10
Cospiratore
La residenza del sindaco, o meglio l’edificio dove un tempo lui abitava, era avvolta nell’oscurità. La città era silenziosa all’ora del coprifuoco. Solo poche stelle illuminavano la notte.
In tre secoli la Fondazione si era trasformata da piccolo centro di scienziati in tentacolare impero commerciale che si estendeva per gran parte della galassia; adesso, in soli sei mesi, era stata ridotta allo stato di provincia conquistata.
Il capitano Pritcher si rifiutava di accettare una situazione del genere.
La calma della città immersa nel buio e la sagoma scura del palazzo occupato dell’usurpatore erano sufficientemente simbolici, ma il capitano Han Pritcher, che sostava proprio davanti al cancello del palazzo con una microscopica bomba atomica sotto la lingua, non voleva comprendere.
Un’ombra gli si avvicinò e lui abbassò la testa.
«Il sistema d’allarme non è stato cambiato, capitano. Entri pure. Non registrerà il suo ingresso.»
In silenzio il capitano curvò la schiena per passare attraverso il piccolo arco e s’inoltrò nei vialetti di quello che un tempo era stato il giardino privato di Indbur.
Quattro mesi prima aveva assistito alla cerimonia della Volta del Tempo e ancora adesso il ricordo gli procurava una sensazione dolorosa al petto. Le impressioni di quel giorno lo tormentavano spesso, soprattutto di notte.
Il vecchio Seldon dalla faccia benevola che parlava, la confusione della sala, Indbur nel suo ridicolo costume da cerimonia che giaceva svenuto a terra, la folla spaventata che si radunava attorno al sindaco e aspettava muta che il suo capo proclamasse la resa, il giovane Toran che spariva da una porta secondaria portandosi sulle spalle l’inerte buffone del Mulo.
Anche lui era uscito, aveva cercato di mettere in moto la sua terramobile invano.
S’era quindi messo a camminare in mezzo alla folla che già stava abbandonando la città, senza sapere dove andare.
Aveva visitato uno dopo l’altro i luoghi in cui si tenevano le riunioni segrete del partito democratico. Erano tutti deserti.
Il giorno seguente le nere astronavi del nemico apparvero in cielo mentre atterravano lentamente scomparendo, nascoste dagli edifici della città vicina. Il capitano Pritcher aveva provato allora una terribile sensazione di impotenza. Era disperato.
Aveva cominciato a vagabondare.
In trenta giorni aveva percorso duecento miglia a piedi. Aveva sostituito la sua uniforme con quella di un lavoratore di una fabbrica idroponica, trovato morto sul ciglio della strada.
Infine, trovò ciò che era rimasto dell’associazione segreta.
Si trovava nella città di Newton, in un quartiere residenziale un tempo elegante e ora dall’aspetto sempre più squallido. Era la casa di un membro del partito, un uomo dagli occhi piccoli e la corporatura massiccia, che aveva aperto solo uno spiraglio della porta e l’aveva esaminato a lungo stringendo i pugni nascosti nelle tasche.
«Vengo da Miran» aveva mormorato il capitano.
L’uomo aveva risposto alla parola d’ordine sorridendo. «È presto quest’anno.»
«Non di più dell’anno scorso.»
L’uomo non si era mosso dalla soglia. «Chi è lei?»
«Non è per caso la Volpe?»
«Risponde sempre con altre domande?»
Il capitano aveva tirato un sospiro, poi aveva proseguito con calma: «Sono Han Pritcher, capitano della flotta, membro del partito democratico. Permette che entri?».
La Volpe aprì la porta e si fece da parte. «Il mio vero nome è Orum Palley.»
La stanza era comoda senza essere lussuosa. In un angolo c’era un proiettore per libri, che agli occhi esperti del capitano poteva benissimo nascondere un fulminatore di notevole calibro. Il proiettore era puntato verso la porta d’ingresso e probabilmente azionato a distanza.
La Volpe seguì lo sguardo dell’ospite e sorrise a denti stretti. «Sì, ma serviva solo ai tempi di Indbur per i suoi vampiri che ci davano la caccia. Ora, contro il Mulo, non servirebbe a nulla, vero? Niente servirebbe contro di lui. Ha fame?»
