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Janov Pelorat vide, per la prima volta nella sua vita, una stella brillante trasformarsi a poco a poco in una sfera, dopo quello che Trevize aveva definito micro-balzo. Il quarto pianeta, un mondo abitabile che costituiva la loro meta del momento, s’ingrandì più lentamente davanti ai loro occhi, nell’arco di giorni.
Il computer ne aveva fornito una mappa e questa appariva ora sullo schermo dell’apparecchio portatile che Pelorat teneva in grembo.
Con la sicurezza di chi è già atterrato su innumerevoli pianeti, Trevize disse: «Non cominci a guardarsi intorno troppo presto, Janov. Dobbiamo superare la stazione d’entrata e la faccenda potrebbe diventare seccante».
Pelorat sollevò lo sguardo. «Ma si tratta solo di una formalità...»
«Sì, ma potrebbe diventare una formalità seccante.»
«Ma siamo in tempo di pace!»
«Sicuro. Questo significa solo che ci faranno passare. Prima però c’è da sistemare la questione dell’equilibrio ecologico. Tutti i pianeti hanno il loro e non desiderano che venga alterato. Così hanno stabilito che le navi che arrivano devono essere controllate, in modo che eventuali organismi nocivi o eventuali infezioni vengano fermati per tempo. È una precauzione ragionevole.»
«Mi pare però che noi non siamo portatori di infezioni.»
«No, e non potranno non constatarlo. Si ricordi tuttavia che il Pianeta Sayshell non è membro della Federazione della Fondazione, per cui faranno sicuramente di tutto per dimostrarci la loro indipendenza.»
Una piccola astronave si affiancò alla Stella lontana per ispezionarla e un funzionario della dogana di Sayshell salì a bordo. Memore di quando era stato militare, Trevize parlò con lui in modo conciso.
«La Stella lontana, di Terminus. Ecco i documenti. Non armata. È un’astronave privata. Il mio passaporto. Un solo passeggero, ecco il suo passaporto. Siamo turisti.»
Il funzionario della dogana indossava una divisa sgargiante in cui dominava il cremisi. La pelle delle guance e quella sopra il labbro erano perfettamente rasate, ma dal mento partiva una barbetta che, divisa in due punte, costeggiava la linea della mascella. «Un’astronave della Fondazione?»
Trevize si guardò bene dal correggerlo o anche solo dall’abbozzare un sorriso. C’erano tante varianti dialettali del galattico standard quanti erano i pianeti, e ciascuno aveva diritto alla propria. Finché ci s’intendeva, le sfumature non avevano importanza.
«Sì, signore» rispose Trevize. «Un’astronave della Fondazione, di proprietà privata.»
«Bene. Il suo cargo, prego.»
«Il mio cosa?»
«Il suo cargo. Che cosa trasporta?»
«Ah, il mio carico. Ecco, questa è la lista dettagliata. Solo beni personali. Non siamo qui per fare commercio. Siamo semplici turisti.»
Il funzionario della dogana si guardò intorno con curiosità.
«È un’astronave abbastanza di lusso, per due turisti.»
«Non secondo il metro della Fondazione» disse Trevize, affabile. «Sono ricco e posso permettermi un’astronave del genere.»
«Sta insinuando che mi si potrebbe mancizzare?» Il funzionario fissò un attimo Trevize, poi distolse lo sguardo.
Trevize esitò un secondo, cercando di afferrare l’esatto significato del termine, poi decise quale comportamento adottare.
«No, non intendevo corromperla. Non ho alcun motivo per corromperla e, anche se fosse, lei non mi sembra proprio il tipo di persona che si fa corrompere. Può ispezionare l’astronave, se vuole.»
«Non ce n’è bisogno» disse il funzionario, mettendo via il registratore tascabile. «Siete già stati esaminati per il controllo infezioni e avete superato l’esame. All’astronave è stata assegnata una lunghezza d’onda radio che fungerà da radar di avvicinamento.»
Se ne andò. L’intera operazione era durata un quarto d’ora.
Pelorat disse a bassa voce: «Avremmo potuto combinare un guaio. Si aspettava veramente di venire corrotto?».
Trevize fece spallucce. «Dare mance ai funzionari della dogana è una consuetudine antica come la galassia, l’avrei fatto se avesse accennato alla cosa una seconda volta. Evidentemente ha preferito non correre rischi con un’astronave della Fondazione, per di più di lusso. Il nostro buon sindaco – sia benedetta la sua pellaccia insensibile – ha detto che il nome della Fondazione ci avrebbe protetti ovunque fossimo andati, e non aveva torto. Avremmo potuto perdere molto più tempo.»
«Perché? A quanto pare il funzionario ha saputo quello che voleva sapere.»
«Sì, ed è stato così gentile da fare un controllo con un’analisi radio a distanza. Se avesse voluto avrebbe potuto ispezionare la Stella lontana con un apparecchio manuale, impiegando ore. E avrebbe potuto spedirci tutti e due in un ospedale da campo e tenerci lì per diversi giorni.»
«Davvero? Oh, ma è terribile, amico mio!»
«Non si agiti. L’importante è che non l’abbia fatto. Ho temuto che lo facesse, ma non l’ha fatto, il che significa che siamo liberi di atterrare. Vorrei atterrare gravitazionalmente, perché così impiegheremmo solo un quarto d’ora, ma non so dove possano essere i campi autorizzati e non voglio combinare guai. Questo significa che dovremo seguire il fascio di onde radio e scendere a spirale attraverso l’atmosfera. Ci vorranno ore.»
«È fantastico, Golan» esclamò Pelorat, tutto allegro. «Atterreremo abbastanza lentamente da poter osservare il suolo?» Sollevò il suo schermo portatile, sul quale appariva la mappa del pianeta.
«Più o meno. Bisogna attraversare la piattaforma di nubi e poi ci muoveremo alla velocità di alcuni chilometri al secondo. Non sarà come viaggiare in pallone, ma avremo modo di renderci conto della planetografia.»
«Fantastico! Fantastico!»
Trevize disse pensieroso: «Mi chiedo però se staremo sul pianeta Sayshell abbastanza a lungo da trovare conveniente regolare l’orologio dell’astronave secondo l’ora locale».
«Immagino dipenda da quello che intendiamo fare. Lei cosa pensa che faremo, Golan?»
«Il nostro compito è trovare Gaia. Non so quanto tempo ci porterà via questa ricerca.»
«Possiamo regolare gli orologi da polso e lasciare quello dell’astronave così com’è.»
«Forse sì» disse Trevize. Guardò il pianeta che si stendeva ampio sotto di loro. «Non ha senso aspettare ancora. Regolerò il computer per l’atterraggio guidato dalle onde radio. Userò i motori gravitazionali imitando il volo convenzionale. Allora cominciamo la discesa, Janov, e vediamo un po’ cosa si può trovare su Sayshell.»
Fissò pensieroso il pianeta, mentre l’astronave cominciava a muoversi lungo la sua curva di potenziale gravitazionale perfettamente calcolata.
Trevize non era mai stato nell’Unione Sayshell, ma sapeva che nel corso dell’ultimo secolo essa era stata costantemente ostile alla Fondazione. Era sorpreso quindi che avessero passato così facilmente il controllo della dogana, e la cosa lo impensieriva un poco. Gli pareva strana.