33
Erano passati due giorni e Gendibal si sentiva non tanto depresso quanto piuttosto esasperato. Non c’era motivo perché non si potesse fissare subito un’udienza. Se lui fosse stato impreparato, se avesse avuto bisogno di tempo per organizzare la propria difesa, senza dubbio l’udienza l’avrebbero già fissata da tempo.
Invece, proprio adesso che si prospettava la crisi più grande che si fosse mai vista dall’epoca del Mulo, perdevano tempo, e al solo scopo di irritarlo.
A dire il vero riuscivano in pieno nel loro intento, rifletté. Bene, il suo contrattacco sarebbe stato più pesante: su questo era ben deciso.
Si guardò intorno. L’anticamera era vuota: lo era da due giorni, ormai. Gendibal era un uomo segnato, un oratore che presto avrebbe perso la sua carica in seguito a un’azione di cui non si erano visti precedenti nei cinque secoli di storia della Seconda Fondazione. Tutti erano convinti che sarebbe stato retrocesso, che sarebbe diventato un membro anonimo della Seconda Fondazione, uno fra i tanti.
Era però sempre qualcosa essere dei semplici membri della Seconda Fondazione, specie se si possedeva un titolo come quello di oratore, che Gendibal non avrebbe perso nemmeno dopo l’incriminazione. Sarebbe stato tuttavia assai diverso vivere con quel titolo in mezzo alla folla grigia, non essere più oratori di fatto.
Ma non sarebbe successo, pensò con furia, anche se la situazione non prometteva niente di buono. In quei due giorni soltanto Sura Novi l’aveva trattato come prima, essendo troppo ingenua per comprendere cosa stava accadendo. Ai suoi occhi lui restava sempre mastro tedioso.
Gendibal doveva riconoscere che trovava un certo conforto nella cosa, e ne era seccato. Provò vergogna rendendosi conto che il suo morale migliorava quando lei lo guardava con quell’aria di adorazione. Era dunque talmente mal ridotto da giudicare gratificanti soddisfazioni così piccole?
Dalla Camera uscì un impiegato che gli comunicò che la Tavola era pronta. Gendibal lo conosceva: era uno che sapeva bene quale grado di attenzioni formali meritasse ciascun oratore e al momento quello destinato a lui era spaventosamente basso. Perfino l’impiegato dava per scontata una condanna.
Gendibal entrò. Erano tutti quanti seduti intorno alla Tavola; indossavano le vesti nere che si portavano quando c’era da giudicare qualcuno e avevano un’espressione grave. Il primo oratore Shandess appariva piuttosto a disagio, ma il suo viso non lasciò trasparire neanche il più piccolo segno di benevolenza. Delora Delarmi (le donne oratore erano tre in tutto) non alzò nemmeno gli occhi.
«Oratore Stor Gendibal,» esordì Shandess «lei è stato incriminato per essersi comportato in maniera non confacente a un oratore. Davanti a noi tutti ha accusato la Tavola di tradimento e tentato omicidio, tenendosi sul vago e senza addurre alcuna prova. Ha insinuato che tutti i membri della Seconda Fondazione, compresi gli oratori, avrebbero bisogno di un’analisi mentale completa, che servirebbe a stabilire chi di loro sia ancora degno di fiducia e chi no. Un simile comportamento distrugge i vincoli della solidarietà interna, senza i quali la Seconda Fondazione non può controllare una galassia complessa e potenzialmente ostile, né può procedere all’edificazione sicura di un Secondo impero realmente vitale.
«Poiché noi tutti siamo stati testimoni di queste offese, ci asterremo dal presentare la richiesta formale di giudizio e passeremo direttamente alla fase successiva. Oratore Stor Gendibal, ha una linea di difesa?»
La Delarmi, senza mai alzare lo sguardo verso Gendibal, si concesse un sorrisetto astuto.