Il capitano annuì.
«Non ci metterò più di un minuto, se non le dispiace aspettare.» La Volpe tolse due scatole da un armadio e le depose sul tavolo di fronte a Pritcher. «Ci metta le mani sopra e rompa l’involucro quando saranno abbastanza calde per lei. Il mio riscaldatore non funziona. Cose di questo genere succedono quando si è in guerra... o meglio subito dopo una guerra, vero?»
I suoi modi erano gioviali, ma il suo sguardo era gelido e attento. Si sedette di fronte al capitano. «Non rimarrà che una bruciatura lì dove è seduto se farà un movimento che non mi piace. Capito?»
Pritcher non rispose. Premette le scatole e queste si aprirono.
«È stufato, mi dispiace, ma il rifornimento di cibo in questi giorni è scarso» disse la Volpe parlando velocemente.
«Lo so» disse il capitano e mangiò in fretta senza sollevare lo sguardo.
«Devo averla già vista. Sto cercando di ricordare: una volta non aveva la barba.»
«Non mi rado da trenta giorni.» Poi alzò la voce seccato: «Che cosa vuole da me? La parola d’ordine era giusta. Le ho fornito le mie generalità».
L’altro annuì. «Certo, lei è di sicuro il capitano Pritcher. Ma parecchi conoscono la parola d’ordine e sono ex membri del partito che sono passati al Mulo. Ha mai sentito nominare Levvaw?»
«Sì.»
«È passato al Mulo.»
«Che cosa? Ma...»
«Sì. È l’uomo che chiamavano “Non mi arrendo”.» La Volpe sorrise, ma non sembrava affatto divertito. «Poi c’è Willing. Anche lui adesso è con il Mulo. Garre e Noth: col Mulo! Perché non pure Pritcher? Come posso saperlo?»
Il capitano scosse il capo.
«Ma non importa» disse la Volpe sottovoce. «Ormai avranno il mio nominativo, se Noth è passato al servizio del Mulo. Dunque se lei non è un traditore, sarà più in pericolo di me, visto che è venuto a farmi visita.»
Il capitano aveva finito di mangiare e si appoggiò allo schienale della sedia. «Se non ha un’organizzazione qui, dove posso trovarne una? La Fondazione s’è arresa, ma io no.»
«Capisco. Ma non potrà continuare a vagabondare per sempre, capitano. Ai cittadini della Fondazione non è permesso muoversi da una città all’altra senza un visto rilasciato dall’autorità. Lo sapeva? Avrà anche bisogno di una carta d’identità. Ne possiede una? Inoltre, a tutti gli ufficiali della vecchia flotta è stato ordinato di presentarsi al quartier generale più vicino. È il suo caso, mi pare.»
«Sì. Crede sia fuggito per paura? Mi trovavo su Kalgan quando il pianeta fu occupato dal Mulo. In un mese, neanche uno degli ufficiali dell’esercito del vecchio governatore è stato rimesso in libertà, perché sarebbe diventato capo militare di un’eventuale rivolta. L’associazione segreta ha sempre saputo che non esistono possibilità di rivolta a meno che non si controlli parte degli ufficiali della flotta. Anche il Mulo evidentemente deve saperlo.»
La Volpe annuì pensieroso. «Mi pare abbastanza logico. Il Mulo è un osso duro.»
«Appena ho potuto mi sono liberato dell’uniforme. Mi sono fatto crescere la barba. Forse c’è una possibilità che altri miei colleghi abbiano preso la mia decisione.»
«È sposato?»
«Mia moglie è morta e non ho figli.»
«Allora non la possono ricattare.»
«Infatti.»
«Vuole un consiglio?»
«Se è valido...»
«Non so ancora quale sia la politica del Mulo e quali siano le sue intenzioni, ma per ora i lavoratori specializzati non sono stati danneggiati minimamente. Le paghe sono salite. La produzione di ogni tipo di arma atomica aumenta paurosamente.»
«Davvero? Sembra che voglia continuare l’offensiva.»
