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Trantor!
Per ottomila anni era stata la capitale di una grande e potente entità politica che abbracciava numerosi sistemi planetari in continua espansione. Poi, per dodicimila anni, era stata la capitale di un’entità politica che abbracciava l’intera galassia. Era stata il centro, il cuore, la quintessenza dell’impero galattico.
Era impossibile pensare all’impero senza pensare a Trantor. Anzi, proprio perché Trantor doveva continuare a brillare nel suo splendore metallico, nessuno si era accorto che l’impero aveva perso il suo primato, la sua superiorità.
Trantor si era sviluppata a tal punto da diventare una città che occupava un intero pianeta. La sua popolazione era stata stabilizzata (per legge) sui quarantacinque miliardi di individui e le uniche zone verdi, in superficie, erano quelle del palazzo imperiale e del complesso università-biblioteca.
Il territorio di Trantor era ricoperto di metallo. Sia i deserti sia le zone fertili erano stati sfruttati fino all’osso e brulicavano di persone, di giungle amministrative, di elaborazioni computerizzate e di immensi magazzini pieni di cibo e di pezzi di ricambio. Le catene montuose erano state trasformate in pianure e gli abissi erano stati riempiti. I tunnel interminabili della città si snodavano sotto le grandi estensioni continentali e gli oceani erano stati trasformati in enormi serbatoi sotterranei di acquacoltura, uniche (e insufficienti) fonti locali di cibo e di minerali.
Il collegamento con i Mondi esterni, dai quali Trantor importava le materie prime di cui aveva bisogno, era assicurato da mille spazioporti, da diecimila astronavi da guerra, da centomila astronavi mercantili e da un milione di astronavi da carico.
Nessuna città così grande era mai riuscita ad avere impianti di riciclaggio tanto perfetti. Nessun pianeta della galassia aveva usato fino a tal punto l’energia solare o era ricorso agli espedienti di Trantor per liberarsi dei sovrappiù di calore. Sul lato notturno del pianeta, nello strato superiore dell’atmosfera erano posti radiatori scintillanti che venivano calati nella città di metallo durante il giorno. Quando calava la notte i radiatori salivano e quando sopraggiungeva il giorno scendevano. Così Trantor aveva sempre un’asimmetria artificiale che era quasi il suo simbolo.
Era stato allora, all’apice del suo sviluppo, che Trantor era assurto a guida dell’impero.
Era una guida che non riusciva a governarlo bene, ma niente avrebbe potuto governare bene l’impero. Era troppo grande per essere tenuto insieme da un singolo pianeta, anche nei periodi storici in cui gli imperatori erano dinamici ed efficienti. E come avrebbe potuto Trantor governarlo bene quando, nelle epoche di decadenza, la corona imperiale era finita in mano a politici furbi e a stupidi incompetenti, e quando la burocrazia era diventata ricettacolo di individui altamente corruttibili?
Eppure, anche nei momenti peggiori, il ruolo di guida assunto da Trantor aveva conservato sempre una sua intrinseca dignità. Senza quel pianeta, l’impero galattico sarebbe svanito come neve al sole. Pur smembrandosi inesorabilmente, finché Trantor fu Trantor l’impero mantenne intatto il proprio nucleo di tradizioni millenarie, di orgoglio, di potere, di gloria.
Solo quando successe l’impensabile, quando Trantor crollò e fu saccheggiato, quando milioni di suoi cittadini furono uccisi e miliardi di loro furono lasciati morire di fame, quando la possente copertura di metallo fu scalfita, bucata e fusa dalla flotta “barbara”, tutti si resero conto che l’impero era effettivamente crollato. I pochi sopravvissuti distrussero quel che restava dell’antica potenza e, nel giro di una generazione, Trantor, un tempo il più importante pianeta che la razza umana conoscesse, diventò un viluppo spaventoso di rovine.
Tutto questo era successo due secoli e mezzo prima. Nel resto della galassia, le antiche glorie non erano state ancora dimenticate. Trantor sarebbe rimasto per sempre il pianeta ideale nel quale ambientare romanzi storici, il mondo che più di tutti gli altri simboleggiava il passato e i suoi fasti, il luogo che aveva dato origine a detti come “Tutte le astronavi portano su Trantor”, “È come cercare una persona su Trantor”, “C’è un abisso fra questo e Trantor”, e così via.
