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Da parecchio tempo Hari Seldon non sorrideva più. Continuava a occuparsi del progetto come aveva sempre fatto, spingendo al massimo lo sviluppo della psicostoria, facendo piani per la Fondazione, studiando il radiante primario.
Ma non sorrideva e badava solo a concentrarsi sul suo lavoro senza provare alcuna sensazione di un successo imminente. Anzi, tutto gli sembrava circonfuso da un alone di ormai prossimo fallimento.
Quel giorno era seduto nel suo ufficio all’Università di Streeling, quando entrò Wanda. Lui alzò lo sguardo e si sentì allargare il cuore. Lei era sempre stata speciale. Seldon non avrebbe saputo dire in quale momento esatto lui e gli altri avessero cominciato ad accettare le sue dichiarazioni con qualcosa di più del solito entusiasmo: gli sembrava che fosse sempre stato così. Da bambina gli aveva salvato la vita con la sua sorprendente scoperta della “morte alla limonata” e durante tutta l’infanzia aveva dimostrato che, in chissà quale modo, lei sapeva certe cose.
Benché la dottoressa Endelecki avesse dichiarato che il genoma di Wanda era normale sotto ogni aspetto, Seldon era ancora persuaso che sua nipote possedesse capacità mentali di gran lunga superiori a quelle dei comuni esseri umani. Era anche convinto che nella galassia, o addirittura su Trantor, dovessero esistere altri come lei. Se solo fosse riuscito a individuarli, a scoprire questi “mentalisti” (come lui li definiva nell’intimità dei suoi pensieri), quale grandioso contributo avrebbero potuto dare alla Fondazione. E il potenziale di una tale grandezza era interamente imperniato sulla sua bellissima nipote. Seldon la fissò, incorniciata dal vano della porta, e si sentì spezzare il cuore. Fra pochi giorni lei se ne sarebbe andata.
Come avrebbe fatto a sopportare la sua assenza? A diciotto anni compiuti era una splendida ragazza. Lunghi capelli biondi, un viso leggermente largo, ma con la tendenza a sorridere. Sorrideva anche adesso e Seldon non se ne stupì. Era sul punto di partire per Santanni e verso una nuova vita.
«Allora, Wanda, ormai mancano pochi giorni alla tua partenza.»
«No. Non lo credo proprio, nonno.»
Lui la fissò. «Come?»
Wanda si avvicinò e lo abbracciò. «Non vado su Santanni.»
«Tuo padre e tua madre hanno per caso cambiato idea?»
«No, loro partiranno.»
«E tu non parti con loro? Perché? Dove andrai?»
«Resterò qui, nonno. Con te.» Lo strinse affettuosamente. «Povero nonno!»
«Ma non capisco. Perché? Loro te lo permettono?»
«Vuoi dire mamma e papà? Non esattamente. Ne abbiamo discusso per settimane e settimane, ma alla fine ho vinto io. Cosa c’è di male, nonno? Loro andranno su Santanni, potranno stare insieme e avranno con loro anche la piccola Bellis. Ma se io parto e ti lascio qui, tu non avrai nessuno. Non credo che riuscirei a sopportarlo.»
«Ma come sei riuscita a convincerli?»
«Be’, ho dato una spinta.»
«Cosa significa?»
«È la mia mente. Posso vedere cosa c’è nella tua e nelle loro, e con il passare del tempo riesco a vederlo sempre più chiaramente. E poi riesco a spingerle a fare ciò che voglio.»
«Come riesci a farlo?»
«Non lo so. Ma dopo un po’ loro si stancano di essere spinte e accettano di lasciarmi fare a modo mio. Così resterò con te.»
Seldon la fissò con una specie di amore impotente. «È magnifico, Wanda, ma Bellis...»
«Non preoccuparti di lei. Non ha una mente come la mia.»
«Ne sei certa?» Seldon si mordicchiò il labbro inferiore.
«Certissima. E poi, anche mamma e papà devono avere qualcuno.»
Seldon avrebbe voluto rallegrarsi, ma sentiva di non poterlo fare apertamente. C’erano anche Raych e Manella. Che cosa sarebbe stato di loro?
«Wanda, e i tuoi genitori? Come puoi essere così spietata con loro?»
«Non sono spietata. Mi capiscono. Si rendono conto che devo rimanere con te.»
«Come ci sei riuscita?»
«Ho spinto» rispose lei semplicemente «e alla fine hanno visto le cose a modo mio.»
«Puoi arrivare a tanto?»
«Non è stato facile.»
«E lo hai fatto perché...» Seldon fece una pausa.
«Perché ti voglio bene. Certo. E perché...»
«Avanti.»
«Devo imparare la psicostoria. Ormai ne conosco già le basi.»
«E come?»
«Dalla tua mente. Dalle menti di altri che lavorano al progetto e, soprattutto, da quella dello zio Yugo prima che morisse. Ma fino a questo momento sono soltanto nozioni sfilacciate. Voglio imparare tutto, nonno, e voglio un radiante primario tutto per me.» Il suo viso si illuminò e le parole si susseguirono rapide, con tono appassionato. «Voglio studiare la psicostoria in ogni suo dettaglio. Nonno, tu sei piuttosto vecchio e stanco. Io sono giovane e ansiosa di mettermi al lavoro. Voglio imparare tutto quello che mi è possibile, per poter continuare quando...»
«Sarebbe splendido se riuscissi a farlo, ma non abbiamo più fondi. Ti insegnerò tutto quello che posso ma non potremo fare nulla.»
«Questo lo vedremo, nonno. Questo lo vedremo.»