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Quando uscirono, la luce della sera aveva una tonalità gradevole, le nubi simulate che si inseguivano nel tramonto erano sfumate di viola e avevano contorni rosati. I dahliti potevano anche lamentarsi di come erano trattati dal governo di Trantor, ma nella situazione meteorologica computerizzata non c’era nulla che non andasse.
Sottovoce Dors disse: «Pare che siamo delle celebrità, ormai».
Seldon smise di osservare il “cielo” e notò subito una folla piuttosto numerosa intorno all’edificio in cui abitavano i Tisalver.
Tutti li fissavano. Quando capirono che i due stranieri si erano accorti di essere al centro dell’attenzione, la folla fu percorsa da un mormorio che sembrò sul punto di esplodere in un’acclamazione.
«Capisco che dev’essere una situazione seccante, per la signora Tisalver» disse Dors. «Avrei dovuto essere più comprensiva.»
Per la maggior parte, la folla era costituita da gente vestita male; non era difficile indovinare che molti di loro venivano da Billibotton.
D’impulso, Seldon sorrise e alzò la mano in un gesto di saluto che subito suscitò gli applausi. Protetta dall’anonimato della folla, una voce chiese: «La signora non può mostrarci qualche numero col coltello?».
Quando Dors rispose: «No, li uso solo se mi fanno arrabbiare», risuonarono immediatamente delle risate.
Un uomo si fece avanti. Non era di Billibotton e non sembrava nemmeno un dahlita. I baffi erano appena accennati, castani e non neri. «Sono Marlo Tanto, del notiziario olovisivo trantoriano. Potete dedicarci qualche minuto per la nostra edizione notturna?»
«No» rispose Dors. «Niente interviste.»
Il giornalista non si scompose.
«Mi risulta che avete avuto uno scontro con parecchi uomini a Billibotton e che avete vinto.» Sorrise. «È una notizia, questa.»
«No» disse Dors. «Abbiamo incontrato degli uomini a Billibotton, abbiamo parlato con loro e proseguito per la nostra strada. La storia è tutta qui, dovrà accontentarsi.»
«Come si chiama? Dall’accento non sembra trantoriana.»
«Non ho un nome.»
«E quello del suo amico?»
«Senza nome anche lui.»
Il giornalista parve seccato. «Senta, signora. Siete sulla bocca di tutti e io cerco solo di svolgere il mio lavoro.»
Raych tirò Dors per una manica e, quando lei si chinò, mormorò concitato qualcosa.
Dors annuì e tornò eretta. «Secondo me, signor Tanto, lei non è un giornalista ma un agente imperiale che cerca guai a Dahl. Non c’è stato alcuno scontro, ma ha deciso di inventare notizie false per giustificare un intervento imperiale a Billibotton. Non starei qui, se fossi in lei. Non credo che sia molto simpatico a questa gente.»
Alle prime parole di Dors, la folla aveva cominciato a borbottare. Ora il vocio era più forte e la gente si stava spostando lentamente verso Tanto, con fare minaccioso. L’uomo si guardò intorno nervoso e cominciò ad allontanarsi.
Dors alzò la voce. «Lasciatelo andare. Nessuno lo tocchi, non dategli un pretesto per denunciare un’azione violenta.»
E la folla si fece da parte.
«Signora, doveva lasciarlo pestare un po’» disse Raych.
«Ragazzino sanguinario,» disse Dors «portaci dal tuo amico.»