5
Lo psicologo
Coloro che si dedicavano alla ricerca scientifica erano gli uomini più liberi della Fondazione. In una galassia dove il predominio, e persino la sopravvivenza stessa della Fondazione si basavano sulla sua superiorità tecnologica, era naturale che, malgrado gli abusi di potere che si erano verificati nell’ultimo secolo, la comunità degli scienziati godesse di diritti particolari. Era una necessità e gli interessati lo sapevano.
Di conseguenza Ebling Mis – solamente chi non lo conosceva aggiungeva il titolo al suo nome – era l’individuo più libero della Fondazione. In un mondo dove la scienza era rispettata, lui era lo scienziato per eccellenza. C’era bisogno del suo contributo e se ne rendeva perfettamente conto.
Così succedeva che, mentre gli altri erano costretti a inginocchiarsi, lui si rifiutava e faceva notare ad alta voce che i suoi antenati non avevano mai dovuto farlo davanti a nessun sindaco puzzolente. Affermava inoltre che ai tempi dei suoi antenati i sindaci venivano eletti dal popolo e potevano essere cacciati a pedate se non erano graditi. Infine sosteneva che per diritto di nascita si eredita solo l’idiozia congenita.
Per questo, quando Ebling Mis decideva di onorare il sindaco di una sua visita, faceva a meno di passare attraverso la complicata procedura burocratica che regolava le udienze. Una volta, dopo essersi buttato sulle spalle la giacca meno rovinata delle due che possedeva e calcato sulla testa un cappellaccio dalla strana forma, si accese un sigaro ed entrò nel palazzo del sindaco senza nemmeno degnare di uno sguardo i poliziotti alle porte.
Il sindaco si rese conto dell’intrusione quando avvertì un mormorio dapprima confuso esplodere in esclamazioni e imprecazioni.
Lentamente Indbur posò la sua zappetta e si alzò accigliato. Era solito concedersi solo due ore di riposo nell’arco della giornata, che dedicava al giardino se il tempo lo permetteva. Nel suo giardino i fiori crescevano ordinatamente, in quadrati e triangoli gialli o rossi. I vertici delle figure geometriche erano d’un color violetto e i lati erano delimitati da una fascia verde. Tutto era di una simmetria stupefacente. Quando era in giardino, nessuno poteva disturbarlo.
Indbur si tolse i guanti sporchi di terra e si diresse verso la porta del giardino.
«Che cosa significa questo baccano?» sbottò irritato.
Per tutta risposta il corpo di Mis atterrò ai suoi piedi, mentre brandelli della sua giacca erano ancora in mano di chi aveva cercato di trattenerlo.
Indbur fece un passo indietro con aria solenne, aggrottando la fronte, e Mis si chinò a raccogliere quello che rimaneva del suo cappello, scrollandolo dalla polvere e mettendoselo sotto il braccio.
«Stammi bene a sentire, Indbur, metterò in conto a quei maledetti uomini che tieni davanti alla porta una giacca nuova. Questa era ancora in ottimo stato.» Sbuffò e si asciugò il sudore della fronte con gesto teatrale.
Il sindaco si era irrigidito e lo guardava disgustato, poi drizzandosi in tutto il suo metro e cinquantotto di statura, disse: «Non mi risulta che tu abbia chiesto udienza, Mis. O per lo meno non ti è stato concesso il visto».
Mis lo guardò stupito. «Per la galassia, Indbur, non hai ricevuto il biglietto che ti ho mandato ieri? L’ho consegnato di persona a un tale in uniforme. Te l’avrei consegnato io stesso, ma so quanto tu ci tieni alle formalità.»
«Formalità!» sbottò Indbur esasperato. «È così che chiami una buona organizzazione. In futuro dovrai presentare domanda d’udienza in triplice copia al funzionario governativo addetto a questo incarico. Poi dovrai aspettare che la pratica proceda finché non riceverai la notifica che ti specificherà il giorno e l’ora dell’udienza. Inoltre ti dovrai presentare vestito decorosamente. Ora puoi andare.»
«Che cosa c’è che non va nel mio abbigliamento? Era un’ottima giacca prima che i tuoi uomini me la facessero a pezzi. E me ne andrò non appena ti avrò messo al corrente. Per la galassia, se non si fosse trattato di una Crisi Seldon non sarei certo venuto a trovarti.»
«Una Crisi Seldon!» Indbur sembrò interessarsi. Mis era un grande psicologo, un democratico, testardo e di sicuro ribelle, ma pur sempre uno psicologo. Indbur riuscì perfino a frenare la stizza che provò quando lo vide accendersi un sigaro.
«Seguimi» disse con freddezza. «Questo giardino non è il luogo adatto per conversazioni serie.»
