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WYE ... Un settore della città-mondo di Trantor. Negli ultimi secoli dell’impero galattico, Wye era la parte più forte e più stabile della città-mondo. I suoi governanti aspiravano da tempo al trono imperiale, giustificando questo fatto con la loro discendenza da imperatori del passato. Sotto Mannix IV, Wye fu militarizzato e (come sostennero in seguitò le autorità imperiali) si accingeva a effettuare un colpo di stato a livello planetario.
ENCICLOPEDIA GALATTICA
L’uomo che entrò era alto e muscoloso. Aveva lunghi baffi biondi arricciati all’insù e un ciuffo di peli che gli scendeva lungo i lati della faccia e sotto il mento, lasciando scoperti la punta del mento e il labbro inferiore, che sembravano leggermente umidi. Aveva capelli talmente corti e chiari che per uno sgradevole momento a Seldon venne in mente Micogeno.
Quella che il nuovo venuto indossava era inequivocabilmente un’uniforme. Era rossa e bianca, con intorno alla vita un’ampia cintura decorata con borchie d’argento.
Quando parlò, lo fece con voce profonda e con un accento diverso da tutti quelli che Seldon aveva sentito in precedenza. La maggior parte degli accenti strani avevano un suono sgraziato, rozzo per Seldon, mentre quello sembrava melodioso, forse per la ricchezza di toni bassi.
«Sono il sergente Emmer Thalus» tuonò l’uomo scandendo le sillabe. «Cerco il dottor Hari Seldon.»
«Sono io» disse Seldon. E a Dors mormorò: «Se Hummin non è potuto venire di persona, bisogna ammettere che si è fatto rappresentare da un magnifico ammasso di muscoli».
Il sergente lo squadrò imperturbabile, piuttosto a lungo, quindi disse: «Sì, corrisponde alla descrizione. Prego, venga con me dottor Seldon».
«Faccia strada.»
Il sergente arretrò, Seldon e Dors si mossero ma il militare alzò il palmo verso Dors. «Ho l’ordine di portare con me il dottor Seldon. Non mi è stato detto di altre persone.»
Per un attimo Seldon lo fissò perplesso, poi la sua espressione sorpresa lasciò il posto alla rabbia. «È impossibile che le abbiano detto questo, sergente. La dottoressa Dors Venabili è la mia collaboratrice e la mia compagna. Deve venire con me.»
«I miei ordini non lo prevedono, dottore.»
«I suoi ordini non mi interessano per niente, sergente Thalus. Senza di lei, non mi muovo.»
«Inoltre,» intervenne Dors irritata «io ho l’ordine di proteggere costantemente il dottor Seldon. Per farlo, devo stare con lui. Quindi, dove va lui vado anch’io.»
Il sergente parve perplesso. «Mi è stato ordinato nella maniera più assoluta di assicurarmi che non le succeda nulla, dottor Seldon. Se non verrà spontaneamente, dovrò portarla io alla mia vettura. Cercherò di agire con delicatezza.»
Tese le braccia, quasi intendesse afferrare Seldon per i fianchi e portarlo via di peso.
Seldon scattò indietro e, mentre si ritraeva, con la destra colpì di taglio la parte alta del braccio del sergente, nel punto dove i muscoli erano più sottili, così da centrare l’osso.
Il sergente inspirò bruscamente ed ebbe un fremito, ma si voltò, inespressivo, e avanzò di nuovo. Davan restò immobile a osservare la scena, Raych invece si portò alle spalle del sergente.
Seldon ripeté il colpo di taglio una seconda volta, quindi una terza, ma adesso Thalus, prevenendo la mossa, abbassò la spalla e assorbì il colpo con la massa muscolare.
Dors aveva estratto i suoi coltelli.
«Sergente,» disse decisa «si giri da questa parte. Voglio che si renda conto che forse sarò costretta a ferirla seriamente, se tenterà ancora di portare via il dottor Seldon contro la sua volontà.»
Thalus si fermò, osservò calmo e solenne i coltelli che ondeggiavano lentamente, poi disse: «I miei ordini non mi impediscono di fare del male a qualcuno che non sia il dottor Seldon».
Con velocità sorprendente portò la mano alla frusta neuronica nella fondina che aveva sul fianco. Altrettanto rapida Dors scattò in avanti brandendo le lame.
Nessuno dei due completò il movimento.