«Se la verità può essere considerata una linea di difesa,» disse Gendibal «allora la mia risposta è sì. C’è davvero motivo di sospettare che sia stata aperta una breccia nella cortina della nostra sicurezza. Tale breccia può significare il controllo mentale da parte esterna di uno o più membri della Seconda Fondazione, non esclusi i presenti. Se questa ipotesi è plausibile, come io credo, la Seconda Fondazione si troverà a dover fronteggiare una crisi terribile. Se voi avete anticipato la data di questo processo perché sentite di non poter perdere tempo inutilmente, forse allora riconoscete, anche se in modo vago, la gravità della crisi; in questo caso, però, mi chiedo come mai abbiate sprecato due giorni dopo che io avevo richiesto formalmente un processo immediato...
«Suppongo che sia stata la prospettiva di questa crisi terribile a indurmi a dire ciò che ho detto. Non mi sarei comportato in maniera confacente a un oratore se non avessi parlato come ho parlato.»
«Non fa altro che ribadire l’offesa, primo oratore» disse la Delarmi, pacata.
La sedia di Gendibal era la più lontana dalla Tavola: già un chiaro segno di retrocessione. Lui la spostò ancora più in là, come se la faccenda non gli importasse, e si alzò.
«Intendete giudicarmi ora, su due piedi, in barba alla legge, o posso presentare una difesa articolata?»
«Questa non è una riunione illegale, oratore» disse Shandess. «Non essendoci molta letteratura giuridica a guidarci in questo caso, abbiamo deciso di venire incontro all’imputato; riconosciamo infatti che, davanti al rischio che la giuria, soggetta purtroppo a sbagliare come tutte quelle composte da uomini, condanni un innocente, è preferibile scegliere il rischio meno grave di prosciogliere un colpevole. Perciò, benché l’imputazione di cui si tratta qui sia così seria da non permetterci di prosciogliere il colpevole a cuor leggero, le permetteremo di difendersi nella maniera che lei preferisce e quanto a lungo vorrà, salvo interromperla quando, con voto unanime, compreso il mio,» e qui, per sottolineare la frase, Shandess alzò la voce «decideremo che si è ascoltato abbastanza.»
«Permettete allora che cominci col dirvi che Golan Trevize, il consigliere della Prima Fondazione considerato dal primo oratore e da me l’elemento chiave della crisi incombente, ha scelto nel corso del suo viaggio una rotta inaspettata.»
«Richiesta d’informazione» intervenne la Delarmi. «Come fa l’oratore» (dall’intonazione si capiva chiaramente che l’uso del titolo onorifico era ironico) «a saperlo?»
«L’ho saputo dal primo oratore,» rispose Gendibal «ma mi è stato confermato da una fonte che mi concederete di tenere segreta, considerato il pericolo che incombe al momento sulla nostra sicurezza.»
«Sono disposto a sospendere il giudizio su questo punto e a procedere senza conoscere la sua fonte,» disse Shandess «ma se la Tavola ritiene che dobbiate renderla nota, dovrà farlo, oratore Gendibal.»
«Se l’oratore non ci rivela adesso la sua fonte,» disse la Delarmi «mi pare più che logico dedurne che ha al suo servizio un agente privato che non è tenuto a rendere conto di ciò che fa a noi. Non possiamo essere sicuri che un tale agente obbedisca alle regole di comportamento che i membri della Seconda Fondazione sono tenuti a osservare.»
«Afferro tutte le implicazioni, oratore Delarmi» disse Shandess con un’ombra di disapprovazione. «Non c’è alcun bisogno che me lo spieghi.»
«Le ho menzionate perché siano verbalizzate, primo oratore; costituiscono infatti un punto che aggrava l’offesa e che non appare nell’atto di incriminazione, atto che, tengo a sottolineare, non è stato letto per esteso. Avanzo quindi formale richiesta perché a esso sia aggiunto il punto in questione.»