Si sentì meglio seduto dietro la scrivania sopraelevata dalla quale poteva guardare dall’alto in basso il cranio quasi calvo dello scienziato. Si sentì ancora meglio quando Mis, dopo aver tentato inutilmente di trovare una sedia, rimase in piedi dondolandosi. Ma si sentì completamente a proprio agio solo quando, in risposta all’attenta pressione di un contatto corretto, comparve accanto a lui un librone enorme rilegato in metallo.
«Ora è tutto in ordine» disse Indbur finalmente padrone della situazione. «Affinché questa udienza non autorizzata non si prolunghi oltre lo stretto necessario, cerca di essere il più conciso possibile.»
Mis parlò senza fretta. «Sai che cosa sto facendo in questi giorni?»
«Ho qui i rapporti» rispose il sindaco soddisfatto. «Se non ho capito male, i tuoi studi sulla matematica della psicostoria sono intesi a duplicare il lavoro di Hari Seldon, ed eventualmente a rintracciare il piano generale della storia futura mettendolo al servizio della Fondazione.»
«Esatto» commentò Mis seccato. «Quando Seldon creò la Fondazione, fu abbastanza saggio da non includere psicologi tra gli scienziati che trasferì su questo pianeta. Di conseguenza la Fondazione ha sempre operato alla cieca secondo il corso della necessità storica. Per le mie ricerche mi sono servito ampiamente dei sottintesi che si possono ricavare dalle notizie forniteci da Hari Seldon nella Volta del Tempo.»
«Mi rendo conto perfettamente di tutto ciò, Mis. È inutile ripetermelo.»
«Non ripeto niente» ribatté Mis seccato. «Ciò che sto per dirti non è contenuto nei rapporti.»
«Come è possibile che tu non l’abbia già scritto? Come hai osato...»
«Per la galassia! Fammi parlare. E non offenderti per ogni sciocchezza. Smettila di blaterare e di far domande ogni volta che apro bocca. Ricordati, sciocco che non sei altro, che la Fondazione se la caverà per necessità storica, ma se io me ne vado adesso... sarai tu a non cavartela.»
Sbatté il cappello sul pavimento sollevando una nuvola di polvere, saltò sulla scrivania, con una manata liberò un angolo del tavolo dai fogli e vi si sedette.
«Dottor Mis» cominciò il sindaco debolmente, cercando di mantenere le distanze. «Deve...»
«Chiudi il becco» rispose Mis ferocemente «e ascolta. Se questa roba qui» e diede un gran colpo sul libro rilegato in metallo «contiene i miei rapporti, buttalo via. Ogni rapporto che scrivo passa attraverso le mani di per lo meno venti funzionari, poi arriva alle tue e quindi ripassa per venti mani diverse. Il sistema va bene quando non si vuol mantenere un segreto. Io invece ho informazioni confidenziali. Tanto confidenziali che nemmeno quelli che lavoravano con me ne sapevano qualcosa. Vi hanno lavorato, ovvio, ma ognuno separatamente... Poi ho messo insieme i documenti necessari. Sai che cos’è la Volta del Tempo?»
Indbur annuì e Mis continuò con aria divertita. «Ebbene, te lo spiegherò ugualmente. Ho immaginato questa situazione da parecchio tempo. Io riesco a leggere nella tua mente, buffone rammollito. Tu hai posato la mano sul bottone col quale puoi chiamare a raccolta cinquecento uomini armati e pronti a eliminarmi, tuttavia hai paura di quello che sto per dirti: hai paura della Crisi Seldon. A parte il fatto che se tu osi toccare qualcosa sulla scrivania io ti rompo la testa prima che faccia in tempo ad arrivare qualcuno nella stanza. Tu, quel bandito di tuo padre e quel pirata di tuo nonno avete succhiato abbastanza sangue alla Fondazione.»
«Questo è un tradimento» balbettò Indbur.
«Certo, e che cosa hai deciso di fare in proposito? Ma lasciami spiegare che cos’è la Volta del Tempo. Fu creata da Hari Seldon su questo pianeta per aiutarci nei momenti difficili. Per ogni crisi, Seldon ha preparato una registrazione che ci avrebbe aiutato e dato una spiegazione. Finora ci sono state quattro crisi e quattro apparizioni. La prima volta è apparso al culmine della crisi. La seconda, un momento dopo la soluzione della seconda crisi. I nostri antenati lo hanno ascoltato in tutt’e due i casi. Durante la terza e la quarta crisi, Seldon è stato ignorato, probabilmente perché non ce n’era bisogno. Ma i miei studi recenti, quelli di cui non si parla nei documenti che ti ho mandato, provano che anche allora è apparso, e al momento giusto. Capisci?»
Non attese che l’altro rispondesse. Buttò il mozzicone del sigaro ormai inutilizzabile e se ne accese un altro, tirando rapide boccate di fumo.
