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STORIA DELLA MANO SULLA COSCIA ... Una circostanza citata da Hari Seldon come prima svolta decisiva nella sua ricerca di un metodo per perfezionare la psicostoria. Sfortunatamente, i suoi scritti non forniscono alcuna indicazione circa la natura di tale storia e le congetture (ne sono state fatte parecchie) sono inutili. Rimane uno dei tanti misteri affascinanti della carriera di Seldon.
ENCICLOPEDIA GALATTICA
Gocciadipioggia Quarantatré fissò Seldon ansimando, gli occhi sbarrati. «Non posso stare qui.»
Seldon si guardò intorno. «Non c’è nessuno che ci disturbi. Perfino il Fratello che ci ha dato i bocconcini non ha detto nulla. A quanto pare, ci ha scambiati per una coppia perfettamente normale.»
«Perché non abbiamo nulla di insolito quando c’è poca luce, quando tu tieni la voce bassa e si nota meno il tuo accento tribale, e quando io sembro calma. Ma adesso...» La voce della ragazza si era fatta roca.
«Adesso, cosa?»
«Sono nervosa, tesa. Sono sudata.»
«Chi vuoi che se ne accorga? Rilassati. Calmati.»
«Non posso rilassarmi qui. Non riesco a calmarmi sapendo che qualcuno potrebbe notarmi.»
«Dove dobbiamo andare, allora?»
«Ci sono delle cabine per riposarsi. So dove si trovano, ho lavorato qui.»
La Sorella affrettò il passo e Seldon la seguì. Su una breve rampa, che nella semioscurità Seldon non avrebbe visto se non ci fosse stata lei, apparve una fila di porte ben distanziate.
«Quella in fondo» mormorò Gocciadipioggia Quarantatré «è libera.»
Infatti era così: un rettangolo luminoso diceva NON OCCUPATA e la porta era socchiusa.
La ragazza si guardò intorno velocemente, fece cenno a Seldon di entrare, entrò a sua volta e quando chiuse la porta una luce sul soffitto si accese, rischiarando l’interno.
«Sulla porta c’è un segnale che indica che la cabina è occupata?» chiese Seldon.
«Il segnale è apparso automaticamente quando si è chiusa la porta e si è accesa la luce.»
Seldon avvertì l’aria che circolava producendo una specie di sospiro sommesso, ma del resto a Trantor quel rumore e quella sensazione erano presenti ovunque.
La stanza non era molto spaziosa, ma era dotata di un lettino con un materasso duro al punto giusto e lenzuola pulite. C’erano una sedia e un tavolo, un piccolo frigorifero e qualcosa che somigliava a una piastra termica chiusa, probabilmente un apparecchio per scaldare il cibo.
La ragazza si accomodò sulla sedia, assumendo una posizione rigida ed eretta e cercando visibilmente di costringersi a rilassarsi.
Seldon, indeciso, rimase in piedi finché lei con un gesto un po’ spazientito gli indicò il lettino. Seldon sedette là.
Sottovoce, quasi parlasse fra sé, la Sorella disse: «Se si verrà a sapere che sono stata qui con un uomo, anche se è solo un tribale, verrò bandita».
Seldon scattò in piedi. «Allora non rimaniamo.»
«Siediti. Non posso uscire in questo stato. Mi hai chiesto della religione. Cos’è che cerchi?»
Gocciadipioggia Quarantatré sembrava completamente cambiata, rifletté Seldon. Non c’era più traccia di passività e ossequiosità. Non era più timida e incerta in presenza di un maschio. Lo fissava torva, tenendo le palpebre socchiuse.
«Te l’ho detto, cerco la conoscenza. Sono uno studioso. Mi interessa sapere, è la mia professione. Voglio capire la gente, soprattutto, quindi voglio imparare la storia. Su molti mondi i documenti storici antichi, quelli veramente antichi, si sono trasformati in miti e leggende, e spesso sono entrati a far parte di un complesso di credenze religiose o preternaturali. Ma se Micogeno non ha una religione, allora...»
«Ti ho detto che abbiamo la storia.»
«L’hai detto due volte. Storia che risale a quando?»
«A ventimila anni fa.»
«Davvero? Parliamo con franchezza. È storia autentica o è qualcosa che è degenerata in leggenda?»
«Storia autentica, naturalmente.»
Seldon stava per chiederle come facesse a essere certa della sua autenticità, ma si trattenne. Chissà se la storia poteva davvero essere rigorosa, se risaliva a ventimila anni prima? Non era del mestiere, lui. Avrebbe dovuto domandare a Dors.
In ogni caso gli sembrava probabile che la parte più antica della storia di ogni mondo fosse solo un miscuglio artefatto di drammi ed eroismi, che servivano come insegnamento morale e non andavano presi alla lettera. Su Helicon era senza dubbio così, eppure quasi tutti gli heliconiani erano pronti a giurare che si trattasse di episodi autentici, che quella era storia. Arrivavano persino a sostenere l’autenticità della storia, completamente assurda, della prima esplorazione di Helicon e degli incontri con enormi e pericolosi rettili volanti, anche se sui mondi colonizzati dagli esseri umani non era mai stata trovata traccia di bestie del genere.
Seldon domandò: «Come inizia la vostra storia?»
Con un’espressione rapita sul volto, lo sguardo fisso nel vuoto, la Sorella rispose: «Con un mondo, il nostro. Un unico mondo».
«Unico?» (Seldon ricordò che Hummin gli aveva parlato delle leggende sul pianeta d’origine dell’umanità.)
«Sì. Dopo ce ne sono stati altri, ma il nostro è stato il primo, con tanto cielo e aria, esposto all’aperto, con spazio per tutti, campi fertili, case accoglienti e gente cordiale. Per migliaia di anni abbiamo vissuto là, poi siamo stati costretti ad andarcene e nasconderci in un posto o nell’altro, finché alcuni di noi non hanno trovato un angolo di Trantor dove abbiamo imparato a coltivare il cibo che ci ha dato un po’ di libertà. E qui a Micogeno adesso abbiamo le nostre usanze e i nostri sogni.»
«E la vostra storia parla in modo dettagliato del pianeta d’origine? Di quell’unico mondo?»
«Oh, sì, in un libro che possediamo tutti e che portiamo sempre con noi: in questo modo possiamo aprirlo, leggerlo, ricordare chi siamo e chi eravamo, sapendo che un giorno riavremo il nostro mondo.»
«Dov’è e da chi è abitato adesso? Lo sapete?»
La ragazza esitò, poi scosse il capo rabbiosamente. «No, ma un giorno lo troveremo.»
«E in questo momento hai con te il libro?»
«Certo.»
«Posso vederlo?»
Sul volto di lei sbocciò lentamente un sorriso. «Dunque, ecco cosa vuoi. Ho capito che volevi qualcosa quando hai chiesto che ti accompagnassi da sola a visitare le microcolture.» Parve un po’ imbarazzata. «Non immaginavo che fosse il Libro.»
«Non voglio altro» disse Seldon sincero. «Non avevo in mente nient’altro. Se mi hai portato con te pensando che...»
Lei non lo lasciò finire. «Ma adesso siamo qui. Vuoi o non vuoi il Libro?»
«Me lo lasci vedere?»
«A una condizione.»
Seldon esitò. Forse, involontariamente, aveva spezzato fin troppo le inibizioni della Sorella e, in tal caso, c’era la possibilità di guai seri. «Quale?»
Gocciadipioggia Quarantatré sporse leggermente la lingua e si umettò in fretta le labbra. Poi, con voce tremula, rispose: «Devi toglierti la guaina».