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La Stella lontana atterrò dolcemente, senza scosse, senza effetti gravitazionali anomali. I passeggeri uscirono a uno a uno: prima Bliss, poi Pelorat, infine Trevize.
Il clima era simile a quello che su Terminus segnava l’inizio della stagione estiva. Soffiava una leggera brezza e nel cielo screziato splendeva un sole brillante. Sembrava mattina tardi; il terreno, sotto i piedi, era verde, e su un lato si vedevano filari fitti di alberi che facevano pensare a un frutteto. Dalla parte opposta si scorgeva, in lontananza, la spiaggia.
In aria si sentiva un ronzio lieve, come di insetti, e lo sbatter d’ali di uccelli, o in ogni caso di creature volanti. Da una particolare direzione arrivava il rumore secco di qualcosa che poteva essere un attrezzo agricolo.
Pelorat fu il primo a parlare. Non badò né a ciò che vedeva né a ciò che sentiva, ma inspirando aria disse: «Ah, che buon odore, come di torta di mele appena cotta!».
«Quegli alberi probabilmente sono meli e per quanto ne sappiamo noi in questo momento qualcuno potrebbe stare cuocendo una torta di mele» disse Trevize.
«Sulla vostra astronave invece c’era un odore di... Be’, insomma, una puzza terribile» disse Bliss.
«Non si è lamentata quando era a bordo» ringhiò Trevize.
«Per una questione di educazione. Ero vostra ospite.»
«E qui l’educazione non vale più?»
«Qui sono sul mio mondo. Siete voi gli ospiti. Siete voi che vi dovete comportare come persone educate.»
«Probabilmente ha ragione a proposito del cattivo odore, Golan» disse Pelorat. «Non c’è modo di dare aria all’astronave?»
«Sì» rispose Trevize irritato. «Si può fare, se questa piccoletta ci assicura che nessuno toccherà la Stella lontana. Ci ha già dimostrato di poter esercitare un controllo notevole sull’astronave.»
Bliss drizzò la schiena al massimo. «Non sono poi così piccola e, se per ripulire l’astronave avete bisogno che nessuno la tocchi, vi assicuro che sarà un piacere per me fare in modo che nessuno le si avvicini.»
«E dopo ci può accompagnare dalla persona che chiama Gaia?» chiese Trevize.
Bliss apparve divertita. «Non so se ci crederete, ma Gaia sono io.»
Trevize la fissò. Aveva sentito e usato innumerevoli volte l’espressione “raccogliere le idee”, ma in quel momento, per la prima volta nella sua vita, ebbe la sensazione di farlo letteralmente. Alla fine disse: «Lei?».
«Sì, io. E la terra. E quegli alberi. E quel coniglio tra l’erba, laggiù. E l’uomo che si intravede fra gli alberi. L’intero pianeta e tutto quanto c’è sopra è Gaia. Siamo individui, siamo organismi separati, ma condividiamo tutti una coscienza globale. La materia inorganica del pianeta è meno di tutti partecipe di questa coscienza e gli esseri umani ne sono partecipi più di tutti, ma ognuno contribuisce all’insieme.»
«Credo che intenda dire che Gaia è una specie di coscienza collettiva, Trevize» disse Pelorat.
Trevize annuì. «L’avevo capito. In tal caso, Bliss, chi governa questo mondo?»
«Si governa da solo. Quei meli crescono in filari regolari di comune accordo. Si riproducono solo quel tanto che serve a riempire gli spazi vuoti lasciati dagli alberi che muoiono. Gli esseri umani raccolgono la quantità di mele di cui hanno bisogno; altri animali, compresi gli insetti, mangiano la loro parte, e solo quella.»
«Vuol dire che gli insetti sanno qual è la loro parte?» disse Trevize.
«Sì, in un certo modo lo sanno. Piove quando è necessario; a volte ci sono periodi di piogge più intense e prolungate, a volte periodi di siccità. Entrambi si verificano quando è necessario.»
«Anche la pioggia sa cosa deve fare?»
«Sì» rispose Bliss serissima. «Non è forse vero che nel vostro corpo tutte le varie cellule sanno cosa devono fare? Sanno quando moltiplicarsi e quando smettere di farlo, quando creare determinate sostanze e quando no, e quando le creano sanno perfettamente in quale quantità. Ciascuna cellula è, fino a un certo grado, una fabbrica chimica indipendente, ma tutte quante attingono a un fondo comune di materie prime che vengono portate loro attraverso un sistema di trasporto comune; tutte versano i rifiuti in canali comuni, tutte danno un contributo alla coscienza collettiva globale.»
«Straordinario» disse Pelorat con entusiasmo. «Sta dicendo che il pianeta è un superorganismo e che lei è una cellula di questo superorganismo?»
«Era solo un’analogia. Siamo come cellule, ma non siamo veramente cellule, capite?»
«In che senso non siete cellule?» chiese Trevize.
«Nel senso che esiste, come ho detto, una coscienza collettiva, ma ne esiste anche una individuale, la coscienza del singolo organismo, nel mio caso un essere umano...»
«Per il cui corpo gli uomini smaniano.»
