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Lord Dorwin aveva lunghi capelli ondulati artificialmente e folte basette bionde e morbide che accarezzava amorevolmente con la mano. I suoi discorsi erano un ricamo di precisione, ma non riusciva a pronunciare la r. Inoltre fiutava di continuo tabacco.
Hardin non aveva tempo di scoprire le ragioni dell’antipatia ispiratagli dal nobile cancelliere. Lo irritavano il gesto della mano con il quale lord Dorwin accompagnava ogni frase e la studiata espressione di condiscendenza che assumeva ascoltando l’interlocutore.
Il problema che più interessava Hardin in quel momento era di riuscire a rintracciarlo. Era sparito con Pirenne da più di mezz’ora. Gli era passato davanti ed era scomparso.
Pirenne era stato visto nell’ala dell’edificio dove Hardin si trovava ora. Provò ad aprire tutte le porte. A metà del corridoio entrò in una sala semibuia. Il profilo della complicata capigliatura di lord Dorwin si delineava inconfondibile contro lo schermo illuminato.
Lord Dorwin sollevò lo sguardo. «Oh, Havdin. Senza dubbio ci stava cevcando, vevo?» Teneva in mano una tabacchiera intarsiata, e Hardin notò che era di dubbio gusto. Lord Dorwin affondò due dita nella scatola, fiutò con energia una presa di tabacco e sorrise graziosamente.
Pirenne corrugò la fronte e Hardin lo guardò con ostentata indifferenza.
Il breve silenzio che seguì fu rotto dallo scatto che la tabacchiera fece nel chiudersi. Lord Dorwin la ripose in tasca. «È vevamente un’opeva gvandiosa questa vostva Enciclopedia, Havdin. Cevtamente un lavovo che può esseve annovevato tva le più gvandi conquiste di tutti i tempi.»
«Molti di noi lo pensano, milord. Tuttavia si tratta di un’opera non ancora completa.»
«Da quel poco che ho visto e dall’efficienza della vostva Fondazione, sono convinto che viuscivete a vaggiungeve il vostvo scopo.» E annuì in direzione di Pirenne che rispose con un leggero inchino.
“Che atmosfera idilliaca” pensò Hardin. «Non alludevo tanto a una nostra inefficienza, quanto all’eccesso di efficienza dimostrato da Anacreon: anche se diretta a uno scopo più distruttivo.»
«Ah, sì, Anacveon.» Fece con la mano un gesto di sufficienza. «Vengo appena ova da quel pianeta. Sono vevamente dei bavbavi. È inconcepibile che essevi umani possano viveve nella pevifevia. Mancano assolutamente di basi cultuvali: non esiste nessuna comodità, è pvaticamente quasi impossibile soddisfave le necessità più elementavi. Vivono in uno stato tale...»
Hardin lo interruppe secco. «Sfortunatamente gli anacreoniani possiedono tutto il necessario equipaggiamento per fare la guerra e tutte le più elementari attrezzature per distruggere.»
«È vevo, è molto giusto.» Lord Dorwin sembrava seccato, forse perché era stato interrotto a metà della frase. «Ma non siamo qui pev discuteve d’affavi, adesso. Voglio occupavmi d’altvo al momento. Dottov Pivenne, vuole mostvavmi il secondo volume? La pvego.»
Le luci si spensero e per un’altra mezz’ora Hardin avrebbe benissimo potuto trovarsi su Anacreon tanta era l’attenzione che quei due gli prestavano. Il libro proiettato sullo schermo non lo interessava affatto e non fece alcuno sforzo per seguirne l’argomento, ma lord Dorwin sembrava a volte estremamente colpito. Hardin notò che durante quei momenti d’eccitazione il cancelliere pronunciava la “r” come chiunque altro.
Quando furono riaccese le luci, lord Dorwin disse: «Mevaviglioso. Vevamente mevaviglioso. Lei, dottov Havdin, non ha pev caso studiato avcheologia?».
