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Munn Li Compor, consigliere di Terminus, tese con aria incerta la mano destra a Trevize.

Trevize fissò con occhi duri quella mano e non la strinse. Disse, come parlando all’aria: «Non posso permettermi il lusso di creare un guazzabuglio tale da farmi arrestare per disturbo della quiete pubblica, su questo pianeta straniero, ma me lo permetterò, quel lusso, se questo individuo si avvicinerà di un solo passo».

Compor si arrestò di colpo, esitò, e alla fine, dopo aver lanciato un’occhiata incerta a Pelorat, disse sottovoce: «Posso parlare un attimo? Spiegarmi? Mi starai ad ascoltare?».

Pelorat, corrugando la fronte, guardò prima Trevize, poi Compor. «Che cosa significa tutto questo, Golan? Abbiamo per caso incontrato su questo pianeta sperduto una persona che conosce?»

Trevize continuò a fissare Compor, ma girò leggermente il busto, in modo che fosse chiaro che si rivolgeva a Pelorat. «Questo... individuo, perché in effetti dall’aspetto si è costretti a definirlo tale, una volta, su Terminus, mi era amico. Come faccio sempre con gli amici, mi fidavo di lui. Gli ho confessato le mie opinioni, che non erano proprio di quelle che si possono gridare ai quattro venti. Lui è andato a raccontare tutto alle autorità, a quanto sembra con dovizia di particolari, e non si è nemmeno preoccupato di dirmi che aveva fatto la soffiata. Così sono caduto in pieno in una trappola e adesso mi trovo in esilio. E ora questo essere pretende che gli getti le braccia al collo.»

Girò di nuovo il busto verso Compor e si passò le dita fra i capelli, riuscendo solo a scompigliarsi di più i ricci. «Senti, tu, dimmi piuttosto: che cosa ci fai qui? Con tutti i pianeti che ci sono nella galassia come mai sei finito proprio su questo? E come mai adesso?»

La mano di Compor, che era rimasta tesa per tutta la durata del discorso di Trevize, ricadde lungo il fianco. Il sorriso scomparve dal suo volto, insieme con l’aria di sicurezza che gli era così caratteristica; Compor d’un tratto apparve più giovane dei suoi trentaquattro anni e abbastanza afflitto. «Posso spiegarti, ma solo se accetti che cominci la storia dall’inizio.»

Trevize si guardò un attimo intorno. «Qui? Vuoi davvero parlare dell’intera faccenda qui, in un luogo pubblico? Vuoi proprio che te le suoni di santa ragione davanti a tutti, dopo aver ascoltato le tue bugie?»

Compor alzò le mani, tenendo i palmi uno davanti all’altro. «È il posto più sicuro, credimi.» Poi, intuendo che cosa l’altro si accingeva a dire, si corresse e aggiunse: «O non credermi, non importa. Sto dicendo la verità, però. Mi trovo su questo pianeta da un po’ più di tempo di te e ho fatto i miei controlli. È un giorno particolare oggi, su Sayshell. È, pare, una giornata dedicata alla meditazione. Quasi tutti si trovano, o dovrebbero trovarsi, a casa. Vedi com’è vuoto questo posto, no? Non penserai che sia così tutti i giorni, vero?».

Con un cenno di assenso Pelorat disse: «Mi stavo proprio chiedendo perché fosse così vuoto». Avvicinò la bocca all’orecchio di Trevize e sussurrò: «Perché non gli lascia dire quel che deve, Golan? Ha un’aria così afflitta, poverino, e sembra intenzionato a scusarsi con lei. Mi pare ingiusto non dargli la possibilità di farlo».

«Il dottor Pelorat sembra ansioso di ascoltarti. Sono disposto a fargli la cortesia che mi chiede, ma tu farai a me la cortesia di essere breve. Questo potrebbe essere il giorno più adatto per perdere la pazienza. Se è vero che tutti sono assorti in meditazione, forse i tutori della legge non arriveranno nel caso io faccia un po’ di casino. Domani potrei non essere altrettanto fortunato. Perché perdere una così bella occasione?»

Con voce tesa Compor disse: «Senti, se vuoi darmi un pugno, fallo. Non tenterò neppure di difendermi. Fallo, però ascoltami!».

«Parla, allora. Per un po’ accetto di starti a sentire.»

«Innanzitutto, Golan...»

«Chiamami Trevize, per piacere, poche confidenze, tra di noi.»

«Innanzitutto, Trevize, devo dire che tu mi convincesti anche fin troppo dell’esattezza della tua teoria...»

«Hai saputo nasconderlo bene. Avrei giurato che le mie opinioni ti facessero ridere.»

«Cercai di buttarla sul ridere per nascondere a me stesso di essere turbato dalle tue idee. Senti, sediamoci vicino al muro. Anche se il posto è vuoto, non vorrei che a quei pochi che entrano apparissimo troppo vistosi.»

I tre uomini attraversarono lentamente l’enorme sala. Compor aveva di nuovo abbozzato un sorriso, ma si teneva prudentemente a una certa distanza da Trevize. Si sedettero su poltrone che sotto il loro peso cedettero, morbide, accompagnando la forma dei fianchi e delle natiche. Pelorat apparve sorpreso e fece per alzarsi.

