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Il mutante
Gli hangar sono una delle strutture caratteristiche di Kalgan, nati dalla doppia necessità di fornire un ricovero per le numerose astronavi che atterravano ogni giorno sul pianeta e di offrire nello stesso tempo una sistemazione alberghiera ai viaggiatori. Il primo che inventò questo semplice sistema diventò milionario. I suoi eredi – sia per nascita sia finanziariamente – erano senza sforzo alcuno tra gli uomini più ricchi di Kalgan.
Gli hangar si estendevano per migliaia di chilometri quadrati di territorio. Erano praticamente una specie di hotel per astronavi. Il viaggiatore pagava in anticipo e gli veniva assegnato un posto da dove poteva ripartire quando gli tornava più comodo, continuando ad abitare sulla sua astronave come sempre. La compagnia degli hangar naturalmente si occupava di tutta l’assistenza meccanica necessaria all’astronave, del rifornimento di cibo e dei trasporti interni al pianeta, facendo pagare ogni servizio separatamente.
Con questo sistema il viaggiatore pagava un solo conto per l’albergo e il parcheggio dell’astronave, risparmiando. Il proprietario si faceva pagare l’affitto del terreno su cui atterrava l’unità, guadagnandoci un’enormità. Il governo raccoglieva un bel po’ di tasse. E tutti erano felici, senza che nessuno ci rimettesse.
L’uomo che camminava nell’ombra dei lunghi corridoi che collegavano le astronavi s’era fermato già parecchie volte a considerare la straordinaria genialità del sistema degli hangar, ma ora i suoi pensieri erano occupati da ben altro.
Le astronavi erano allineate in bell’ordine, con la base appoggiata sulle apposite cellette. L’uomo le passò in rassegna una dopo l’altra. Era un esperto e, anche se il registro degli hangar indicava sezioni contenenti centinaia di astronavi, la sua conoscenza specialistica gli avrebbe permesso di trovare quella cercata.
Nel silenzio si sentì un sospiro e l’uomo si fermò. Si nascose nell’ombra scomparendo come un insetto circondato da mostri metallici immobili.
Qua e là le luci accese di qualche oblò indicavano la presenza di persone che avevano deciso di tornare presto a casa, rinunciando ai divertimenti notturni che offriva il pianeta per svaghi più casalinghi.
L’astronave accanto alla quale s’era fermato era di forma affusolata e doveva essere molto veloce. Non si trattava di un modello comune. A quei tempi tutte le astronavi di quel settore della galassia imitavano i disegni della Fondazione o erano costruite da tecnici della Fondazione. Questa, invece, aveva qualcosa di particolare. Doveva essere stata costruita dalla Fondazione stessa, lo si poteva notare anche solo dalle piccole protuberanze allineate lungo lo scafo, che indicavano la presenza di uno schermo protettivo che solo le astronavi della Fondazione possedevano. Ma esistevano altre particolarità.
L’uomo non esitò.
La barriera elettronica di protezione che circondava l’astronave, fornita dall’amministrazione dell’hangar, non lo preoccupò minimamente. Riuscì a superarla con facilità, senza far scattare il segnale di allarme, servendosi di un apparecchio che neutralizzava il campo di forza.
Fu per questo che all’interno dell’astronave si accorsero della presenza di un estraneo solo quando sentirono suonare l’allarme. Lo straniero lo aveva azionato appoggiando la mano sulla cellula fotoelettrica disposta a lato del portello d’ingresso principale.
Mentre lo straniero era alla ricerca dell’astronave, Toran e Bayta non si sentivano sicuri fra le pareti d’acciaio della Bayta. Il buffone del Mulo, al quale era stato dato il nome altisonante di Magnifico Giganticus, malgrado la misera taglia della sua corporatura, era seduto a tavola e si stava rimpinzando con tutto il cibo che gli veniva messo davanti.
I suoi occhi tristi e scuri si alzavano dal piatto solo per seguire i movimenti di Bayta che si spostava dalla cucina alla dispensa.
«I ringraziamenti dei deboli hanno poco valore,» mormorò «ma li accetti ugualmente. In questa settimana non sono riuscito a nutrirmi che di briciole e, malgrado la piccola mole del mio corpo, il mio appetito è enorme.»
