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Cleon I aveva terminato il pranzo che era stato dato, purtroppo, in occasione di un ricevimento ufficiale. Si era dovuto soffermare a parlare con vari funzionari (che non conosceva o non aveva riconosciuto), usando frasi fatte che servissero a lusingare tutti e a stimolare la fedeltà verso la corona. Il che significava, tra le altre cose, che le portate erano arrivate davanti a Cleon già tiepide e che si erano raffreddate ulteriormente prima che lui potesse mangiare.
Doveva esserci il modo di evitare quell’inconveniente. Mangiando prima, forse, da solo o con un paio di amici intimi con cui rilassarsi, per poi partecipare al pranzo ufficiale dove magari si sarebbe fatto servire soltanto una pera d’importazione. Le pere gli piacevano molto. Ma gli ospiti si sarebbero offesi? Avrebbero interpretato il rifiuto di mangiare insieme come un insulto deliberato?
Naturalmente, sua moglie era inutile in questo caso, perché la sua presenza avrebbe acuito ancora di più l’infelicità di Cleon. L’aveva sposata perché apparteneva a una potente famiglia dissidente, che a rigor di logica sarebbe stata meno ostile in seguito a quell’unione, ma in cuor suo Cleon non aveva mai desiderato da lei un particolare attaccamento. Anzi, il contrario. Gli andava benissimo che vivesse la sua vita negli appartamenti che le avevano assegnato, a parte i contatti necessari a mettere al mondo un erede, perché a Cleon francamente quella donna non piaceva. E adesso che l’erede era arrivato, lui poteva ignorarla completamente.
Mangiò una delle nocciole che si era infilato in tasca lasciando la tavola e chiamò: «Demerzel!».
«Sire?»
Demerzel accorreva subito quando Cleon chiamava. Forse si teneva a portata d’orecchio accanto alla porta, o forse si avvicinava perché il suo istinto servile gli diceva che entro pochi minuti avrebbe potuto essere convocato. In ogni caso arrivava immancabilmente, rifletté ozioso l’imperatore, ed era quello l’importante. A volte Demerzel doveva assentarsi per affari imperiali e Cleon detestava tali assenze. Lo innervosivano.
«Che ne è del matematico? Il suo nome mi sfugge.»
Demerzel, che senza dubbio sapeva di chi stesse parlando ma che forse voleva verificare quanto ricordasse, rispose: «A chi vi riferite, sire?».
Cleon agitò la mano, impaziente. «All’indovino. A quello che è venuto da me.»
«Quello che abbiamo chiamato?»
«D’accordo, quello che abbiamo chiamato ed è venuto da me. Dovevi occuparti tu della faccenda, se ben ricordo. L’hai fatto?»
Demerzel si schiarì la voce. «Ho provato, sire.»
«Ah! Questo significa che hai fallito, vero?» Cleon provò una certa soddisfazione. Tra i suoi ministri, Demerzel era l’unico a riconoscere apertamente i propri insuccessi. Gli altri non ammettevano mai il fallimento, e dato che i fiaschi erano comunque frequenti era difficile far loro perdere il vizio. Forse Demerzel poteva permettersi di essere più onesto perché era rarissimo che fallisse. Se non fosse stato per lui, pensò mesto Cleon, probabilmente non avrebbe mai saputo cosa fosse l’onestà. Forse gli imperatori non lo sapevano mai, e questa era una delle ragioni per cui l’impero...
Accantonò quei pensieri, irritato dal silenzio di Demerzel, e, volendo un’ammissione proprio perché aveva appena ammirato la sua onestà, scattò brusco: «Ebbene hai fallito, vero?».
Demerzel non batté ciglio. «In parte, sire. A mio avviso, la presenza del matematico qui su Trantor, dove le cose sono difficili, avrebbe potuto crearci dei problemi. È stato semplice concludere che il suo pianeta natale sarebbe stato un posto più tranquillo. Il matematico intendeva tornarci il giorno seguente, ma esisteva sempre la possibilità che sorgesse qualche complicazione. Che decidesse di rimanere su Trantor. Così ho dato disposizioni perché due teppisti da strada lo caricassero sulla sua astronave quello stesso giorno.»
«Conosci dei teppisti da strada, Demerzel?» chiese Cleon divertito.
