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A Seldon mancava l’autocontrollo di Demerzel, dal momento che era fatto soltanto di carne e sangue. La convocazione nel suo ufficio e l’improvviso illuminarsi del campo di disturbo accompagnato da un fievole tintinnio erano indizi sufficienti che stava accadendo qualcosa di insolito. Prima di allora aveva già usato linee schermate, ma mai nel pieno fulgore della sicurezza imperiale.
Era convinto di veder comparire qualche funzionario che gli avrebbe annunciato Demerzel e, considerato il tumulto crescente che stava accompagnando la diffusione su Trantor del volantino con il robot, non poteva aspettarsi nulla di meno.
Ma non si aspettava neppure nulla di più e, quando l’immagine dell’imperatore in persona, delineata dal debole luccichio del campo di disturbo, mise piede (per così dire) nel suo ufficio, Seldon ricadde a sedere sulla poltroncina con la bocca spalancata, incapace di sollevarsi.
Cleon gli fece cenno con impazienza di restare seduto. «Saprà di certo cosa sta succedendo, Seldon.»
«Vi riferite per caso al volantino del robot, sire?»
«Proprio a quello. Cosa dobbiamo fare?»
Nonostante il permesso di restare seduto, finalmente Seldon riuscì ad alzarsi. «C’è dell’altro, sire. Joranum sta organizzando raduni in tutto Trantor per discutere la faccenda del robot. Almeno, questo hanno detto i notiziari.»
«A me la notizia non è ancora arrivata. Logico, perché l’imperatore dovrebbe essere informato di quello che succede?»
«L’imperatore non ha motivo di preoccuparsi, sire. Sono certo che il primo ministro...»
«Il primo ministro non vuole fare nulla, neppure tenermi al corrente. Mi rivolgo a lei e alla psicostoria. Mi dica che cosa fare.»
«Sire?»
«Non intendo reggere il suo gioco, Seldon. Sta lavorando alla psicostoria da otto anni. Il primo ministro mi dice che non devo tentare alcuna azione legale contro Joranum. Allora, che cosa devo fare?»
«S-sire!» balbettò Seldon. «Nulla!»
«Non ha nulla da dirmi?»
«No, sire, non intendevo questo. Volevo dire che non dovete fare nulla. Il primo ministro ha perfettamente ragione se dice che non dovete tentare azioni legali. Servirebbe solo a peggiorare le cose.»
«Molto bene. Cosa le farà migliorare?»
«Da parte vostra, non fare nulla. Da parte del primo ministro, non fare nulla. E da parte del governo, consentire a Joranum di fare quello che vuole.»
«Come potrà esserci d’aiuto, questo immobilismo?»
Cercando di soffocare la nota di disperazione nella sua voce, Seldon rispose: «Lo si vedrà ben presto».
L’imperatore sembrò sgonfiarsi di colpo, come se tutta l’ira e l’indignazione gli fossero state aspirate dal corpo. «Ah! Capisco! Ha saldamente in pugno la situazione.»
«Sire, non ho detto che...»
«Non è necessario che dica altro, ho sentito abbastanza. Ha saldamente in pugno la situazione ma io voglio dei risultati. Mi rimangono sempre le guardie imperiali e l’esercito. Loro sapranno dimostrarsi leali e, nel caso si dovesse giungere ad autentici disordini, non avrò esitazioni. Ma prima le offrirò la sua opportunità.»
L’immagine svanì in un lampo e Seldon ricadde seduto, fissando semplicemente lo spazio vuoto dove fino a un istante prima c’era stato l’imperatore.
Fin dal primo sciagurato momento in cui aveva menzionato la psicostoria al Convegno decennale di otto anni prima si era sempre trovato a fronteggiare il fatto che lui non disponeva di ciò di cui aveva incautamente parlato.
Aveva soltanto il pallido spettro dei suoi pensieri e quella che Yugo Amaryl chiamava “intuizione”.