«Mangia, dunque,» disse Bayta con un sorriso «non sprecare tempo in ringraziamenti. Mi pare che ci sia un proverbio della galassia centrale, in proposito.»
«È vero, signora. Un sapiente un giorno disse: “La gratitudine è tanto più efficace quando non si perde in frasi vuote”. Ma, signora, chi sono io, se non un sacco di frasi vuote? Quando le mie parole insensate divertivano il Mulo, lui mi riempiva di regali e mi dava nomi pomposi (il nome che avevo prima, Bobo, non gli piaceva). Quando invece non erano di suo gradimento, sfogava su di me la sua ira, frustandomi.»
Toran entrò. «Non possiamo fare nient’altro che aspettare, Bay. Spero che il Mulo sappia che un’astronave della Fondazione gode del diritto di extraterritorialità.»
Magnifico Giganticus, già Bobo, spalancò gli occhi ed esclamò: «Quanto potente è la Fondazione, di fronte alla quale persino i servi del Mulo tremano».
«Anche tu ne hai sentito parlare?» gli chiese Bayta.
«E chi non ne ha sentito parlare?» rispose Magnifico in un bisbiglio. «Alcuni dicono che sia un mondo magico capace di costruire un fuoco che distrugge i pianeti e che custodisce segreti di una potenza inimmaginabile. Affermano inoltre che neppure i più nobili dei nobili della galassia possono ottenere il rispetto di chi sia in grado di affermare “Io sono un cittadino della Fondazione”, fosse anche un uomo qualunque o una nullità come me.»
«Magnifico,» disse Bayta «tu non la finirai proprio mai di parlare, vero? Ecco qua, bevi un poco di questo latte aromatizzato. È molto buono.»
Mise la caraffa sulla tavola e fece cenno a Toran di uscire dalla stanza.
«Toran, che ne faremo di lui?» gli domandò Bayta indicando la cucina.
«Che cosa intendi dire?»
«Se arriva il Mulo, hai intenzione di consegnarglielo?»
«Che altro possiamo fare, Bay?» Era nervoso e con un gesto brusco cercò di sistemarsi i capelli che gli erano caduti sulla fronte.
«Prima che venissimo qui» proseguì in tono impaziente «avevo una vaga idea di ciò che dovevamo chiedere al Mulo. Volevo parlargli d’affari e nient’altro.»
«Capisco che cosa vuoi dire, Tori. Non che io sperassi di incontrarmi col Mulo in persona, ma per lo meno credevo di poter raccogliere qualche informazione importante da trasmettere a qualcuno più esperto di noi in politica interstellare. Non ho affatto voglia di fare la parte della spia da romanzo.»
«Che situazione, Bay!» fece lui incrociando le braccia preoccupato. «Non avremmo potuto confermare l’esistenza di una persona come il Mulo, se non fosse stato per l’incidente di questa mattina. Pensi che verrà a prendersi il buffone?»
Bayta lo guardò negli occhi. «Non so nemmeno più se lo vorrei. Non saprei che dire o che fare. E tu?»
Un segnale interno risuonò. Bayta spalancò la bocca. «Il Mulo!» esclamò.
Magnifico era sulla soglia. «Il Mulo?» domandò terrorizzato.
«Dobbiamo lasciarlo entrare» disse Toran.
Premette un pulsante e il portello esterno s’aprì.
«È una persona sola» disse Toran con un sospiro di sollievo. Si piegò sul microfono e chiese con voce tremante: «Chi è?».
«È meglio che mi faccia entrare, così lo vedrà da sé» fu la risposta che si sentì attraverso il ricevitore.
«La informo che questa è un’astronave della Fondazione e di conseguenza sta entrando nel nostro territorio. Spero conosca le leggi internazionali.»
«Sì, le conosco.»
«Entri con le mani alzate, altrimenti sparo.»
«D’accordo.»
Toran aprì il portello interno e impugnò il fulminatore, pronto a premere il grilletto. Si sentì un rumore di passi, poi la porta venne spalancata e Magnifico gridò: «Non è il Mulo!».