«Non lo so. Il Mulo è intelligente, probabilmente sta cercando di ingraziarsi i lavoratori. Se non è riuscito Seldon a capirlo con la sua psicostoria, è inutile che ci provi io. Vedo che indossa abiti da operaio. Non le viene in mente nulla?»
«Non sono un operaio specializzato.»
«Ha certo seguito, come militare, un corso sull’energia atomica.»
«Sì.»
«È abbastanza. Qui in paese c’è la società Atom-Field Bearing. Dica loro che ha esperienza. I proprietari sono gli stessi maledetti che mandavano avanti la fabbrica sotto Indbur e che adesso lavorano per il Mulo. E non fanno domande quando hanno bisogno di operai per riempire la loro pancia. Le daranno una carta d’identità e le forniranno pure un alloggio. Può cominciare anche subito.»
In quella maniera Han Pritcher, capitano della flotta della Fondazione, era diventato Lo Moro, operaio specializzato addetto al quarantacinquesimo reparto della Atom-Field Bearing. E da agente del servizio segreto si era trasformato in cospiratore: fu in seguito a questa nuova attività che quattro mesi dopo si trovava nel giardino del vecchio palazzo di Indbur.
Il capitano Pritcher, nascosto nei vialetti del parco, consultò il radiometro che teneva stretto in mano. Il sistema di allarme interno funzionava ancora. Rimase in attesa. Fra mezz’ora sarebbe scoppiata la piccola bomba atomica che aveva in bocca. La mosse tra i denti con la lingua.
La lancetta del radiometro tornò sullo zero e il capitano avanzò.
Per ora tutto era andato per il meglio.
Rifletté un istante sul fatto che la durata della bomba atomica corrispondeva alla durata della sua vita, così come la sua morte corrispondeva a quella del Mulo.
Sarebbe stata questa l’ultima azione della guerra privata che stava combattendo da mesi. Una guerra che era iniziata a partire dal momento in cui era stato assunto come operaio in una fabbrica di Newton...
Per due mesi il capitano Pritcher aveva lavorato nella fabbrica. Era un lavoratore come tanti altri: ritirava la paga, passava le serate in città e non parlava mai di politica.
Per due mesi non si era messo in contatto con la Volpe.
Poi, un giorno, un uomo era inciampato vicino alla panchina dove lui era seduto e aveva lasciato cadere dalla sua tasca un pezzo di carta. Sul foglietto c’era la parola “Volpe”. Pritcher lo buttò nell’inceneritore e tornò al lavoro.
Quella notte andò a casa della Volpe e iniziò una partita a carte con alcuni uomini, due dei quali conosceva di fama mentre del terzo sapeva solo il nome.
Distribuendo le carte e raccogliendo i gettoni parlarono.
«È un errore fondamentale» disse il capitano. «Voi vivete in un passato ormai morto. Per ottant’anni la nostra organizzazione non ha aspettato che il momento storicamente giusto. Siamo stati accecati dal postulato su cui si fonda la psicostoria di Hari Seldon secondo il quale le azioni individuali non contano e solo l’unione delle forze sociali ed economiche può far verificare un determinato evento.» Raccolse le sue carte e lentamente le mise a posto. «Perché non uccidiamo il Mulo?»
«Via, andiamo! Che vantaggio ne trarremmo?» chiese l’uomo alla sua sinistra.
«Vedete,» rispose il capitano scartando due carte «questo è il vostro modo di vedere le cose. Che importanza ha un uomo in mezzo a miliardi di esseri umani? La galassia non cesserà di ruotare per la morte di un uomo. Ma il Mulo non è un uomo, è un mutante. È riuscito a mandare all’aria il Piano Seldon e, se provate a ragionare, vedrete che lui, un uomo singolo, un mutante, è stato capace di deviare la psicostoria di Seldon. Se non fosse mai nato, la Fondazione non sarebbe caduta. Se cessasse di vivere, probabilmente la Fondazione non continuerebbe a restare sconfitta. Suvvia, i democratici hanno combattuto i sindaci e i trust commerciali in segreto per ottant’anni. Proviamo con l’assassinio.»
«E come?» chiese la Volpe.