Con un guizzo in avanti Raych aveva spinto il sergente alle spalle e con la destra gli aveva sfilato l’arma dal fodero. Il ragazzino arretrò subito, impugnando la frusta neuronica con entrambe le mani, e gridò: «Mani in alto, sergente, o assaggi questo affare!».
Thalus si voltò, rosso in viso, l’espressione nervosa, perdendo per un attimo la sua imperturbabilità. «Mettila giù, figliolo» tuonò. «Non sai come funziona.»
«So della sicura» ringhiò Raych. «Non è inserita e questo aggeggio può sparare. E sparerà se cerca di attaccarmi.»
Il sergente si bloccò. Certo sapeva quanto fosse pericoloso trovarsi di fronte a un ragazzino eccitato che stringeva un’arma del genere.
Seldon non si sentiva molto meglio di lui. «Attento, Raych. Non sparare. Giù il dito dal contatto.»
«Non lascerò che quello mi salti addosso.»
«Non lo farà. Sergente, per favore, non si muova. Chiariamo una cosa: le è stato detto di portarmi via di qui, giusto?»
«Giusto» rispose Thalus, gli occhi leggermente sbarrati e fissi su Raych (che a sua volta aveva lo sguardo incollato sul sergente).
«Ma non le hanno detto di portare qualcun altro, giusto?»
«Non me l’hanno detto, dottore» ribatté deciso il sergente. Nemmeno la minaccia di una frusta neuronica l’avrebbe spinto a un comportamento subdolo. Era facile capirlo.
«Benissimo, ma ascolti, sergente. Le hanno detto di non portare nessun altro?»
«Io ho solo...»
«No, ascolti, è diverso. Le hanno ordinato semplicemente: “Porta il dottor Seldon”. Era questo l’ordine, non c’erano accenni ad altre persone o gli ordini erano più specifici? Le hanno ordinato: “Porta il dottor Seldon e non portare nessun altro”?»
Thalus rifletté. «Mi hanno detto di portare lei, dottore.»
«Dunque, non hanno parlato di nessun’altra persona, vero?»
Una pausa. «No.»
«Non le hanno detto di portare la dottoressa Venabili, ma non le hanno nemmeno detto di non portarla. Giusto?»
Una pausa. «Sì.»
«Quindi può portarla o non portarla, come preferisce, vero?»
Una lunga pausa. «Immagino di sì.»
«Bene. Qui abbiamo Raych, il giovanotto che la tiene sotto tiro con una frusta neuronica. La sua, ricorda? È ansioso di usarla.»
«Sì!» gridò Raych.
«Non ancora, Raych» disse Seldon. «E qui c’è la dottoressa Venabili, con due coltelli che sa maneggiare molto bene. Infine ci sono io che, se mi si presenta l’occasione, posso romperle il pomo d’Adamo con una mano, dopo di che non riuscirà più a parlare se non in un mormorio. Allora, vuole portare anche la dottoressa o no? I suoi ordini le consentono entrambe le cose.»
E alla fine il sergente, il tono sconfitto, rispose: «Porterò anche la donna».
«E il ragazzino, Raych.»
«E il ragazzino.»
«Bene. Ho la sua parola d’onore di soldato che farà come ha appena detto, onestamente?»
«Ha la mia parola d’onore di soldato.»
«Bene. Raych, ridagli la frusta subito! Non farmi aspettare.»
Raych, con una smorfia contrariata, guardò Dors che esitò e poi lentamente gli fece cenno di sì. Aveva un’espressione infelice quanto quella del ragazzino.
Raych porse l’arma al sergente. «Solo perché mi hanno costretto, pezzo di...» Le ultime parole furono incomprensibili.
«Metti via i coltelli, Dors» le disse Seldon.
Lei scrollò la testa, ma obbedì.
«Allora, sergente?» fece Seldon.
Il sergente guardò la frusta neuronica, poi Seldon. «Lei è un uomo d’onore, dottor Seldon, e la mia parola è sacra.» Con un gesto secco, militaresco, rinfoderò l’arma.
Seldon si rivolse a Davan. «Per favore, dimentichi quello che ha visto qui. Noi tre andiamo spontaneamente col sergente Thalus. Quando incontrerà Yugo Amaryl, gli dica che non mi dimenticherò di lui e che non appena questa storia si sarà conclusa e sarò libero di agire, penserò a farlo entrare in una università. E se potrò fare qualcosa di ragionevole per la vostra causa, Davan, lo farò. Bene, sergente, andiamo.»