«Il cancelliere lo aggiunga» disse il primo oratore. «L’esatta formulazione verrà inserita a tempo debito. Quanto a lei, oratore Gendibal,» (lui, se non altro, non pronunciò il titolo onorifico con ironia) «la sua difesa ha fatto indubbiamente un passo indietro. Prosegua.»
«Non solo Trevize ha scelto una rotta inaspettata, ma l’ha anche percorsa a una velocità che non ha precedenti» disse Gendibal. «Secondo le mie informazioni, informazioni che il primo oratore non ha ancora avuto, avrebbe coperto la distanza di diecimila parsec in molto meno di un’ora.»
«Con un unico balzo?» chiese incredulo uno degli oratori.
«Con più di venti balzi, compiuti uno dietro l’altro e quasi senza intervallo» rispose Gendibal. «Una cosa ancora più difficile da concepire del balzo singolo. Anche se adesso si sa qual è la posizione di Trevize ci vorrà tempo per inseguirlo, e se dovesse individuarci e intendesse seminarci non riusciremmo mai a raggiungerlo. E voi ingannate il tempo con questo giochetto dell’incriminazione e lasciate trascorrere due giorni al solo scopo di gustarlo di più...»
Il primo oratore, mascherando l’angoscia, disse: «La prego di dirci quale ritiene sia il significato di tutto ciò, oratore Gendibal».
«Il significato è che la Prima Fondazione ha fatto enormi progressi dal punto di vista tecnologico e che è assai più potente di quanto non fosse all’epoca di Preem Palver. Se venissimo scoperti e se la Prima Fondazione fosse in grado di agire liberamente, non potremmo mai tenerle testa.»
La Delarmi si alzò. «Primo oratore, stiamo perdendo tempo in quisquilie. Non siamo bambini che si fanno spaventare dalle storie di Nonna Spaziotempo. Che importanza ha se la Prima Fondazione dispone di una tecnologia avanzata, quando, in occasione di qualsiasi crisi, le menti dei suoi membri sono sotto il nostro controllo?»
«Quali obiezioni ha da avanzare a queste considerazioni, oratore Gendibal?» domandò Shandess.
«Del controllo delle menti parlerò a tempo debito. Per il momento desidero porre l’accento sulla notevole potenza tecnologica della Prima Fondazione.»
«Passi al punto successivo, oratore Gendibal» lo invitò Shandess. «Devo dire che il primo punto non mi sembra molto pertinente alla materia di cui si tratta nell’atto di incriminazione.»
Ci fu un chiaro segno di approvazione da parte di tutti gli astanti.
«Passerò al secondo punto, allora» disse Gendibal. «Trevize ha un compagno di viaggio, un certo...» (fece una pausa momentanea per riflettere sulla pronuncia giusta) «Janov Pelorat, uno studioso non molto noto, il quale per tutta la vita non ha fatto altro che raccogliere miti e leggende riguardanti la Terra.»
«Quante cose sa sul suo conto! Sempre la sua fonte segreta, immagino?» fece la Delarmi, che si sentiva perfettamente a suo agio nel ruolo di accusatore.
«Sì, so abbastanza cose sul suo conto» disse Gendibal, impassibile. «Alcuni mesi fa il sindaco di Terminus, una donna abile ed energica, ha cominciato, apparentemente senza motivo, a interessarsi a Pelorat, e io non ho potuto fare a meno di interessarmi a lui a mia volta. Né, d’altra parte, ho tenuto la cosa per me: tutte le informazioni che ho raccolto le ho messe a disposizione del primo oratore.»
«Confermo che l’oratore Gendibal dice il vero» sussurrò Shandess.
«Cos’è la Terra?» chiese un oratore anziano. «È il pianeta d’origine di cui si parla nelle favole? Quello che interessava tanto a tutti ai tempi dell’impero?»