«Sire, è importante avere contatti con vari tipi di persone perché ognuno si presta a diversi impieghi. Anche i teppisti, ma in questo caso quei due hanno fallito.»
«Come mai?»
«Fatto strano, Seldon ha lottato ed è riuscito a respingerli.»
«Un matematico capace di lottare?»
«Evidentemente la matematica e le arti marziali non si escludono a vicenda. Ho scoperto troppo tardi che il suo mondo, Helicon, è famoso proprio per le arti marziali, non per i calcoli. La mia scoperta tardiva è stata davvero una grave mancanza, sire, non posso che implorare il vostro perdono.»
«Be’, il matematico sarà partito per il suo pianeta il giorno dopo. Come intendeva fare, suppongo.»
«Purtroppo c’è stato uno sviluppo inatteso. Sorpreso dall’accaduto, il nostro uomo ha deciso di non tornare su Helicon ed è rimasto su Trantor. Può darsi che sia stato consigliato da un passante che casualmente si trovava sul posto al momento della rissa: anche questa una complicazione imprevista.»
Cleon corrugò la fronte. «Dunque il nostro matematico... Ah, come si chiama?»
«Seldon, sire. Hari Seldon.»
«Dunque questo Seldon non è più alla nostra portata.»
«In un certo senso, sire. Abbiamo seguito i suoi spostamenti e adesso si trova all’Università di Streeling. Finché resta là, è intoccabile.»
L’imperatore assunse un’espressione torva e arrossì leggermente. «“Intoccabile” è una parola che mi irrita. Nell’impero non dovrebbe esserci nessun posto dove la mia mano non possa arrivare. E tu mi dici che proprio qui, sul mio mondo, c’è qualcuno che è intoccabile. Inaudito!»
«La vostra mano può arrivare all’università, sire. Potete inviare l’esercito e stanare Seldon quando volete. Ma è un’azione indesiderabile.»
«Perché non dici “inattuabile”? Sembri il matematico quando parla della sua arte precognitiva. È possibile ma è inattuabile. Sono un imperatore che scopre che tutto è possibile, ma che quasi nulla è fattibile. Ricorda, Demerzel, se non posso toccare Seldon, posso toccare te con la massima facilità.»
Eto Demerzel sorvolò sull’ultima frase. L’uomo dietro il trono era consapevole della propria importanza per l’imperatore; non era la prima volta che sentiva minacce del genere. Attese in silenzio, mentre il sovrano lanciava occhiate torve.
Tamburellando con le dita sul bracciolo della sedia, Cleon chiese: «Allora, a che ci serve questo matematico se si trova all’Università di Streeling?».
«Forse è possibile sfruttare a nostro vantaggio la situazione avversa, sire. Può darsi che, all’università, Seldon decida di lavorare alla psicostoria.»
«Anche se insiste che non è una scienza pratica?»
«Può darsi che sbagli e che si accorga del proprio errore. Se scoprirà di avere sbagliato, troveremo il modo di farlo uscire dall’università. Chissà, forse in tal caso si unirà a noi spontaneamente.»
L’imperatore meditò per un po’, quindi disse: «E se qualcuno dovesse portarlo via prima di noi?».
«Chi potrebbe farlo, sire?» chiese Demerzel sottovoce.
«Il sindaco di Wye, per esempio» rispose Cleon mettendosi improvvisamente a urlare. «Sogna ancora di impossessarsi dell’impero!»
«La vecchiaia l’ha reso innocuo, sire.»
«Non crederlo, Demerzel.»
«E poi chi ci dice che gli interessi Seldon? Forse non sa nemmeno che Seldon esiste.»
«Via, Demerzel. Se noi abbiamo sentito parlare di quella relazione al Convegno, perché Wye non dovrebbe esserne al corrente? Se noi ci siamo resi conto della potenziale importanza di Seldon anche Wye potrebbe essersi fatto i suoi conti, no?»
«Se dovesse succedere, o se anche dovessimo ritenere probabile questa evenienza, la situazione giustificherebbe il ricorso a provvedimenti severi.»
«Severi, quanto?»
Demerzel rispose cauto: «Anziché permettere che Seldon finisca nelle mani di Wye, sarebbe meglio intervenire perché nessuno possa servirsi di lui. Dovremmo porre fine alla sua esistenza, sire».
«Cioè, farlo uccidere» precisò Cleon.
«Se preferite usare questa espressione» disse Demerzel.