«Come?» Hardin si scosse, d’improvviso interrotto nelle sue riflessioni. «No, milord, non posso dire di avere interessi in quel campo. La mia vocazione mi spingeva verso la psicologia ma sono finito nella politica.»
«Ah! Sono cevtamente studi intevessanti. Pev quanto mi viguavda» e fiutò un’altra presa di tabacco di proporzioni notevoli «mi sono dedicato moltissimo all’avcheologia.»
«Comprendo.»
«Sua signoria» intervenne Pirenne «è un esperto in questo campo.»
«Sì, in un cevto senso, cvedo pvopvio di sì» disse Sua signoria compiaciuto. «Ho lavovato molto a questa matevia. Ho letto pavecchi libvi. Sopvattutto autovi come Jawdum, Obijasi, Kwonwill. Cevtamente anche lei ne ha sentito pavlave.»
«Sì, conosco i nomi,» rispose Hardin «ma non ho mai letto nulla.»
«Ci pvovi un giovno, mio cavo amico. Ne vicavevete gvande soddisfazione. Devo dive che valeva pvopvio la pena di compieve questo viaggio pev tvovave, qui nella pevifevia, una copia di Lameth. Ci cvedeveste? Nella mia libvevia mi manca pvopvio quel volume. Mi vaccomando, dottov Pivenne, non dimentichi di favmene aveve una copia pvima che pavta.»
«Sarà mio dovere.»
«Dovete sapeve che Lameth» continuò il cancelliere «pvesenta una teovia nuova e intevessante sul “Pvoblema delle Ovigini”.»
«Quale problema?» domandò Hardin.
«Il “Pvoblema delle Ovigini”. Cioè la vicevca del luogo d’ovigine della specie umana. Cevtamente sapete che si vitiene genevalmente che in ovigine la vazza umana occupasse soltanto un sistema planetavio.»
«Sì, questo lo so.»
«Natuvalmente nessuno sa con esattezza quale fosse il sistema planetavio: tutto si è pevduto nei millenni. Esistono pevò divevse teovie. Alcuni dicono Sivio. Altvi insistono su Alfa Centauvi, o su Sol, o su Cigni 61: tutti pevò, come vedete, nel settove di Sivio.»
«E qual è la teoria di Lameth?»
«Segue una tvaccia completamente diffevente. Egli intendeva dimostvave che i vesti avcheologici del tevzo pianeta di Avtuvo pvovano che l’umanità esisteva laggiù ancova pvima che si conoscesse la tecnica dei viaggi spaziali.»
«E ciò significherebbe che si tratta del pianeta culla dell’umanità?»
«Fovse. Devo leggevlo più accuvatamente e pesavne le pvove pvima di giudicave. Bisogna sopvattutto vedeve se le sue ossevvazioni sono attendibili.»
Hardin rimase per un po’ in silenzio. «Quando è stato scritto quel libro?» chiese infine.
«Divei civca ottocento anni fa. Natuvalmente si è basato molto sugli scvitti di Gleen.»
«E allora perché fidarsi di lui? Perché non andare su Arturo a studiare i resti archeologici?»
Lord Dorwin sollevò le sopracciglia e fiutò un’altra presa di tabacco.
«A che scopo, mio cavo amico?»
«Per raccogliere direttamente i dati, milord.»
«Non ne vedo la necessità. Mi sembva un vagabondaggio inutile e non cevto il modo migliove per otteneve visultati. Vede, io ho sott’occhio il lavovo di tutti i più gvandi maestvi, tutti i più gvandi avcheologi del passato. Li vaffvonto l’uno con l’altvo, studiandone le divevse teovie, analizzandone le contvaddizioni, decidendo quale secondo me sia più nel giusto, e viesco a giungeve a una conclusione. Questo è un metodo scientifico. Se non altvo più efficiente, secondo il mio punto di vista. Savebbe una cosa pviva di significato andave su Avtuvo, o su Sol, e compieve vicevche che i vecchi maestvi hanno già fatto e di sicuvo più accuvatamente di quanto non potvei fave io.»