«Esatto. Questa coscienza è enormemente più avanzata di quella di una singola cellula. Il fatto che ciascuno di noi faccia parte di un’entità ancora più grande che si trova su un livello più alto non ci riduce al rango di cellule. Io rimango un essere umano; al di sopra di noi però c’è questa consapevolezza collettiva che supera di molto la mia comprensione, tanto quanto la mia consapevolezza individuale supera quella, che so, di una cellula muscolare del mio braccio.»
«Però qualcuno avrà pure ordinato di prendere il controllo della nostra astronave» osservò Trevize.
«No, non qualcuno. L’ha ordinato Gaia. L’abbiamo ordinato noi.»
«Anche gli alberi e la terra, Bliss?»
«Hanno contribuito in grado minimo, ma hanno contribuito. Sentite, quando un musicista compone una sinfonia, voi gli chiedete quale cellula particolare del suo corpo abbia ordinato di comporre la sinfonia e sovrinteso alla sua creazione?»
«A quanto ho capito,» disse Pelorat «la mente collettiva, chiamiamola così, della coscienza collettiva è molto più forte di una mente individuale, proprio come un muscolo è molto più forte di una singola cellula muscolare. Di conseguenza Gaia ha potuto impadronirsi a distanza della nostra astronave assumendo il controllo del computer, cosa che nessuna mente individuale del pianeta avrebbe mai potuto fare, vero?»
«Ha compreso perfettamente, Pel» disse Bliss.
«Anch’io ho compreso» disse Trevize. «Non è poi così difficile. Ma che cosa volete da noi? Non avevamo intenzione di attaccarvi. Eravamo venuti a cercare informazioni. Perché vi siete impadroniti dell’astronave?»
«Volevamo parlare con voi.»
«Non potevamo parlare già a bordo della Stella lontana?»
Bliss scosse il capo con aria grave. «Non sono io che vi devo parlare.»
«Ma non fa parte della mente collettiva?»
«Sì, ma non so volare come un uccello, ronzare come un insetto o diventare alta come un albero. Faccio ciò che sono più adatta a fare, e non sono particolarmente adatta a darvi le informazioni che cercate. Se ne fossi stata incaricata, avrei potuto darvele tranquillamente.»
«Chi ha deciso di non attribuirle questo incarico?»
«Noi tutti.»
«Chi ci fornirà le informazioni, allora?»
«Dom.»
«E chi è Dom?»
«Il suo nome per esteso è Endomandiovizamarondeyaso eccetera eccetera» rispose Bliss. «Diverse persone lo chiamano con differenti sillabe usandone alcune in certi periodi e altre in altri, ma io lo conosco come Dom e penso che anche voi ricorrerete a questa abbreviazione. Dom partecipa della coscienza collettiva forse più di qualsiasi altro abitante del pianeta, e vive in quest’isola. Ha chiesto di vedervi e gli è stato concesso.»
«Chi gliel’ha concesso?» chiese Trevize. Poi, rispondendosi da solo, aggiunse: «Sì, lo so: voi tutti».
Bliss annuì.
«Quando andiamo da Dom?» domandò Pelorat.
«Subito. Se mi segue, l’accompagno da lui adesso, Pel. E anche lei naturalmente, Trev.»
«E dopo se ne andrà?» chiese Pelorat.
«Non vuole che me ne vada, Pel?»
«A dire la verità, no.»
«Vedete?» disse Bliss, guidandoli lungo una strada dal fondo liscio che costeggiava il frutteto. «Gli uomini mi si affezionano in men che non si dica. Perfino anziani signori dignitosi si fanno prendere da ardori giovanili.»
Pelorat rise. «Non farei troppo affidamento sui miei ardori giovanili Bliss, ma se li avessi sul serio preferirei averli per causa sua che per causa di qualcun’altra.»
«Oh, non sottovaluti i suoi ardori» disse Bliss. «Io faccio miracoli, sa?»
Spazientito, Trevize disse: «Una volta che saremo arrivati, per quanto tempo dovremo aspettare questo Dom?».
«È lui che ha aspettato e aspetta voi. Dopotutto Dom, attraverso Gaia, si è dato da fare per anni per avervi qui.»
Trevize si fermò di colpo mentre camminava e lanciò un’occhiata a Pelorat, che sussurrò, con voce inudibile: «Aveva ragione».
Bliss, che guardava dritto davanti a sé, disse calma: «Lo so Trev che sospettava che io/noi/Gaia fossimo interessati a voi».
«Io/noi/Gaia?» fece Pelorat perplesso.
Lei si girò verso di lui e gli sorrise. «Utilizziamo una ricca serie di pronomi differenti per esprimere le sfumature di individualità che esistono su Gaia. Potrei illustrarveli, ma intanto io/noi/Gaia dà già un’idea, anche se approssimativa, di quello che voglio dire. La prego Trev, continuate a camminare. Dom sta aspettando e non desidero costringere le vostre gambe a muoversi contro la vostra volontà. È una sensazione spiacevole per uno che non ci sia abituato.»
Trevize si mosse, lanciando a Bliss un’occhiata carica di sospetto.