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Il settore di Wye vantava una tradizione di opposizione alla dinastia Entun di Cleon I, che ormai governava l’impero da più di due secoli. L’opposizione risaliva all’epoca in cui la casata dei sindaci di Wye aveva fornito rappresentanti che erano saliti al trono imperiale. La dinastia daciana di Wye non era durata a lungo e non aveva neppure spiccato per una gestione dell’impero particolarmente fortunata, ma il popolo e i governanti di Wye trovavano difficile dimenticare che un tempo erano stati – sia pure temporaneamente e in modo imperfetto – al vertice della piramide imperiale. Il breve periodo nel quale Rashelle, in qualità di sindaco di Wye, aveva sfidato l’impero, diciotto anni prima, aveva accresciuto tanto l’orgoglio di Wye quanto la sua frustrazione.
Era quindi comprensibile che una piccola banda di cospiratori si sentisse più al sicuro dentro i confini di Wye che in ogni altro angolo di Trantor.
Erano in cinque, seduti intorno a un tavolo in un quartiere fatiscente del settore. La stanza era arredata poveramente ma ben schermata.
Su una sedia che, in fatto di qualità, era forse leggermente superiore alle altre, sedeva l’uomo che poteva essere ritenuto il capo. Aveva un viso magro, la carnagione smunta, un’ampia bocca con labbra talmente pallide da risultare quasi invisibili. Fra i capelli c’erano tracce di grigio, ma nei suoi occhi bruciava un’ira inestinguibile.
Stava fissando l’uomo seduto di fronte a lui, chiaramente più anziano e in carne, con i capelli quasi bianchi e le guance paffute che tendevano a tremolare quando parlava.
Il capo disse bruscamente: «Allora? È fin troppo chiaro che non hai fatto nulla. Spiegami perché!».
L’uomo più anziano ribatté: «Sono un vecchio joranumita, Namarti. Perché devo spiegarti le mie azioni?».
Gambol Deen Namarti, un tempo braccio destro di Laskin “Jo-Jo” Joranum, disse: «Ci sono molti vecchi joranumiti. Alcuni sono incompetenti, altri si sono rammolliti, altri ancora hanno dimenticato. Essere un vecchio joranumita può anche voler dire essere soltanto un vecchio rimbambito».
L’uomo più anziano si appoggiò allo schienale della sua sedia. «Mi stai dando del vecchio rimbambito? A me? A Kaspal Kaspalov? Ero con Jo-Jo quando tu non eri ancora entrato nel partito, quando eri una nullità alla ricerca di una causa.»
«Non ti sto dando del rimbambito» replicò Namarti secco. «Dico soltanto che alcuni vecchi joranumiti sono rimbambiti. Ora hai l’opportunità di dimostrarmi che non sei uno di loro.»
«La mia associazione con Jo-Jo...»
«Scordatelo. È morto.»
«Tuttavia il suo spirito vive ancora.»
«Se questo pensiero può aiutarci nella nostra lotta, allora il suo spirito vive ancora. Ma per gli altri, non per noi. Sappiamo che ha commesso degli errori.»
«È falso.»
«Non insistere a trasformare in eroe un semplice uomo che ha commesso degli errori. Pensava di poter muovere il mondo con la sola forza dell’oratoria, con le parole.»
«La storia dimostra che in passato le parole hanno mosso le montagne.»
«Non le parole di Joranum, ovviamente, perché lui ha commesso degli errori. Ha tenuto nascosta la sua origine di micogenese, e lo ha fatto in modo goffo. Quel che è peggio, è caduto nel tranello di accusare il primo ministro di essere un robot. Lo avevo avvertito di non farlo, ma non ha voluto ascoltarmi e quell’accusa lo ha distrutto. Adesso ricominciamo dall’inizio, d’accordo? Qualunque sia il modo in cui utilizzeremo la memoria di Joranum per il mondo esterno, evitiamo di caderne vittime noi stessi.»
Kaspalov rimase seduto in silenzio. Gli altri tre spostavano i loro occhi da Namarti a Kaspalov e viceversa, contenti di lasciare che fosse Namarti a sostenere il peso della discussione.
