. «Non lo faccia. Quelli di Terminus sanno dove si trova. Ha a bordo un iper-relè che non può rimuovere, vero?»

«Sì, oratore.»

«E se sanno che lei è atterrato su Sayshell lo saprà anche il loro ambasciatore su Sayshell, il quale saprà pure della presenza di Trevize sul pianeta. Tramite il suo iper-relè verrebbero subito avvertiti della sua partenza per un luogo specifico lontano centinaia di parsec, ma l’ambasciatore li informerebbe della permanenza di Trevize sul pianeta. Che conclusioni potrebbero trarre da questo fatto? Il sindaco Branno è, a detta di tutti, una donna scaltra, e l’ultima cosa che desideriamo è metterla in allarme ponendola di fronte a enigmi oscuri. Non vogliamo che conduca fin qui parte della sua flotta. Tra l’altro, le probabilità che lo faccia comunque sono spiacevolmente alte.»

«Con tutto il rispetto, oratore... Che motivo abbiamo di temere una flotta se siamo in grado di tenere sotto controllo il suo comandante?»

«Per quanto ci sia poco da temere, c’è da temere ancor meno se la flotta non è qui. Resti dov’è, Compor. Quando arriverò, verrò a bordo della sua astronave e allora...»

«E allora, oratore?»

«Allora subentrerò a lei, naturalmente.»

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