L’uomo si chinò rivolgendosi al buffone. «Esatto. Non lo sono.» Teneva le mani in alto. «Non ho armi e vengo con intenzioni pacifiche. Può rilassarsi e mettere via il fulminatore. La sua mano non è molto ferma e non vorrei che si verificassero incidenti.»
«Chi è lei?» chiese Toran bruscamente.
«Dovrei essere io a farle questa domanda,» rispose lo straniero «visto che è stato lei a dare false generalità.»
«Come si permette di affermare una cosa del genere?»
«Ha detto di essere un cittadino della Fondazione quando non esistono mercanti autorizzati sul pianeta.»
«Come fa a saperlo?»
«Perché io sono un cittadino della Fondazione e sono in possesso di documenti che lo provano. Dove sono i suoi?»
«È meglio che se ne vada.»
«Penso di no. Se è a conoscenza dei metodi della Fondazione, e a quanto pare dovrebbe conoscerli a fondo, saprà anche che se non ritorno vivo alla mia astronave entro un tempo prestabilito, la mia assenza verrà segnalata al più vicino quartier generale della Fondazione, e questo rende la sua arma praticamente inefficace.»
I due si fronteggiarono in silenzio, poi Bayta parlò con calma.
«Metti via l’arma, Tori, e credigli sulla parola. Sembra faccia sul serio.»
«Grazie» disse lo straniero.
Toran appoggiò il fulminatore sulla sedia accanto a lui.
«Suppongo che ora mi voglia dare una spiegazione» disse Toran.
Lo straniero rimase in piedi. Era alto e fisicamente prestante. La faccia ossuta e magra non era di quelle che sorridono facilmente. I suoi occhi, tuttavia, non erano cattivi.
«Le notizie si diffondono molto velocemente, soprattutto quando sono poco credibili. Immagino che non esista una sola persona su Kalgan che non sappia che gli uomini del Mulo sono stati maltrattati da due turisti della Fondazione. Ho appreso tutti i particolari dell’incidente prima di sera, e, come ho detto, sapevo che non esistevano cittadini della Fondazione sul pianeta oltre a me. Noi, certe cose le sappiamo.»
«Che cosa intendete con “noi”?»
«Noi siamo noi come io sono uno. Sapevo che vi trovavate negli hangar, a quanto pare è stato lei stesso a dirlo. Ho usato i miei sistemi per controllare i registri e per trovare l’astronave.»
Si girò all’improvviso verso Bayta. «Lei è nata sulla Fondazione, giusto?»
«Io?»
«Lei è un membro dell’opposizione democratica. Non ricordo il suo nome ma ricordo il suo volto. È fuggita di recente e non ce l’avrebbe fatta se fosse stata un membro più importante.»
Bayta alzò le spalle. «Sa tutto.»
«Certo. È fuggita con un uomo. È forse questo?»
«È importante che io risponda o meno?»
«No. Vorrei solo creare un’atmosfera di reciproca fiducia. Se non sbaglio, la parola d’ordine della settimana, quando ha abbandonato la Fondazione così precipitosamente, era “Seldon, Hardin e Libertà”. Porfirat Hart era il suo capo sezione.»
«Dove ha avuto queste informazioni?» chiese Bayta sorpresa. «Porfirat è stato arrestato?»
L’uomo della Fondazione rispose con calma. «Nessuno l’ha arrestato. Il fatto è che l’Associazione è molto grande. Io sono il capitano Han Pritcher del servizio informazioni, e pure sono un capo sezione, naturalmente sotto diverso nome.» Aspettò un attimo, poi continuò: «No, non siete obbligati a credermi. Nel nostro lavoro è meglio essere eccessivamente sospettosi, non il contrario. Ma lasciamo perdere i preliminari».
«Sì» disse Toran. «È un’ottima idea.»
«Posso sedermi? Grazie.» Il capitano Pritcher si sedette e accavallò le gambe. «Comincerò col dirvi che non so quali siano le vostre intenzioni in tutta questa faccenda. Voi due non siete della Fondazione, ma non è difficile supporre che proveniate da uno dei mondi abitati dai mercanti indipendenti. Questo non mi preoccupa troppo. Ma per curiosità: che cosa volete dal buffone che avete salvato? Avete rischiato la vita per tenerlo con voi.»