«Sono due mesi» disse il capitano «che ci penso senza trovare una soluzione. Sono venuto qui e ho scoperto il sistema in cinque minuti.» Si volse a guardare l’uomo grassoccio e rubicondo che sedeva alla sua destra. «Lei una volta era il ciambellano del sindaco Indbur. Non sapevo che facesse parte del partito democratico.»
«Neanch’io sapevo di lei.»
«Come ciambellano del sindaco era incaricato di controllare periodicamente il sistema d’allarme del palazzo.»
«Certo.»
«E ora il Mulo occupa lo stesso palazzo.»
«Così è stato detto, anche se il nostro conquistatore è molto modesto e non fa apparizioni in pubblico.»
«Questa è una vecchia storia e non serve a niente. Tutto quello di cui abbiamo bisogno è il suo aiuto, mio caro ex ciambellano.»
Le carte vennero scoperte e fu la Volpe a vincere il piatto.
Quest’ultimo lentamente distribuì le carte per una seconda mano.
L’uomo che un tempo era stato ciambellano raccolse le sue carte. «Mi dispiace, capitano. È vero, controllavo periodicamente il sistema d’allarme. Ma non ne conosco nel modo più assoluto il funzionamento.»
«Me lo immaginavo, ma nella sua mente, tuttavia, dovrebbe essere impressa la disposizione degli interruttori; con una sonda psichica potremmo ricostruire l’intero schema.»
Il ciambellano impallidì visibilmente e deglutì. «Una sonda psichica?»
«Non si preoccupi» disse il capitano. «So come usarla. Non le farà male. Si sentirà debole per due giorni, niente di più. E anche se dovesse danneggiare il suo cervello, è il rischio che deve correre e il prezzo che deve pagare. Esiste di sicuro qualcuno fra noi che dallo schema del sistema di controllo sarà capace di determinarne la lunghezza d’onda. Qualcun altro fabbricherà una minuscola bomba atomica e io stesso penserò a recapitarla al Mulo.»
Gli uomini si raccolsero intorno al tavolo.
«Il giorno fissato» proseguì il capitano «scoppieranno alcuni tumulti nelle vicinanze del palazzo del Mulo. Non una vera e propria rivolta, solo proteste vivaci. Basterà ad attirare l’attenzione delle guardie o per lo meno a distrarle...»
Da quel giorno cominciarono i preparativi che durarono un mese, e da quel giorno il capitano Han Pritcher, capitano della flotta della Fondazione, da cospiratore stava diventando un assassino.
Il capitano Pritcher, assassino, era entrato nel palazzo sorridendo soddisfatto. Un buon sistema d’allarme all’esterno significava poche guardie all’interno. In questo caso, addirittura non ce n’erano.
Ricordava bene la dislocazione delle stanze. Si muoveva silenzioso e sicuro sul tappeto che copriva la rampa di scale. Giunto in cima, s’appiattì contro il muro e rimase in attesa.
Di fronte a lui c’era una piccola porta chiusa dietro la quale doveva trovarsi il mutante che aveva sconfitto l’invincibile. Era presto: la bomba non sarebbe esplosa prima di dieci minuti.
Cinque erano già passati, eppure da nessuna parte s’era sentito alcun suono. Il Mulo aveva cinque minuti di vita, così come il capitano Pritcher.
Fece un passo avanti, spinto da un impulso improvviso. Ormai l’attentato non poteva fallire. Quando la bomba fosse esplosa, tutto il palazzo sarebbe saltato in aria. Una porta a dieci metri di distanza non aveva alcun significato, ma Pritcher voleva vedere il Mulo e morire insieme a lui.
Provando un brivido d’emozione, bussò alla porta.
Quando si aprì, il capitano fu colpito da una luce accecante.
Pritcher barcollò, poi si riprese. L’uomo solenne che era in piedi al centro della stanza lo guardò sorridendo. Indossava una sobria uniforme nera e accanto a lui c’era una vasca di pesci. Tamburellò con le dita sull’acquario e i pesci fuggirono spaventati.
«Entri, capitano!»
Il capitano sentì la piccola capsula metallica ingigantirsi in bocca, impedendogli di parlare. Ormai aveva soltanto un minuto di vita.