In tutto il resto della galassia, ma non su Trantor. Lì le antiche glorie erano state completamente dimenticate. Il metallo che aveva ricoperto la superficie era scomparso praticamente dappertutto. Trantor adesso era un mondo abitato da agricoltori autonomi sparsi un po’ ovunque. Era un posto dove le astronavi mercantili facevano scalo raramente e dove, le volte in cui lo facevano, non erano accolte particolarmente bene. Lo stesso termine “Trantor”, benché ufficialmente fosse ancora utilizzato, non era più in auge presso la popolazione. Dai trantoriani dell’epoca moderna il pianeta era chiamato “Hame”, che nel dialetto locale significava “patria”.
Quindor Shandess pensava a questo e ad altro, mentre se ne stava seduto in un piacevole stato di dormiveglia. Cullato dal lieve torpore in cui era immersa la sua mente, lasciava correre i pensieri a ruota libera, senza seguire un filo particolare.
Era primo oratore della Seconda Fondazione da diciott’anni e avrebbe potuto continuare a esserlo per altri dieci o dodici, se si fosse mantenuto sufficientemente lucido da sostenere le necessarie battaglie politiche.
Era il corrispondente perfetto, quasi l’immagine speculare del sindaco di Terminus, che era a capo della Prima Fondazione, però tra loro c’era una differenza profonda, sotto ogni aspetto. Il sindaco di Terminus era noto in tutta la galassia e quindi la Prima Fondazione era semplicemente, per i vari mondi abitati, “la Fondazione”. Il primo oratore della Seconda Fondazione era conosciuto invece soltanto dai suoi colleghi.
Eppure era la Seconda Fondazione, guidata ora da Shandess e prima di lui da numerosi altri a detenere il vero potere. La Prima era insuperabile quanto a forza materiale, tecnologia, arsenale militare. La Seconda era insuperabile quanto a poteri mentali e a controllo psicologico. Ove fosse sorto un conflitto tra le due, che importanza avrebbero avuto le astronavi e le armi della Prima Fondazione, quando la Seconda Fondazione era in grado di controllare la mente di chi pilotava le astronavi e maneggiava le armi?
Ma per quanto ancora Shandess avrebbe potuto crogiolarsi nella consapevolezza dei suoi poteri segreti? Era il venticinquesimo primo oratore della storia, ed era in carica da un periodo un po’ superiore a quello medio. Che fosse il caso di mostrare meno attaccamento per la poltrona e di lasciare spazio ai candidati più giovani? C’era per esempio l’oratore Gendibal, un giovane assai acuto che era entrato da poco a far parte della Tavola. Quella sera ci sarebbe stato un colloquio fra di loro, e Shandess non vedeva l’ora di discorrere col collega. Era forse giusto augurarsi anche che un giorno Gendibal lo sostituisse nella carica di primo oratore?
Shandess rispose a se stesso con sincerità e dovette ammettere che non aveva alcuna voglia di abbandonare la propria carica: gli piaceva troppo.
Benché anziano, era perfettamente capace di assolvere i suoi compiti. Aveva i capelli grigi, ma poiché un tempo li aveva avuti biondi e adesso li portava cortissimi, la differenza di colore non si notava molto. Gli occhi erano celesti e l’abito che in quel momento indossava era del colore marroncino prediletto dagli agricoltori trantoriani.
Il primo oratore, se avesse voluto, avrebbe potuto facilmente confondersi tra la popolazione di Hame: ciò nonostante il suo potere era qualcosa di assai concreto e reale. Sarebbe bastata un’opportuna messa a fuoco con gli occhi e con la mente, e i trantoriani avrebbero agito conformemente alla sua volontà, per poi dimenticare tutto una volta compiute le azioni richieste.
Era una cosa che succedeva di rado, o quasi mai. La regola d’oro della Seconda Fondazione diceva: “Non fare niente a meno che tu non ci sia costretto, e quando sei costretto ad agire prima esita”.
Il primo oratore emise un lieve sospiro. A uno che come lui viveva nella vecchia università, a poca distanza dalle tristi e tuttavia suggestive rovine del palazzo imperiale, veniva da chiedersi ogni tanto quanto d’oro fosse effettivamente la Regola.