«Non posso rispondere a questa domanda.»
«Lo immaginavo, ma se vi aspettate che il Mulo venga a farvi visita con la fanfara in testa, scordatevelo. Il Mulo non ha mai usato certi sistemi.»
«Cosa, cosa?» domandarono all’unisono Toran e Bayta, mentre Magnifico dal suo angolo tirava un sospiro di sollievo.
«Anch’io ho cercato di mettermi in contatto con lui, vi assicuro che ho fatto il possibile, e non mi servo di sistemi dilettanteschi. È impossibile. Quell’uomo non appare mai in pubblico, non permette che lo si fotografi o ritragga in qualunque maniera, e a quanto pare lo vedono solo i suoi più stretti collaboratori.»
«Questo, capitano, dovrebbe spiegare il suo interessamento nei nostri confronti?» chiese Toran.
«No. Il buffone è la chiave. È una delle poche persone ad averlo visto di persona. Lo voglio. Forse mi fornirà la prova di cui ho bisogno... e ho bisogno di una prova, per la galassia, per svegliare la Fondazione.»
«E perché dovrebbe essere svegliata?» domandò Bayta tagliente. «Contro chi? E in quale ruolo darà l’allarme, come ribelle democratico o come ufficiale della polizia segreta?»
I lineamenti del volto del capitano s’indurirono. «Quando l’intera Fondazione è minacciata, mia cara rivoluzionaria, muoiono sia i democratici sia i tiranni. Salviamo i tiranni per non averne di peggiori, poi quando sarà il momento penseremo ad abbatterli.»
«E chi sarebbe questo tiranno tanto temibile?» chiese Bayta con interesse.
«Il Mulo! Ho raccolto parecchie informazioni sul suo conto, abbastanza da essermi assicurato la morte se non sto più attento. Fate uscire il buffone dalla stanza. Quello che sto per comunicarvi è un segreto.»
«Magnifico» disse Bayta indicando la porta, e lui uscì senza parlare.
La voce del capitano si fece bassa e discreta, tanto che Toran e Bayta furono costretti ad avvicinarsi per poterlo sentire.
«Il Mulo è uno stratega molto astuto, troppo per non rendersi conto del vantaggio che procura il magnetismo e il fascino della guida personale. Se ha rinunciato a questo, dev’esserci una ragione. Evidentemente lui sa che un contatto diretto con lui rivelerebbe qualcosa di estremamente importante che invece deve restare segreto.»
Fece segno di non fare domande e proseguì, parlando più in fretta: «Sono andato sul suo pianeta d’origine per questa ragione, e ho interrogato la gente. Pochi sono quelli rimasti in vita che ricordano il bambino nato trent’anni fa, la morte di sua madre e la sua strana giovinezza. Il Mulo non è un essere umano».
Toran e Bayta si ritrassero, guardandolo inorriditi. Nessuno dei due capì che cosa volesse dire, ma la minaccia contenuta nella frase era chiara.
«È un mutante» continuò il capitano «e i suoi numerosi successi ne provano la fortuna. Non conosco la natura dei suoi poteri, né se lo si potrebbe definire un superuomo come quello dei romanzi: so solo che dal nulla, in due anni, è diventato il conquistatore di Kalgan. Questo fatto è una dimostrazione sufficiente delle sue doti eccezionali. Non vi rendete conto del pericolo? Può il Piano Seldon aver previsto la nascita di un tale individuo?»
Bayta parlò lentamente. «Non ci credo. Deve essere tutto un inganno. Perché allora gli uomini del Mulo non ci hanno ucciso quando avrebbero potuto farlo, se lui è effettivamente in possesso di poteri soprannaturali?»
«Vi ho già detto che non conosco le facoltà derivate dalla sua mutazione. Forse non è ancora pronto ad affrontare la Fondazione e sarebbe un segno di grande saggezza resistere a tutte le provocazioni fin quando non si è veramente decisi a entrare in azione. Lasciatemi parlare con il buffone.»
Il capitano raggiunse il Magnifico e si pose di fronte a lui, che tremava ed evidentemente non si fidava di quell’uomo enorme dalla faccia severa.