«È meglio che sputi la pallina di ferro che nasconde in bocca. Non scoppierà.»
Il minuto passò, il capitano chinò la testa e sputò nel palmo della mano il globo argentato. Con un gesto d’ira lo lanciò contro la parete, e la pallina rimbalzò tintinnando sul pavimento.
L’uomo in uniforme alzò le spalle. «Ha visto, capitano? Non le sarebbe servita a molto in ogni caso. Io non sono il Mulo. Avrebbe dovuto accontentarsi del suo viceré.»
«Come lo sapeva?» mormorò il capitano a denti stretti.
«Diciamo che il nostro servizio di controspionaggio è molto efficiente. Se vuole posso nominarle ogni membro del vostro gruppo e ogni preparativo...»
«E ha permesso che continuassimo fino a ora?»
«E perché no? Faceva parte dei miei piani scoprire lei e qualcun altro. Specialmente lei, però. Avrei potuto farla arrestare alcuni mesi fa, quando lavorava nella fabbrica di Newton, ma è stato meglio così. Se non fosse stato lei stesso a proporre un piano così accurato, ci avrebbe pensato uno dei miei uomini. Il risultato è molto drammatico e piuttosto umoristico.»
Il capitano lo guardò gelido. «Anch’io lo trovo umoristico. Ora immagino che sia tutto finito.»
«È appena cominciato, capitano, si sieda. Lasciamo le azioni eroiche agli sciocchi che si entusiasmano per questo tipo di imprese. Capitano, lei è un uomo capace. Secondo le informazioni da me raccolte, è stato il primo uomo della Fondazione a riconoscere la potenza del Mulo. Da allora, si è interessato parecchio alla giovinezza del Mulo. È stato uno di quelli che ha rapito il buffone del Mulo, che, a proposito, non è stato ancora trovato. C’è ancora un grosso premio per chi ci riesce. Naturalmente la sua abilità è stata riconosciuta, e il Mulo non è il tipo d’aver paura dell’abilità dei suoi nemici, visto che riesce a convertirli in fedeli amici.»
«È questo che si attende da me? Si sbaglia!»
«Non credo. A questo proposito è stata inscenata la commedia di questa notte. Lei è un uomo intelligente, tuttavia il suo piccolo complotto nei confronti del Mulo è miseramente fallito. Non credo che il suo vano tentativo possa essere definito cospirazione. Fa parte della sua preparazione militare sprecare astronavi in azioni inutili?»
«Prima bisognerebbe essere sicuri che queste azioni lo siano.»
«Era evidente. Il Mulo ha conquistato la Fondazione. Adesso la Fondazione si sta rapidamente trasformando in un arsenale per compiere la sua grande missione.»
«E quale sarebbe?»
«La conquista dell’intera galassia. La riunione di tutti i pianeti in un Nuovo impero. Il raggiungimento del sogno di Seldon ora, invece che fra settecento anni. Per questo lei deve aiutarci.»
«Non ho affatto intenzione di farlo.»
«A quanto pare» continuò il viceré pazientemente «solo tre dei mondi indipendenti resistono ancora. Non resisteranno a lungo. Saranno le ultime forze della Fondazione. Non ha intenzione di cambiare idea?»
«No.»
«Eppure lo farà. Un reclutamento volontario sarebbe stato più comodo. Ci accontenteremo di usare altri mezzi. Sfortunatamente il Mulo è assente. Sta guidando la lotta, come sempre, contro i pianeti che ancora resistono. Ma è in continuo contatto con noi. Non dovrà aspettare a lungo.»
«Per che cosa?»
«Per esser convertito.»
«Il Mulo scoprirà le difficoltà di una tale impresa.»
«Non è vero. Non gli sarà affatto difficile. Non mi riconosce? Suvvia, lei è stato su Kalgan e deve avermi visto. Portavo un monocolo, un mantello scarlatto, avevo una pelliccia e una corona...»
Il capitano s’irrigidì. «Lei... ma lei era il governatore di Kalgan...»
«Sì. E ora sono il leale viceré del Mulo. Come vede, è molto persuasivo.»