Gendibal annuì. «Quello di cui si parla nelle storie di Nonna Spaziotempo, come direbbe l’oratore Delarmi. Credo che il sogno di Pelorat fosse di venire su Trantor a consultare la biblioteca galattica, dove sperava di trovare le informazioni sulla Terra che non è riuscito ad avere tramite il servizio bibliotecario interstellare di Terminus.
«Quando è partito assieme a Trevize, penso che fosse convinto di essere sul punto di realizzare il suo sogno. In ogni caso noi ritenevamo che i due venissero qui e contavamo di esaminarli per i nostri scopi. È successo invece, come tutti ora sapete, che Trevize ha scelto una destinazione che non ci è ancora nota, e per una ragione che tuttora ignoriamo.»
Con un’espressione assolutamente serafica sul viso tondo, la Delarmi disse: «E perché mai questo fatto dovrebbe turbarci? La loro assenza non peggiora certo la nostra situazione. Anzi, poiché hanno rinunciato così facilmente all’idea di dirigersi qui, viene spontaneo pensare che la Prima Fondazione ignori la vera natura di Trantor. Del che dobbiamo ringraziare Preem Palver e la sua opera».
«Chi non si fermi a riflettere più attentamente può in effetti giungere a una conclusione così confortante» disse Gendibal. «Il cambiamento di meta potrebbe tuttavia non dipendere dall’ignoranza, ma, al contrario, da un’eccessiva consapevolezza, dalla paura che Trantor, dall’esame di quei due uomini, capisca l’importanza della Terra.»
Tra gli oratori si creò un certo scompiglio, a quel discorso.
«È facile pronunciare frasi altisonanti, che fanno effetto» intervenne la Delarmi. «Ma, a ben guardare, queste frasi hanno poi un senso? Io direi di no. Perché dovrebbe importare a qualcuno se noi pensiamo o meno alla Terra? Che sia il vero pianeta d’origine o che sia un mito, dovrebbe in ogni caso essere oggetto d’interesse soltanto per gli storici, gli antropologi e i maniaci che collezionano leggende, come quel Pelorat. Non certo per noi.»
«Già, non per noi» disse Gendibal. «Come mai allora, se siamo così neutrali nei confronti della Terra, nella biblioteca manca qualsiasi riferimento a essa?»
Per la prima volta si respirò nella sala un’atmosfera non di ostilità.
«Ne è certo?» chiese la Delarmi.
Gendibal rispose, calmissimo: «Quando ho saputo che Trevize e Pelorat sarebbero venuti qui a cercare informazioni riguardanti la Terra, ho ordinato al computer della biblioteca di fare un elenco dei documenti contenenti tali informazioni. Dapprima non mi sono meravigliato molto quando è risultato che i dati mancavano del tutto, che non c’era nulla, assolutamente nulla. Poi, però, non appena ho saputo che Trevize e Pelorat non sarebbero venuti, la mia curiosità si è risvegliata e, poiché avete indugiato due giorni prima di fissare quest’udienza, ho pensato di occupare il mio tempo in modo proficuo. Così, mentre voi, come si suol dire, sorseggiavate vino senza accorgervi dell’imminente crollo della casa, ho consultato alcuni libri di storia in mio possesso. Mi sono imbattuto in passi dove si parlava specificamente di alcune ricerche compiute sulla questione delle origini all’epoca tardo-imperiale. Si faceva riferimento a particolari documenti, sia stampati sia filmati, e vi si citava addirittura qualche brano. Sono tornato alla biblioteca e ho cercato personalmente quei documenti. Vi assicuro che non c’è proprio nulla».
«Anche ammesso che non si sbagli» disse la Delarmi «non c’è da sorprendersi. Se la Terra è in realtà solo un mito...»
«Allora si troverebbero tracce della sua immaginaria esistenza nei libri di mitologia. Se quella della Terra fosse una storia di Nonna Spaziotempo, la si troverebbe nelle antologie di racconti di Nonna Spaziotempo. Se fosse invece la fantasia di una mente malata, se ne troverebbe testimonianza nei volumi di psicopatologia. Qualcosa che parli della Terra deve esistere, altrimenti come potremmo conoscere il suo nome e sapere che è quello del supposto pianeta d’origine della specie umana? Come mai di tale nome non c’è traccia nella biblioteca, da nessuna parte?»
