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L’astronave era ancora più bella di quanto si aspettasse Trevize, che ricordava la grossa campagna pubblicitaria fatta all’epoca in cui era stato prodotto il nuovo tipo di incrociatore.
A colpire non erano tanto le dimensioni, perché l’astronave era piccola. Era stata progettata in modo da essere manovrabile e veloce, concepita per motori esclusivamente gravitazionali e, soprattutto, per un alto grado di computerizzazione. Non aveva bisogno di grandi dimensioni quindi, anzi si sarebbero rivelate antifunzionali.
Pilotabile da una sola persona, l’incrociatore era in grado di sostituire vantaggiosamente le astronavi più vecchie, cui occorreva un equipaggio di una decina di uomini o più. Con una seconda o una terza persona a bordo capaci di garantire un’equa distribuzione dei turni, un’astronave del genere poteva surclassare una flottiglia di astronavi assai più grandi, non appartenenti alla Fondazione. In più batteva in velocità qualsiasi altra astronave esistente, da cui facilmente poteva fuggire.
Aveva un che di lustro e perfetto: non c’era un solo millimetro che non fosse stato sfruttato nel modo giusto; non c’erano curve o linee superflue, né fuori, né dentro. Ciascun metro cubo di volume era utilizzato al massimo, sicché all’interno, paradossalmente, si aveva un’impressione di spaziosità. Nessuno dei discorsi del sindaco sull’importanza della missione aveva impressionato Trevize quanto il vedere l’astronave con cui quella missione sarebbe stata compiuta.
Branno la Bronzea, pensò Trevize mortificato, era riuscita con le sue manovre a invischiarlo in un’impresa indubbiamente pericolosa. Forse non avrebbe accettato con tanta determinazione se lei non avesse disposto le cose in modo da fargli desiderare di mostrare che cosa sapeva fare.
Quanto a Pelorat, era pieno di meraviglia. «Mi crede se le dico che non sono mai stato nemmeno vicino a un’astronave?» disse toccando con un dito la carena, poco prima di salire all’interno.
«Le credo, professore. Ma come mai?»
«A essere franco non lo so, amico m... cioè, mio caro Trevize. Credo che sia successo perché ero troppo preso dalle mie ricerche. Quando uno nella propria casa ha un computer veramente eccellente, in grado di raggiungere altri computer in qualsiasi parte della galassia, non ha praticamente bisogno di spostarsi, capisce. Per qualche motivo mi aspettavo che le astronavi fossero più grandi di questa.»
«Questa è un modello piccolo, tuttavia riesce lo stesso a essere, dentro, più spaziosa di qualsiasi altra astronave della medesima grandezza.»
«Come può essere? Non approfitterà mica della mia ignoranza per prendermi in giro, vero?»
«No, no, dico sul serio. Questo è uno dei primi modelli completamente gravitazionalizzati.»
«Che significa? Non me lo dica, però, se questo comporta complicate spiegazioni di fisica. La prenderò in parola, come mi ha preso in parola lei quando abbiamo discusso del pianeta d’origine e dell’unicità della specie umana.»
«Proverò a spiegarmi, professor Pelorat. Nella storia millenaria del volo spaziale abbiamo avuto motori chimici, motori ionici, motori iperatomici, e tutti quanti occupavano molto spazio. L’antica Marina imperiale possedeva astronavi lunghe cinquecento metri, con uno spazio abitabile pari soltanto a quello di un piccolo appartamento. La Fondazione, non disponendo di risorse materiali ingenti, si è dovuta specializzare attraverso i secoli nella miniaturizzazione. Questa astronave rappresenta il culmine delle ricerche compiute finora. Utilizza l’antigravità, e il congegno che rende possibile tale uso non occupa praticamente alcuno spazio e di fatto è incluso nella carena. Senza di esso dovremmo ricorrere ancora ai motori iperatomici e...»
Si avvicinò loro una guardia della sicurezza. «Dovete salire a bordo, signori.»
Il cielo stava diventando sempre più chiaro, benché mancasse una mezz’ora buona all’alba.
Trevize si guardò intorno. «Hanno caricato il mio bagaglio?»
«Sì, consigliere. Sull’astronave, come vedrà, c’è tutto.»
«Compresi vestiti non della mia taglia, né di mio gusto, immagino.»
La guardia d’un tratto sorrise con espressione quasi infantile. «Credo che invece li troverà di suo gusto. Nelle ultime trenta-quaranta ore, il sindaco ci ha fatto fare dello straordinario. Siamo stati attenti a prendere vestiti che si adattassero bene a ciò che già avevate. Potevamo spendere quello che volevamo.» Si guardò intorno come per assicurarsi che nessuno notasse la sua aria complice, poi aggiunse: «Sapete, voi due siete fortunati. Avete la miglior astronave del mondo, perfettamente equipaggiata, a parte le armi. Si può dire che nuotiate nella panna montata».
«Panna acida, forse» replicò Trevize. «Be’, professore, è pronto?»
«Con questo, sì» disse Pelorat mostrando un oggetto quadrato di circa venti centimetri di lato, chiuso in una busta di plastica argentata. Trevize si rese conto solo allora che, dal momento in cui era uscito di casa, Pelorat aveva tenuto sempre in mano l’oggetto, senza mai deporlo nemmeno quando si erano fermati per consumare una rapida colazione.
«Che cos’è quello, professore?»
«La mia biblioteca. L’indice è per argomento e per fonte. Tutto lo scibile in una tavoletta di silicio. Un’intera biblioteca, tutto quello che ho raccolto! Non è meraviglioso?»
«Bene. Forse nuotiamo veramente nella panna montata.»