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Rimasero seduti a lungo in silenzio nel taxi che sfrecciava per centinaia di chilometri attraverso le gallerie che portavano all’università. A un tratto Gaal si voltò e gli chiese: «Era vero quello che ha detto al Comitato? La sua condanna a morte avrebbe davvero affrettato la caduta?».
«Non mento mai quando si tratta di psicostoria. Né, d’altra parte, mi sarebbe stato d’aiuto in questo caso. Chen sapeva che dicevo la verità. È un uomo politico intelligente e i politici, per loro stessa natura, devono essere provvisti di un’istintiva sensibilità per le verità della psicostoria.»
«Era proprio necessario scegliere l’esilio?» chiese Gaal turbato. Seldon non rispose.
Quando finalmente giunsero al piazzale dell’università, Gaal era talmente teso da avere i muscoli irrigiditi. Dovette essere praticamente scaricato di peso dal taxi.
L’università era inondata di luce. Gaal si era quasi dimenticato dell’esistenza del sole, eppure gli edifici del college non sorgevano all’aperto ma erano coperti da una smisurata cupola di vetro-che-non-era-vetro. Era polarizzata e Gaal poteva guardare direttamente l’astro che splendeva all’esterno; per fortuna la luce non risultava essere offuscata e splendeva a perdita d’occhio sugli edifici metallici.
Le strutture dell’università non avevano il colore grigio che caratterizzava la maggior parte delle costruzioni di Trantor. Il loro aspetto era argenteo e la luce che riflettevano era simile all’avorio.
«Sembrano soldati» osservò Seldon.
«Che cosa?» Gaal riportò lo sguardo a terra e vide una sentinella.
Si fermarono di fronte all’uomo armato. Da una porta laterale apparve un capitano.
«Dottor Seldon?» chiese in tono cortese.
«Sono io.»
«La stavamo aspettando. Da questo momento, lei e i suoi uomini siete sottoposti alla legge marziale. Ho ricevuto l’ordine di informarla che le saranno concessi sei mesi per prepararsi a partire per Terminus.»
«Sei mesi!» esclamò Gaal, ma le dita di Seldon gli premettero leggermente il braccio.
«Queste sono le istruzioni che ho ricevuto» riferì il capitano.
Non appena se ne fu andato, Gaal si voltò verso Seldon. «Ma che cosa possiamo fare in sei mesi? Questo equivale a condannarci a una morte lenta.»
«Si calmi. Venga nel mio ufficio.»
L’ufficio non era grande, ma era provvisto di un dispositivo, difficilmente localizzabile, che annullava i raggi spia. Infatti, quando i raggi venivano diretti nella stanza, non registravano né un silenzio che poteva risultare sospetto, né un campo magnetico disturbato, il che sarebbe risultato ancora più strano. Registravano invece una falsa conversazione, costruita con frasi del tutto innocenti, pronunciate da voci diverse.
«Bene» disse Seldon, finalmente a proprio agio. «Sei mesi saranno sufficienti.»
«Non vedo come...»
«Perché, ragazzo mio, in un progetto come il nostro le azioni degli altri si piegano alla nostra volontà. Le ho già detto che da tempo studiavamo Chen più di quanto sia stato osservato e studiato qualsiasi altro uomo nella storia. Il processo poteva cominciare soltanto quando noi avessimo scelto il momento e le circostanze che più ci facevano gioco.»
«Vuole dirmi che lei era già preparato...»
«A essere esiliato su Terminus? E perché no?» Premette col dito un punto della scrivania e alle sue spalle una sezione di parete scivolò di lato. Solo le sue dita avrebbero potuto mettere in azione il meccanismo, perché il pulsante reagiva unicamente a contatto di un determinato schema di impronte digitali.
«Troverà parecchi microfilm, nascosti là dentro: prenda, per favore, quello segnato con la lettera “T”.»
Gaal ubbidì. Ricevette da Seldon un paio di lenti speciali e poi attese che questi montasse la pellicola sul proiettore. Dopo essersi sistemati gli occhiali, osservò le immagini che venivano proiettate davanti a lui.
«Ma allora...»
Seldon lo interruppe. «Che cosa la sorprende?»
«Voi eravate pronti a partire già da due anni?»
«Due anni e mezzo. Naturalmente non potevamo essere sicuri che Terminus sarebbe stato il pianeta scelto per il nostro esilio, anche se lo speravamo e ci siamo preparati per questa eventualità...»
«Ma perché? Per quale ragione ha predisposto tutto per l’esilio? Non sarebbe stato meglio controllare gli eventi stando qui, su Trantor?»
«Esistono diverse ragioni che giustificano il mio modo d’agire. Lavorando su Terminus, noi godremo dell’aiuto imperiale senza suscitare il timore che stiamo minando la sicurezza dell’impero.»
«Quindi lei ha suscitato queste paure solamente per costringere il Comitato a esiliarci. Ancora non riesco a comprendere.»
«Non credo che ventimila famiglie si sarebbero trasferite di loro spontanea volontà all’altro capo della galassia.»
«Ma perché è stato necessario spingerle ad accettare l’esilio?» Gaal fece una pausa. «Posso conoscerne la ragione?»
«Non ancora. Per il momento è sufficiente sapere che su Terminus verrà creato un rifugio scientifico. Un altro sarà costruito al capo estremo della galassia, potremmo dire su...» e qui sorrise «... Fine di Stella. Per quanto riguarda il resto io morirò presto e lei vedrà di sicuro più cose di me. No, no, mi risparmi quell’espressione addolorata e gli auguri di guarigione. I medici mi hanno già comunicato che non vivrò più di uno o due anni. Ma per allora avrò portato a termine quello che avevo stabilito di fare, e la mia morte non potrebbe avvenire in circostanze migliori.»
«E dopo la sua morte?»
«Perché questa domanda? Ci saranno i miei successori... Forse lei stesso. E saranno capaci di condurre a buon fine il progetto, organizzando la rivolta di Anacreon al momento e nel modo giusto. Dopo di che, gli eventi procederanno praticamente da soli.»
«Non capisco.»
«Capirà.» Sul volto di Seldon apparve un’espressione stanca e nello stesso tempo rasserenata. «Molti partiranno per Terminus ma alcuni resteranno. Sarà facile sistemare le cose. Per quanto mi riguarda» e finì la frase con un sussurro, così che Gaal non riuscì a sentire le parole «la mia missione può dirsi conclusa.»