La Delarmi rimase per un attimo in silenzio, e a intervenire fu un altro oratore, Leonis Cheng, un ometto che conosceva il Piano Seldon in ogni più piccolo particolare ma la cui conoscenza della situazione reale della galassia presentava alcune lacune. Quando parlava, aveva l’abitudine di sbattere le palpebre in continuazione.
«È noto a tutti» disse Cheng «che l’impero, quando fu prossimo alla fine, tentò di creare una mistica imperiale attenuando ogni interesse per l’epoca pre-imperiale.»
Gendibal annuì. «“Attenuare” è il termine esatto, oratore Cheng. Siamo ben lontani dalla totale distruzione di ogni testimonianza. Come lei dovrebbe sapere meglio di chiunque altro, un’altra caratteristica della decadenza dell’impero fu l’improvviso interesse per epoche antiche che si presumevano migliori. Ho appena fatto riferimento all’interesse per la questione delle origini tipico dell’era di Hari Seldon.»
Cheng interruppe Gendibal schiarendosi rumorosamente la voce. «So benissimo tutto questo, giovanotto, e conosco i problemi sociali della decadenza imperiale molto meglio di quanto lei non sembri pensare. Il processo di imperializzazione assorbì le disquisizioni dilettantesche riguardanti la Terra. Sotto Cleon II, durante l’ultima fase di ripresa dell’impero, ovvero due secoli dopo Seldon, l’imperializzazione giunse al massimo e tutte le speculazioni concernenti la questione della Terra terminarono. Risale all’epoca di Cleon un ammonimento ufficiale dove questo genere di cose viene definito – e credo che la mia citazione sia corretta – “vana e improduttiva disquisizione che tende a indebolire l’amore del popolo per il trono imperiale”.»
Gendibal sorrise. «Allora è all’epoca di Cleon II che lei ritiene risalga la distruzione di ogni riferimento alla Terra, oratore Cheng?»
«Non traggo conclusioni. Ho semplicemente fatto un’affermazione.»
«È saggio da parte sua non trarre conclusioni. All’epoca di Cleon II l’impero sarà anche stato in fase di ripresa, ma l’università e la biblioteca erano in mano nostra, o meglio in mano dei nostri predecessori. Sarebbe stato impossibile togliere materiale dalla biblioteca all’insaputa degli oratori della Seconda Fondazione. Anzi, se uno avesse voluto fare questo, avrebbe dovuto assegnare agli oratori stessi il compito di rimuovere il materiale, e l’impero non ne avrebbe saputo nulla.»
Gendibal fece una pausa, ma Cheng rimase in silenzio a fissare un punto indefinito sopra la testa del giovane.
Gendibal proseguì: «È logico pensare che la documentazione riguardante la Terra non abbia potuto essere tolta dalla biblioteca all’epoca di Seldon, visto che a quel tempo era assai vivo l’interesse per la questione delle origini. Tuttavia è altrettanto logico credere che non abbia potuto essere tolta dopo, visto che tutto era sotto il controllo della Seconda Fondazione. Eppure i documenti mancano. Come mai?».
«Va bene, Gendibal, abbiamo afferrato la portata del dilemma, non c’è bisogno che la faccia tanto lunga» intervenne la Delarmi in tono spazientito. «Quale pensa sia la possibile soluzione? Che è stato lei stesso a sottrarli?»
«Come al solito, Delarmi, lei mira al cuore di ogni questione» disse Gendibal, chinando la testa in segno di ironico rispetto (al che la Delarmi sollevò lievemente le labbra). «Una possibile soluzione è che a sottrarre i documenti sia stato un oratore della Seconda Fondazione, uno che sapeva come servirsi dei sovrintendenti della biblioteca senza lasciare alcun ricordo in loro e come servirsi dei computer senza lasciare traccia del suo operato.»