All’epoca del Grande Sacco, la regola d’oro era stata tesa fino al limite di rottura. Non si poteva salvare Trantor senza sacrificare nel contempo il Piano Seldon, che mirava a fondare il Secondo impero. Sarebbe stato umano risparmiare quei quarantacinque miliardi di persone, ma se così si fosse fatto sarebbe rimasto in piedi il nucleo del Primo impero, e questo avrebbe ritardato il corso della storia e determinato distruzioni ancora più grandi, secoli dopo. E, forse, il Secondo impero non avrebbe avuto modo di sorgere...
Il Grande Sacco era stato chiaramente previsto, e i primi oratori dell’epoca precedente a esso avevano studiato per decenni il problema, ma non avevano trovato una soluzione che garantisse la salvezza di Trantor e nello stesso tempo consentisse la nascita del Secondo impero. Così era stato scelto il male minore, e Trantor era dovuto soccombere.
Gli uomini della Seconda Fondazione erano riusciti per il rotto della cuffia a salvare il complesso università-biblioteca, e in seguito quest’atto era stato vissuto come una colpa. Benché nessuno avesse mai potuto dimostrare che l’esistenza della biblioteca aveva condotto all’ascesa fulminea del Mulo, si era intuito che fra i due c’era un collegamento. E questo per poco non aveva causato la rovina generale.
Dopo i decenni del Saccheggio e del Mulo era venuta l’Età d’oro della Seconda Fondazione.
Prima di allora, nei due secoli e mezzo successivi alla morte di Hari Seldon, i membri della Seconda Fondazione si erano nascosti come talpe nei recessi della biblioteca, badando solo a tenersi lontano dagli imperiali. Svolgevano mansioni di bibliotecari in una società decadente cui interessava sempre meno l’anacronistica biblioteca galattica, che alla fine venne completamente trascurata, proprio come desideravano i bibliotecari stessi.
Era una vita meschina. Essi si limitavano a salvaguardare il Piano, mentre ai confini della galassia la Prima Fondazione combatteva per la sopravvivenza contro nemici sempre più forti; sola, senza aiuti da parte della Seconda Fondazione di cui ignorava l’esistenza.
Era stato il Grande Sacco a liberare la Seconda Fondazione, un altro dei motivi (il giovane Gendibal di recente aveva avuto il coraggio di dire che era l’unico) per cui era stato permesso.
Dopo il Saccheggio l’impero era scomparso, e in seguito i trantoriani sopravvissuti non avevano mai messo piede nel territorio della Seconda Fondazione se non dietro invito. I membri della Seconda Fondazione avevano fatto in modo che il complesso università-biblioteca, sopravvissuto al Saccheggio, sopravvivesse anche alla Grande Rinascita. Anche le rovine del palazzo erano state conservate intatte. In quasi tutto il resto del pianeta non c’era più traccia di metallo. I grandi tunnel interminabili erano stati riempiti, ricoperti, distrutti, eliminati, sepolti sotto rocce e terreno tranne lì, dove il metallo cingeva ancora gli antichi spazi aperti.
Si sarebbe potuto considerare quasi un monumento alla memoria delle glorie passate, il sepolcro dell’impero, ma per i trantoriani, per gli abitanti di Hame, si trattava di un luogo sinistro, abitato dagli spiriti, che era meglio evitare. Solo gli uomini della Seconda Fondazione osavano mettere piede negli antichi corridoi, o toccare il titanio luccicante.
Eppure, il Mulo per poco non aveva condotto alla rovina di tutto.
Il Mulo era stato su Trantor. Che cosa sarebbe successo se avesse scoperto la natura di quel mondo? Le sue armi materiali erano ben più potenti di quelle di cui disponeva la Seconda Fondazione, e le sue armi mentali erano quasi pari a quelle dei suoi avversari. La Seconda Fondazione sarebbe stata ostacolata dalla necessità di fare esclusivamente ciò che era necessario e non di più, e dalla consapevolezza che una vittoria immediata poteva determinare una perdita più grande in seguito.
Se non fosse stato per Bayta Darell e per il suo intervento tempestivo... E anche quello si era verificato senza alcun aiuto da parte della Seconda Fondazione!
E poi... era sopraggiunta l’età d’oro. I primi oratori dell’epoca erano riusciti a trovare il modo di agire, di fermare il Mulo nel suo iter di conquiste, di controllare infine la sua mente, di bloccare poi il passo alla stessa Prima Fondazione quando questa si era fatta sospettosa e aveva cominciato a domandarsi troppe cose circa la natura e l’identità della Seconda. Preem Palver, diciannovesimo primo oratore, il più grande di tutti, era riuscito, non senza terribili sacrifici, a eliminare definitivamente ogni pericolo e a salvare il Piano Seldon.
