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CAPOSOLE QUATTORDICI ... Un capo del settore di Micogeno dell’antico Trantor... Come nel caso di tutti i capi di questo settore chiuso nel proprio isolamento, di lui si hanno poche notizie. Il fatto che abbia un ruolo anche minimo nella storia è dovuto interamente ai suoi contatti con Hari Seldon durante la Fuga...
ENCICLOPEDIA GALATTICA
C’erano solo due posti dietro l’abitacolo del pilota. Seldon si sedette su uno strato imbottito che cedette lentamente sotto il suo peso, e subito un’imbracatura gli strinse gambe, fianchi e torace, mentre un cappuccio gli scendeva sulla fronte e sulle orecchie. Si sentì imprigionato e, quando si girò verso sinistra, sia pure di poco e a fatica, vide che Dors era bloccata come lui.
Il pilota si mise al proprio posto e controllò i comandi. Poi disse: «Sono Endor Levanian, al vostro servizio. Siete imbracati perché ci sarà un’accelerazione notevole al decollo. Quando saremo fuori e cominceremo il volo, sarete di nuovo liberi di muovervi. Non c’è bisogno che mi diciate i vostri nomi. Non sono affari miei».
Si girò sul sedile e sorrise ai passeggeri con la sua faccia da gnomo, che si increspò mentre le labbra sporgevano in fuori. «Qualche problema psicologico, ragazzi?»
«Sono una straniera e sono abituata a volare» rispose Dors disinvolta.
«Questo vale anche per me» aggiunse Seldon con un pizzico di alterigia.
«Ottimo, ragazzi. Naturalmente, questo non è un normale avio e forse non avete mai fatto voli notturni. Comunque, tenete duro. Ci conto, intesi?»
Anche il pilota era imbracato, ma Seldon notò che aveva le braccia completamente libere.
All’interno dell’aviogetto risuonò un ronzio sordo, che divenne più intenso e acuto. Non era fastidioso ma sembrava sul punto di diventarlo, e Seldon reagì cercando di scuotere il capo quasi volesse togliersi dalle orecchie il rumore; con quel gesto, invece, riuscì solo a far stringere ulteriormente la rete bloccatesta.
Poi l’avio schizzò nell’aria (fu l’unico verbo che Seldon riuscì a trovare per descrivere il decollo) e Seldon si sentì schiacciare con violenza sul sedile.
Attraverso il parabrezza di fronte al pilota, con un fremito d’orrore Seldon vide innalzarsi una parete verticale, finché nella parete apparve un’apertura rotonda. Era simile al buco in cui si era tuffato l’aerotaxi il giorno in cui lui e Hummin avevano lasciato il settore imperiale, ma anche se l’apertura era abbastanza grande per la fusoliera dell’avio, sicuramente non c’era spazio per le ali.
Seldon girò la testa a destra per quanto fosse possibile e fece in tempo a vedere l’ala che si afflosciava e cedeva.
L’avio si infilò nell’apertura, fu catturato da un campo elettromagnetico e venne proiettato lungo un tunnel illuminato. L’accelerazione era costante e ogni tanto si sentivano degli schiocchi secchi: forse un rumore prodotto dai magneti quando li superavano, pensò Seldon.
Poi, in meno di dieci minuti, l’avio fu scagliato nell’atmosfera e penetrò di colpo nell’oscurità della notte.
Decelerò, uscendo dal campo elettromagnetico, e Seldon si sentì proiettare in avanti contro l’imbracatura e rimase bloccato in quella posizione per alcuni attimi mozzafiato.
Poi la pressione cessò e l’imbracatura scomparve.
«Come state, ragazzi?» chiese il pilota allegro.
«Di preciso, non lo so» rispose Seldon. Si rivolse a Dors. «Tutto bene?»
«Certo. Secondo me, il signor Levanian ci ha messo alla prova per vedere se eravamo davvero degli stranieri. È così, signor Levanian?»
«A certa gente piace l’eccitazione. A voi?»
«Entro certi limiti» rispose Dors.
«Come a tutte le persone ragionevoli» annuì Seldon, pienamente d’accordo con lei. E aggiunse: «Forse la cosa le sarebbe sembrata meno divertente se avesse staccato le ali all’avio, signore».
«Impossibile, signore. Gliel’ho detto, questo non è un normale aviogetto. Le ali sono completamente computerizzate. La loro lunghezza, l’ampiezza, la curvatura, la forma cambiano in base alla velocità del velivolo, alla velocità e alla direzione del vento, alla temperatura e a un’altra mezza dozzina di variabili. Non possono quindi staccarsi, a meno che l’avio stesso non sia sottoposto a sollecitazioni talmente forti da spaccarlo.»