«Ufficialmente» proseguì «cercavo di ricostruire la scienza della psicostoria. Ebbene nessun uomo è capace di un lavoro simile, nemmeno se avesse a sua disposizione un secolo di vita. Mi sono servito di questa scusa per lavorare in segreto alla Volta del Tempo. Sono riuscito a determinare con una certa esattezza il giorno in cui apparirà nuovamente Hari Seldon. In parole povere posso darti la data esatta del culmine della quinta crisi.»
«E fra quanto tempo si verificherà?»
Mis scoppiò in una gran risata. «Tra quattro mesi. Quattro brevi mesi, meno due giorni.»
«Quattro mesi!» esclamò il sindaco con veemenza. «Impossibile.»
«Impossibile un corno.»
«Quattro mesi? Lo sai che cosa significa? Perché una crisi raggiunga il culmine in quattro mesi bisogna che sia in atto da anni.»
«E perché no? Esiste una legge che le imponga di svilupparsi alla luce del giorno?»
«Ma non c’è nulla che ci minacci. Niente incombe su di noi.» Indbur si tormentava le mani per l’ansia. Poi, con una improvvisa esplosione d’ira, urlò: «Scendi dalla mia scrivania e lascia che rimetta in ordine. Come posso riflettere con tutta questa confusione?».
Mis lo guardò, si alzò dalla scrivania e si spostò di lato.
Indbur rimise a posto i fogli con ansia febbrile, poi parlò in fretta. «Tu non hai il diritto di venire qui così. Se volevi sottopormi la tua teoria...»
«Non si tratta di una teoria.»
«Io dico che lo è. Se l’avessi presentata con i relativi documenti e testimonianze, l’avrei fatta controllare dall’Istituto superiore di storia. In tal modo sarebbe stata esaminata accuratamente e sottoposta alla mia attenzione, dopo di che avrei preso i provvedimenti necessari. Così mi hai fatto perdere la bussola senza ragione. Ecco qui, l’ho trovato.»
Si trattava di un foglio di carta trasparente e argentata che il sindaco consegnò allo psicologo.
«È un breve sommario, compilato settimanalmente da me, degli avvenimenti di politica estera. Ascolta: abbiamo concluso i negoziati per un trattato commerciale con Mores, i negoziati con Lyonesse continuano, abbiamo mandato una delegazione per i festeggiamenti di non so che cosa su Bonde, abbiamo ricevuto una protesta da Kalgan e promesso di considerare la faccenda, a nostra volta abbiamo protestato contro Aspera per il modo di commerciare poco ortodosso e ci è stato promesso di rimediare...» Il sindaco seguitò a leggere una lunga lista sottovoce, poi posò il foglio di carta nello schedario.
«Ebbene, Mis, non esiste niente che non sia perfettamente sotto controllo.»
La porta in fondo alla sala venne spalancata con violenza e un notabile entrò.
Indbur si alzò a metà sulla sedia. Era confuso: troppi avvenimenti si susseguivano uno dietro l’altro. Dopo l’irruzione di Mis adesso era il turno di quest’altro impertinente. E si trattava per giunta del suo segretario che, se non altro, avrebbe dovuto conoscere bene il cerimoniale.
Il segretario s’inginocchiò.
«Ebbene?» domandò Indbur seccato.
«Eccellenza,» disse il segretario con lo sguardo rivolto al pavimento «il capitano Pritcher del servizio informazioni è tornato da Kalgan disobbedendo ai suoi ordini e alle precedenti istruzioni, protocollo numero X20-513. È in arresto e attende di essere condannato a morte, mentre i due che lo accompagnavano sono stati trattenuti per essere interrogati. È pronto un rapporto completo.»
«Ho ricevuto la segnalazione. E allora?» Indbur sembrava preoccupato.
«Eccellenza, il capitano Pritcher ci ha informato dei pericolosi sviluppi che poteva prendere la situazione a causa del nuovo governatore di Kalgan. Secondo il suo dettato numero X20-651 non gli è stato concesso di essere ascoltato, ma i suoi commenti sono stati registrati.»
Indbur urlò. «Ho ricevuto il rapporto anche di questo! E allora?»
«Eccellenza, un quarto d’ora fa è giunta una comunicazione dalla frontiera salinniana. Astronavi identificate come provenienti da Kalgan hanno varcato i confini del territorio della Fondazione, senza autorizzazione. Le astronavi sono armate. C’è stato uno scontro.»
Il segretario era quasi piegato in due. Indbur era rimasto in piedi. Ebling Mis si scosse, s’avvicinò al segretario e gli batté sulla spalla.
«È meglio che faccia rilasciare questo capitano Pritcher immediatamente e lo porti qui. Vada.»
Il segretario uscì e Mis si rivolse al sindaco. «Non pensi che sia ora di mettere in moto la macchina? Ricordati: hai soltanto quattro mesi di tempo.»
Indbur rimase in piedi, con gli occhi vitrei. Un solo dito sembrava in vita: tracciava rapidamente triangoli sulla superficie liscia della scrivania.