Il capitano cominciò parlando lentamente. «Hai visto il Mulo con i tuoi occhi?»
«Anche troppo bene, mio eccelso signore. E ho provato il peso della sua mano sul mio corpo.»
«Non ne dubito. Potresti descrivermelo?»
«Il ricordo mi è penoso, eccelso signore. È un uomo poderoso come nessun altro, persino lei al suo confronto sembrerebbe un nano. I suoi capelli sono di fuoco, e con tutto il mio peso e la mia forza non riuscivo ad abbassargli un braccio una volta teso, nemmeno di un centimetro.» Magnifico pareva tormentato dalla visione. «Spesso, per divertire i suoi generali o per svagarsi, mi teneva sollevato in aria infilando un dito nella mia cintura mentre io dovevo recitare una poesia. E solo al ventesimo verso mi lasciava andare, e ognuno dei versi doveva essere improvvisato e doveva rimare perfettamente, altrimenti avrei dovuto ricominciare da capo. È un uomo dalla forza sovrumana, eccelso signore, e fa un uso crudele del suo potere... inoltre, nessuno può vedere i suoi occhi.»
«Che cosa? Cosa hai detto degli occhi?»
«Indossa degli strani occhiali, eccelso signore. Si dice che siano opachi e che lui veda in virtù di un potere magico. Ho sentito dire» e la voce del buffone si fece misteriosa «che chi vede i suoi occhi muore, perché lui uccide con lo sguardo, eccelso signore.»
Magnifico si volse a guardare i tre che lo ascoltavano ed ebbe un tremito. «È vero, come è vero che io vivo.»
Bayta emise un lungo sospiro. «A quanto pare ha ragione, capitano. Vuole assumere lei il comando?»
«Esaminiamo un momento la situazione. Avete altro da fare qui? La barriera dell’hangar è libera?»
«Possiamo partire anche subito.»
«E allora partite. Forse il Mulo non vuole ancora attaccare la Fondazione, ma corre un brutto pericolo lasciando libero Magnifico. Non per nulla l’ha fatto cercare a quel modo dai suoi uomini. Probabilmente ci saranno alcune astronavi che vi aspettano una volta fuori dall’atmosfera. Se scomparite nello spazio, a chi si potrà attribuire il delitto?»
«Ha ragione» ammise Toran.
«Tuttavia voi siete in possesso di uno scudo protettivo e siete senz’altro più veloci di loro. Appena sarete fuori dall’atmosfera, abbandonatevi alla deriva fin quando non sarete al di sopra dell’altro emisfero, poi partite di scatto.»
«Sì,» disse Bayta con freddezza «e una volta che avremo raggiunto la Fondazione, capitano, che cosa ne sarà di noi?»
«Sarete semplicemente cittadini di Kalgan desiderosi di collaborare. Io non possiedo altre informazioni sul vostro conto, non è così?»
La conversazione era finita. Toran sedette ai comandi. Si avvertì un impercettibile contraccolpo.
Toran si lasciò Kalgan alle spalle e, mentre si preparava al primo balzo nell’iperspazio, il capitano Pritcher si fece cupo. Perché nessuna astronave del Mulo aveva tentato di fermarli?
«A quanto pare ci lasciano portar via il Magnifico» constatò Toran. «La sua supposizione era errata.»
«A meno che» lo corresse il capitano «non volessero proprio che noi rapissimo il Magnifico, nel qual caso le cose non si mettono bene per la Fondazione.»
Dopo l’ultimo balzo nell’iperspazio, quando ormai erano entrati nell’atmosfera del pianeta Terminus, la radio di bordo riuscì a captare la trasmissione del notiziario.
Fra le altre vi era una novità appena accennata. Sembrava che il governatore di un pianeta non specificato dal cronista avesse protestato ufficialmente presso la Fondazione per il rapimento di un membro della sua corte. Il cronista passò quindi alle notizie sportive.
Il capitano Pritcher trattenne a stento un gesto di stizza. «Ci hanno preceduti» aggiunse pensieroso. «È pronto ad attaccare la Fondazione e si serve di questa scusa per dare inizio alle ostilità. La situazione si fa più difficile, ora. Bisogna agire subito, anche se non siamo ancora pronti.»