«Con l’esilio di Joranum su Nishaya il suo movimento è crollato ed è sembrato svanire» proseguì Namarti duramente. «E così, se non fosse stato per me, sarebbe accaduto veramente. Un pezzo dopo l’altro, scavando fra le rovine, l’ho ricostruito fino a trasformarlo di nuovo in un gruppo le cui ramificazioni si estendono su tutto Trantor. Questo lo sai, immagino.»
«Lo so, capo» borbottò Kaspalov. L’uso di quel titolo rivelava che ora cercava una riconciliazione.
Namarti fece un sorrisetto tirato. Non insisteva mai sul titolo, ma gli faceva sempre piacere sentirlo usare. «Tu fai parte di questo gruppo e hai i tuoi doveri.»
Kaspalov si agitò sulla sedia. Era chiaro che stava discutendo con se stesso, e alla fine disse lentamente: «Tu dici, capo, di aver messo in guardia Joranum dall’accusare il vecchio primo ministro di essere un robot. Dici che non ti ha ascoltato, ma almeno hai potuto dire ciò che pensavi. Posso avere lo stesso privilegio di farti notare ciò che io ritengo un errore? Posso farmi ascoltare così come Joranum ha ascoltato te, anche se poi tu, come lui, non accetterai il consiglio che ti verrà dato?».
«Ma certo che puoi dire quello che pensi, Kaspalov. Siete tutti qui appunto per farlo. Cos’è che non ti soddisfa?»
«La nostra nuova tattica, capo, è un errore. Crea solo confusione e danni.»
«Sicuramente! È progettata per questo scopo.» Namarti si agitò a sua volta sulla sedia controllando a fatica la propria ira. «Joranum ha tentato la via della persuasione. Non ha funzionato. Noi useremo l’azione per far crollare Trantor.»
«Per quanto tempo? E a quale prezzo?»
«Per tutto il tempo che sarà necessario e a un prezzo molto basso, in realtà. Un arresto nell’erogazione di energia qui, un incidente alle condutture dell’acqua là, rigurgiti dalle fognature, un blocco degli impianti di condizionamento. Disagi e inconvenienti: non significa altro che questo.»
Kaspalov scosse il capo. «Queste cose si accumulano.»
«Sicuro, Kaspalov, e noi vogliamo che anche l’insoddisfazione e il risentimento dell’opinione pubblica si accumulino. Ascolta, Kaspalov. L’impero è in piena decadenza. Lo sanno tutti. Chiunque sappia ragionare in modo intelligente lo sa. La tecnologia si guasterebbe qua e là anche se noi non facessimo nulla. Noi le diamo solamente una spintarella.»
«È pericoloso, capo. Le infrastrutture di Trantor sono incredibilmente complicate. Una spinta avventata potrebbe danneggiarle in modo irreparabile. Se tiriamo il filo sbagliato, Trantor può crollare come un castello di carte.»
«Fino a questo momento non è successo.»
«Ma può succedere in futuro. E se poi la gente scoprisse che siamo noi i responsabili? Ci farebbero a pezzi. Non ci sarebbe bisogno di chiamare la sicurezza o l’esercito. Le folle inferocite ci distruggerebbero.»
«Come potrebbero scoprire, però, che siamo stati noi? Il bersaglio naturale del loro risentimento sarà il governo... i consiglieri dell’imperatore. Non andranno oltre nel cercare i colpevoli.»
«E noi come vivremo con la nostra coscienza, sapendo ciò che abbiamo fatto?»
Formulò quest’ultima domanda in un sussurro, poiché l’uomo anziano era chiaramente in preda a una forte emozione. I suoi occhi fissavano imploranti il capo, l’uomo al quale aveva giurato fedeltà. All’inizio lo aveva fatto nella convinzione che Namarti avrebbe continuato a far sventolare lo stendardo della libertà ricevuto da Laskin Joranum; adesso, Kaspalov si domandava se era in quel modo che Jo-Jo avrebbe voluto veder realizzato il suo sogno.
Namarti schioccò la lingua, un po’ come un genitore severo dinanzi a un bambino che aveva combinato una marachella.