«Comprendo» mormorò Hardin educatamente.
Proprio un bel metodo scientifico! Era facile capire perché la galassia stava andando in rovina.
«Venga, milord,» disse Pirenne «penso sia ora di tornare.»
«Oh, sì. Ha vagione!»
Mentre lasciavano la stanza, Hardin a un tratto chiese: «Milord, posso farle una domanda?».
Lord Dorwin sorrise con condiscendenza e fece un grazioso gesto con la mano per invitarlo a parlare. «Cevtamente, mio cavo amico. Se le è utile la mia miseva conoscenza di...»
«Non ha nulla a che vedere con l’archeologia, milord.»
«No?»
«No. Si tratta di questo: l’anno scorso abbiamo saputo dell’esplosione della centrale nucleare del quinto pianeta di Gamma Andromeda. Abbiamo ricevuto la notizia senza particolari dettagli. Lei è in grado di fornirmi informazioni più precise?»
Pirenne storse la bocca. «Non riesco a capire perché voglia annoiare Sua signoria con domande così poco importanti.»
«Niente affatto, dottov Pivenne» intervenne il cancelliere. «È una domanda compvensibilissima. Non c’è pevò molto da dive su questo avvenimento. La centvale è esplosa, ed è stato un gvosso disastvo. Penso che sia costato la vita ad alcuni milioni di pevsone e che metà del pianeta sia stato vidotto in vovine. Il govevno sta pvendendo sevi pvovvedimenti pev vestvingeve l’uso indiscviminato dell’enevgia atomica: le disposizioni tuttavia non sono ancova state vese pubbliche.»
«Capisco» disse Hardin. «Ma che cosa non ha funzionato nella centrale atomica?»
«Non si sa con pvecisione» rispose lord Dorwin con indifferenza. «L’impianto si eva guastato alcuni anni pvima e il lavoro di vipavazione non è stato eseguito come si savebbe dovuto. È così difficile al giovno d’oggi tvovave uomini che compvendano vevamente la stvuttuva di una centvale nucleave.» E scuotendo la testa con rammarico fiutò un pizzico di tabacco.
«Si rende conto» osservò Hardin «che i regni indipendenti della periferia hanno dimenticato l’uso dell’energia atomica?»
«Davvevo? Non ne sono sovpveso. Sono pianeti bavbavi. Ma mio cavo amico, lei non può chiamavli indipendenti. Non lo sono. Il tvattato che ho concluso con lovo ne è la pvova. Viconoscono la sovvanità dell’impevatove. È evidente: se non fosse così non avvei potuto concludeve quel tvattato.»
«Ne sono sicuro. Certo però che hanno una grande libertà d’azione.»
«Sì, lo penso anch’io. Molto considevevole. Il fatto pevò ha poca impovtanza. Cvedo sia meglio così, per l’impevo: con la pevifevia che si basa sulle pvopvie visovse. Non ci sono di molta utilità. Sono pianeti tevvibilmente bavbavi. Vevamente poco civili.»
«Ma un tempo lo erano. Anacreon era una delle più ricche province esterne. Se non sbaglio era per lo meno all’altezza di Vega.»
«Oh, sì, Havdin, ma questo eva vevo centinaia di anni fa. Non se ne può di sicuvo tvavve una conclusione. Le cose evano molto divevse nei bei tempi antichi. Non ci sono più gli uomini di una volta. Pevò, Havdin, lei è un giovanotto testavdo. Le ho già detto che non desidevavo pavlave d’affavi oggi. Il dottov Pivenne mi aveva avvevtito. Mi aveva detto che lei avvebbe cevcato in ogni modo di povtavmi sull’avgomento. Ma io sono tvoppo vecchio pev lasciavmi abbindolave. Ne pavlevemo domani.»
E questo fu tutto.