Ora, da centoventi anni, la Seconda Fondazione era tornata a essere quello che era stata un tempo, nascosta nella parte di Trantor dove gli haminiani non mettevano piede. I suoi membri non sfuggivano ora gli imperiali, ma la Prima Fondazione, che si era allargata come l’antico impero galattico e che era ancora più potente di esso quanto a conoscenze tecnologiche.
Il primo oratore chiuse gli occhi, cullato dal piacevole tepore della stanza e scivolò in quello stato mentale indefinito ma rilassante che stava a metà strada fra il sogno allucinatorio e il pensiero cosciente.
“Basta con i pensieri tetri” pensò. Sarebbe andato tutto bene. Trantor era ancora la capitale della galassia, perché ospitava la Seconda Fondazione, che era più forte di quanto non fosse stato l’imperatore in passato e più di lui in grado di controllare la situazione.
Poi sarebbe venuto il Secondo impero, che però non sarebbe stato come il primo. Sarebbe stato un impero confederato, con i vari stati dotati di notevole autonomia, sicché si sarebbero evitati i difetti di un governo unitario e centralizzato, apparentemente forte ma in realtà debole. Il nuovo impero sarebbe stato più flessibile, meno monolitico. Sarebbe stato in grado di far fronte alle tensioni e sarebbe stato guidato sempre – sempre – dagli uomini e dalle donne della Seconda Fondazione, che agivano in segreto. Trantor sarebbe tornato a essere la capitale e con i suoi quarantamila psicostorici sarebbe stato più potente di quanto lo fosse mai stato con i suoi quarantacinque miliardi di...
Il primo oratore si svegliò all’improvviso dal suo torpore. Il sole era più basso nel cielo. Che avesse parlato, nel sonno? Che si fosse lasciato sfuggire qualche considerazione ad alta voce?
Se la Seconda Fondazione doveva sapere molto e dire poco, gli oratori che la governavano dovevano sapere di più e dire di meno. E il primo oratore doveva sapere più di tutti e dire meno di tutti.
Shandess fece un sorriso ironico. Era sempre allettante l’idea di diventare patrioti trantoriani. Era allettante pensare che l’intero scopo del Secondo impero fosse quello di dare origine all’egemonia trantoriana. Seldon aveva lanciato un avvertimento in merito; aveva previsto perfino una simile eventualità, con cinque secoli di anticipo.
Il primo oratore si rese conto di non aver dormito troppo a lungo: non era ancora l’ora fissata per l’udienza. Era ansioso di parlare in privato con Gendibal. Gendibal era abbastanza giovane da considerare il Piano con occhi nuovi e abbastanza intelligente da intuire cose che agli altri sfuggivano. Non era da escludersi che Shandess stesso avesse da imparare qualcosa da lui.
Nessuno poteva dire con sicurezza quanto Preem Palver in persona – il grande Preem Palver – avesse tratto vantaggio da Kol Benjoam che, non ancora trentenne, era venuto a parlargli dei vari modi in cui si poteva fronteggiare la Prima Fondazione. Benjoam, che in seguito era stato riconosciuto come il più grande teorico dopo Seldon, non aveva mai parlato di quel colloquio privato negli anni successivi, ma alla fine era diventato il ventunesimo primo oratore. Alcuni attribuivano a lui, anziché a Palver, il merito delle grandi realizzazioni dell’amministrazione palveriana.
Shandess si chiese che cosa Gendibal avrebbe potuto dirgli. Di solito i giovani in gamba che incontravano per la prima volta da soli il primo oratore mettevano tutto il succo delle loro teorie nella prima frase. E certo non chiedevano mai quella prima, importante udienza per motivi banali; non potevano rischiare di fare cattiva impressione sul primo oratore e di rovinarsi così la carriera.
Quattro ore dopo Gendibal si trovava davanti a Shandess. Non mostrava il minimo segno di nervosismo e aspettò con calma che il primo oratore iniziasse il discorso.
«Ha chiesto un’udienza privata per discutere di una questione importante, oratore» disse Shandess. «Le spiace dirmi in sintesi di che si tratta?»
E Gendibal, con la stessa tranquillità con cui avrebbe potuto descrivere quello che aveva mangiato a cena, rispose: «Primo oratore, il Piano Seldon non ha senso».