Qualcosa schizzò sul finestrino di Seldon. «Piove» osservò Seldon.
«Piove spesso» fu il commento del pilota.
Seldon guardò fuori. Su Helicon o su qualsiasi altro mondo si sarebbero viste delle luci: le opere dell’uomo illuminate. Solo su Trantor tutto era buio.
Be’, non proprio. A un certo punto, Seldon scorse il bagliore di un faro. Forse le parti più alte della Faccia superiore avevano luci di segnalazione.
Come al solito Dors notò l’inquietudine di Seldon. Dandogli un colpetto sulla mano, disse: «Il pilota sa quel che fa, ne sono certa, Hari».
«Cercherò di rassicurarmi anch’io, Dors, ma vorrei che ci spiegasse qualcosa» ribatté Seldon, la voce abbastanza alta da essere udito.
«Niente in contrario» fece il pilota. «Innanzitutto, stiamo salendo e tra pochi minuti saremo sopra lo strato di nubi. Lassù non pioverà, e vedremo perfino le stelle.»
Un annuncio fatto con un tempismo perfetto, perché alcune stelle cominciarono a scintillare attraverso gli ultimi pennacchi nuvolosi. Poi tutte le altre stelle spuntarono d’un tratto, e il pilota spense le luci della cabina. Rimase illuminato debolmente solo il quadro comandi, e all’esterno il cielo luccicò vivido.
«Dopo più di due anni,» disse Dors «è la prima volta che vedo le stelle. Meravigliose, vero? Sono così splendenti e sono tantissime!»
«Rispetto alla maggior parte degli altri mondi,» osservò il pilota «Trantor è più vicino al centro della galassia.»
Dato che Helicon si trovava in un angolo remoto della spirale e aveva un campo stellare tutt’altro che imponente e poco luminoso, Seldon era rimasto senza parola.
«Com’è diventato silenzioso questo volo» disse Dors.
«Già» convenne Seldon. «Signor Levanian, che tipo di propulsione ha questo avio?»
«Un motore a microfusione e un sottile flusso di gas caldo.»
«Non sapevo che ci fossero avio a microfusione già operanti. Se ne parla, ma...»
«Ce ne sono alcuni piccoli come questo. Esistono solo su Trantor, per ora, e vengono utilizzati esclusivamente da alti funzionari governativi.»
«Viaggiare in questo modo deve costare parecchio» osservò Seldon.
«Moltissimo, signore.»
«Dunque, quanto dovrà pagare il signor Hummin?»
«Questo volo non gli costerà nulla. Il signor Hummin è un buon amico della compagnia proprietaria di questi avio.»
Seldon sbuffò. Poi chiese: «Come mai gli avio a microfusione sono così pochi?».
«Be’, innanzitutto sono troppo costosi. Quelli esistenti bastano a soddisfare la richiesta.»
«Potreste favorire una domanda maggiore, con avio più grandi.»
«Può darsi, ma la compagnia non è mai riuscita a costruire motori a microfusione abbastanza potenti per grandi avio.»
Seldon pensò alle lamentele di Hummin riguardo al basso livello a cui era scesa l’innovazione tecnologica. «Decadenza» mormorò.
«Cosa?» fece Dors.
«Nulla. Stavo solo pensando a una cosa che Hummin mi ha detto una volta.» Seldon guardò le stelle e chiese: «Stiamo andando a ovest, signor Levanian?».
«Sì. Come l’ha capito?»
«Se stessimo andando verso est, vedremmo l’alba a questo punto.»
Ma l’alba, inseguendo il pianeta, alla fine li raggiunse, e la luce del sole, la vera luce del sole, illuminò le pareti della cabina. Non durò a lungo, tuttavia, perché l’avio calò verso il basso e penetrò nelle nubi. L’azzurro e l’oro svanirono, sostituiti da un grigio cupo; Seldon e Dors avrebbero desiderato almeno qualche altro istante di sole autentico, ed emisero gridolini di delusione.
Quando superarono lo strato di nubi, la Faccia superiore apparve subito sotto di loro. La superficie, almeno in quella zona, era una distesa ondulata di anfratti boscosi e spiazzi erbosi. Era il tipo di paesaggio che si incontrava sulla Faccia superiore, proprio come aveva detto Clowzia a Seldon.
Anche questa volta non ci fu molto tempo per osservare. In basso apparve un’apertura, circondata dalla scritta: MICOGENO.
Vi entrarono.