Shandess arrossì. «È ridicolo, oratore Gendibal. Non posso immaginare che un oratore possa fare questo. Che motivo avrebbe? E anche se per qualche ragione ritenesse giusto sottrarre la documentazione riguardante la Terra, perché mai eviterebbe di rendere nota tale ragione al resto della Tavola? Perché correre il rischio di veder distrutta la propria carriera quando le probabilità di essere scoperti sono così elevate? E poi, credo che nemmeno il più abile degli oratori potrebbe portare a termine un’impresa del genere senza lasciare tracce.»
«Allora immagino che lei dissenta dall’oratore Delarmi, che ha insinuato che il responsabile potrei essere io.»
«Certamente» disse Shandess. «A volte mi pare che non mostriate troppo discernimento, tuttavia sono ancora lontano dal considerarvi pazzo.»
«Allora come può essere successo quello che è successo, primo oratore? I documenti devono trovarsi ancora nella biblioteca, dato che a quanto sembra abbiamo giudicato improbabili tutte le sue ipotesi... Eppure non ci sono.»
Ostentando insofferenza, la Delarmi disse: «Va bene, va bene, concludiamo. Le ripeto ancora, Gendibal: quale soluzione suggerisce al dilemma? Sono sicura che ne ha una».
«Se ne è sicura lei, ne possiamo essere sicuri tutti, oratore. Secondo me, i documenti sono stati sottratti da un membro della Seconda Fondazione che era sotto il controllo di una misteriosa entità esterna alla Fondazione stessa. Il fatto non è stato notato perché la medesima entità ha provveduto a che nessuno lo notasse.»
La Delarmi rise. «Finché un giorno non è arrivato lei. Lei, l’incontrollato e l’incontrollabile. Se questa misteriosa entità esistesse veramente, come avrebbe potuto scoprire che il materiale è scomparso? Perché mai non sarebbe controllato?»
Gendibal rispose con aria grave: «Non è questione su cui si possa fare dell’ironia, oratore. Le persone di cui ipotizzo l’esistenza possono pensare che le interferenze vadano ridotte al minimo, come del resto pensiamo anche noi in qualità di membri della Seconda Fondazione. Quando ho corso il rischio di morire, pochi giorni fa, ero più ansioso di evitare ogni intervento indebito su una mente hamiana che di proteggere me stesso. Identica cosa può essere accaduta a questi ignoti controllori; appena hanno creduto che la situazione fosse ormai priva di incognite, hanno smesso di interferire. E se così è, ci troviamo davanti a un pericolo terribile. Il fatto che abbia potuto scoprire cos’è successo può significare che a loro non interessa più essere scoperti o meno, il che vuol dire che ritengono di avere già vinto. E noi stiamo qui a giocare al processo!».
«Ma che scopo mai potrebbero avere?» chiese la Delarmi muovendo i piedi nervosamente e mordendosi le labbra. Sentiva di stare perdendo il suo potere, adesso che gli oratori erano sempre più interessati al discorso di Gendibal, e sempre più preoccupati.
«Rifletta» disse Gendibal. «La Prima Fondazione, con la sua eccezionale potenza tecnologica, sta cercando la Terra. Vuol farci credere che in cerca della Terra siano andati due semplici esuli, ma se fossero veramente tali sarebbero stati messi a bordo di un’astronave capace di percorrere diecimila parsec in meno di un’ora? Non credo proprio. Quanto a noi, la Seconda Fondazione, non abbiamo cercato affatto la Terra e qualcuno, a nostra insaputa, ha provveduto chiaramente a fare in modo che non disponessimo di alcun dato informativo sul supposto pianeta d’origine. E adesso la Prima Fondazione è li lì per trovarlo, mentre noi siamo così lontani dal farlo che...»