«Kaspalov, non vorrai sul serio metterti a fare il sentimentale con noi, vero? Non appena giunti al potere, raccoglieremo i pezzi e ricostruiremo. Faremo appello alla gente con tutte le vecchie chiacchiere di Joranum sulla partecipazione popolare al governo, su una più ampia rappresentazione dei cittadini e, non appena saldamente al comando, formeremo un governo più efficiente e più stabile. Allora costruiremo un Trantor migliore e un impero più forte. Inventeremo qualche sistema collegiale dove i delegati di tutti i settori potranno discutere fino a farsi seccare la lingua, ma il governo sarà nelle nostre mani.»
Kaspalov restò seduto senza muoversi, indeciso.
Namarti fece un sorrisetto forzato. «Non sei convinto? Non possiamo perdere. Tutto sta funzionando alla perfezione e continuerà a funzionare così. L’imperatore non sa cosa sta succedendo, non ne ha la più pallida idea. E il suo primo ministro è un matematico. Ha rovinato Joranum, questo è vero, ma da allora non ha più fatto nulla.»
«Però ha qualcosa che si chiama... si chiama...»
«Lascia perdere. Joranum la considerava una cosa della massima importanza, ma questo faceva parte della sua origine micogenese, come la sua mania dei robot. Questo matematico non ha nulla.»
«Psicoanalisi storica, mi pare, o qualcosa di simile. Una volta ho sentito Joranum parlarne.»
«Lascia perdere, fai la tua parte. Tu sei addetto al controllo della ventilazione nel settore di Anemoria, non è vero? Benissimo, allora. Danneggiala nel modo che preferisci. Fai in modo che si interrompa in modo che l’umidità aumenti, o introduci qualche cattivo odore, o qualcosa del genere. Niente di tutto questo ucciderà qualcuno, quindi non farti subito prendere da un attacco di colpevolezza virtuosa. Metterai semplicemente a disagio un po’ di gente e incrementerai il livello generale del malcontento. Possiamo fare affidamento su di te?»
«Ma quello che può essere solo un po’ di disagio per le persone giovani e sane, potrebbe rivelarsi ben più grave per i neonati, i vecchi e i malati.»
«Vuoi continuare a insistere che nessuno deve essere danneggiato in alcun modo?»
Kaspalov bofonchiò qualcosa.
«È impossibile fare qualcosa» disse Namarti «con la certezza che nessuno resti danneggiato. Pensa solo a svolgere il tuo lavoro. Fallo in modo da danneggiare il minor numero possibile di persone, se la tua coscienza lo esige, ma fallo.»
«Un momento! Vorrei aggiungere un’altra cosa, capo.»
«Accomodati» ribatté Namarti stancamente.
«Possiamo lavorare per anni a manomettere le infrastrutture. Prima o poi dovrà arrivare il momento in cui approfitterai dell’insoddisfazione crescente per impadronirti del governo. Come intendi agire?»
«Vuoi sapere con esattezza come abbiamo intenzione di procedere?»
«Sì. Più rapidamente colpiremo, più limitati saranno i danni e più efficace l’operazione chirurgica.»
Namarti disse lentamente: «Non ho ancora deciso la natura di questo “attacco chirurgico”, ma ci sarà. Fino a quel momento, esegui il tuo incarico».
Kaspalov annuì rassegnato. «Sì, capo.»
«Vai, ora» disse Namarti con un brusco gesto di congedo.
Kaspalov si alzò, si girò e uscì. Namarti lo osservò allontanarsi. Poi disse all’uomo seduto alla sua destra: «Non possiamo più fidarci di Kaspalov. Vuole tradirci, e solo per questo motivo ha cercato di scoprire i miei piani per il futuro. Pertanto, occupati di lui».
L’altro annuì e tutti se ne andarono lasciando Namarti da solo nella stanza. Lui spense i pannelli luminosi alle pareti, lasciando acceso solo un riquadro solitario sul soffitto che sarebbe bastato a evitargli di ritrovarsi nel buio più totale.
“Ogni catena ha anelli deboli che devono essere eliminati” pensò. “Abbiamo già dovuto farlo in passato, con il risultato che adesso la nostra organizzazione è impenetrabile.”
E nella penombra sorrise, distorcendo il viso in una specie di ghigno ferino. Dopotutto, la sua organizzazione arrivava perfino all’interno del palazzo. Non altrettanto salda e affidabile quanto all’esterno, ma era giunta fin là. E si sarebbe rafforzata.