Gendibal s’interruppe e la Delarmi disse: «Allora? Concluda la sua storiella puerile. Sa qualcosa o no?».
«Non so tutto, oratore. Non ho penetrato in profondità la ragnatela che ci circonda, ma so che c’è. Non so quale significato si celi dietro questa ricerca della Terra, ma sono sicuro che la Seconda Fondazione sia in grande pericolo e con essa il Piano Seldon e il futuro di tutta l’umanità.»
La Delarmi si alzò. Non sorrideva più e parlò con voce tesa, anche se perfettamente controllata. «Che sciocchezze! Primo oratore, ponga termine a questa farsa! Qui si deve discutere del comportamento dell’accusato. Ciò che dice non solo è puerile, ma anche non pertinente. Non può cercare attenuanti al suo comportamento costruendo una ragnatela di ipotesi che ha un senso soltanto nella sua mente. Chiedo che si voti adesso sulla materia che siamo chiamati a giudicare. Che si voti all’unanimità per la condanna.»
«Un attimo» disse Gendibal, secco. «Mi è stato detto che avrei avuto l’opportunità di difendermi e resta ancora un punto della mia linea di difesa da discutere. Permettetemi di esporlo e dopo potrete liberamente votare senza incontrare alcuna obiezione da parte mia.»
Shandess si sfregò gli occhi con aria stanca. «Continui pure, oratore Gendibal. Vorrei far presente alla Tavola che quello di condannare un oratore è un atto così grave e così privo di precedenti che non possiamo non concedere all’imputato la possibilità di difendersi liberamente. Si ricordi anche che per quanto il verdetto possa lasciare soddisfatti noi, potrebbe non lasciare altrettanto soddisfatti i nostri successori, e non posso credere che un membro della Fondazione, di qualsiasi livello sia, e più che mai un oratore, non comprenda fino in fondo quanto sia importante la prospettiva storica. Agiamo dunque in modo da essere sicuri dell’approvazione degli oratori che ci succederanno nei secoli a venire.»
La Delarmi disse aspra: «Corriamo il rischio di farci deridere dalla posterità per aver discusso all’infinito su questioni più che ovvie, primo oratore. La decisione di permettere all’accusato di procedere con la sua difesa è solo sua».
Gendibal trasse un profondo respiro. «In linea con la sua decisione allora, primo oratore, vorrei chiamare a deporre un testimone, una giovane donna che ho conosciuto tre giorni fa e senza la quale invece di arrivare in ritardo alla riunione della Tavola sarei potuto non arrivare affatto.»
«Noi conosciamo la donna di cui parla?» chiese Shandess.
«No, primo oratore. È nativa del pianeta.»
La Delarmi sgranò gli occhi. «Una hamiana?»
«Sì, proprio così.»
«Che cosa abbiamo a che vedere noi con quelli?» disse la Delarmi. «Niente di ciò che dicono può avere la benché minima importanza. Non esistono!»
Gendibal scoprì i denti in una smorfia che non avrebbe mai potuto essere scambiata per un sorriso e disse brusco: «Tutti gli hamiani esistono, fisicamente. Sono esseri umani e hanno il loro ruolo nel Piano Seldon. Anzi, proteggendo indirettamente la Seconda Fondazione, svolgono un ruolo decisivo. Desidero dissociarmi dai sentimenti razzisti espressi dall’oratore Delarmi e spero che la sua osservazione verrà messa a verbale e considerata in futuro una dimostrazione di come la carica di primo oratore possa esserle poco confacente. Il resto della Tavola approva forse questa osservazione inaudita e intende privarmi della mia testimone?».
«Chiami la sua testimone, oratore» disse Shandess.
Il viso di Gendibal tornò ad assumere l’espressione indifferente che gli oratori avevano quando si trovavano sotto pressione; la smorfia scomparve dal viso e la mente, dietro la barriera protettiva da cui era recinta, avvertì che il pericolo era passato e che la vittoria era sicura.