«Si rilassi, professore» disse Compor. «Ho già avuto modo di studiare la faccenda. In alcuni settori, qui, sono più progrediti di noi. È un mondo che crede nelle piccole comodità.»

Si girò verso Trevize, posando un braccio sullo schienale della poltrona e parlando finalmente senza troppa tensione. «Mi avevi turbato. Mi avevi convinto dell’esistenza della Seconda Fondazione, e questo mi era parso terribile. Pensai che, se era vero che la Seconda Fondazione esisteva, avrebbe potuto intervenire in qualche modo e toglierti di mezzo in quanto personaggio scomodo. E che se mi fossi comportato come uno che condivideva le tue idee, avrei fatto la stessa fine anch’io. Capisci il mio punto di vista?»

«Capisco che sei un codardo.»

«A che sarebbe servito fare l’eroe da libro di scuola?» disse Compor con foga, spalancando indignato gli occhi azzurri.

«Come possiamo, tu o io, tener testa a un’organizzazione capace di plasmare la mente e i sentimenti? Innanzitutto, per combatterla, dovremmo preoccuparci di nasconderle che sappiamo.»

«Tu l’hai fatto e ti sei salvato, eh? Eppure ne hai parlato col sindaco Branno. Un bel rischio.»

«Sì. Ma ho pensato che ne valesse la pena. Se ne avessimo parlato solo fra di noi, forse avremmo ottenuto unicamente di farci controllare la mente o di farci cancellare la memoria. Ho pensato che se invece avessi parlato col sindaco... Sai, conosceva bene mio padre. Mio padre e io siamo emigrati da Smyrno e il sindaco aveva una nonna che...»

«Sì, sì,» disse Trevize spazientito «e risalendo indietro di molte generazioni arrivi a trovare le tue ascendenze nel settore Sirio. L’hai già raccontato a tutte le persone che conosci. Avanti dunque, Compor!»

«Bene, ho chiesto alla Branno di ricevermi. Mi sono detto che se fossi riuscito, con le tue argomentazioni, a convincere lei, la Federazione forse avrebbe preso qualche provvedimento. Non siamo più così indifesi come all’epoca del Mulo. Poi ho pensato che, nella peggiore delle ipotesi, diffondendo maggiormente le tue teorie pericolose il rischio l’avrebbero corso più persone e non solo noi due.»

Trevize disse ironico: «Mettere in pericolo la Fondazione pur di garantire a se stessi l’incolumità. Che patriottismo!».

«Ho detto nella peggiore delle ipotesi. Io speravo in quella migliore.» Compor aveva la fronte lievemente imperlata di sudore. Sembrava sotto sforzo per far fronte all’atteggiamento sprezzante di Trevize.

«E non mi hai mai parlato di questo tuo astuto piano, eh?»

«No, e me ne dispiace, Trevize. Il sindaco mi ha ordinato di non farlo. Ha detto che voleva tirar fuori da te tutto quello di cui eri a conoscenza, ma che tu ti saresti bloccato e non avresti detto niente se avessi saputo che le tue opinioni erano state rese note.»

«E aveva pienamente ragione!»

«Io non sapevo, non potevo immaginare assolutamente che stesse progettando di arrestarti e di spedirti in esilio.»

«Stava semplicemente aspettando la congiuntura politica giusta, il momento in cui la mia condizione di consigliere non fosse sufficiente a proteggermi. Come mai non l’hai previsto?»

«Come potevo? Nemmeno tu l’hai fatto.»

«Se avessi saputo che era al corrente di ciò che pensavo, l’avrei previsto sicuramente.»

«È facile dirlo adesso, col senno di poi» disse Compor con una nota improvvisa d’insolenza.

«E adesso, qui, cos’è che vuoi da me? Cos’è che vuoi, adesso che hai anche tu un po’ di senno di poi?»

«Riparare il malfatto. Farmi perdonare per il torto che ti ho involontariamente – involontariamente, bada bene – fatto.»

«Come sei buono!» disse Trevize, secco. «Come sei gentile! Ma non hai risposto alla domanda iniziale. Come mai sei capitato qui? Non è singolare che ti trovi sullo stesso pianeta su cui mi trovo io?»

«La risposta non è tanto difficile. Ti ho seguito.»

«Attraverso l’iperspazio? Hai seguito un’astronave come la mia, che ha compiuto i balzi uno dietro l’altro?»

Compor scosse la testa. «Non è strano come pensi. Ho lo stesso tipo di astronave che hai tu, con lo stesso tipo di computer. Sai che ho sempre stato abile a intuire la direzione presa da un’astronave al momento di entrare nell’iperspazio. Oddio, di solito l’intuizione è abbastanza approssimativa; diciamo che tendo a indovinare una volta su tre, ma col computer ci riesco molto meglio. E tu hai esitato parecchio, all’inizio, e mi hai dato il modo di calcolare la direzione e la velocità che avresti preso nel balzo. Ho fornito al computer i dati e le mie estrapolazioni di natura intuitiva, e lui ha fatto il resto.»

«E sei arrivato in città prima di me?»

«Sì. Tu non hai usato i motori gravitazionali, io sì. Ho immaginato che saresti venuto nella capitale, così sono andato a colpo sicuro, mentre tu...» Compor descrisse con l’indice il breve movimento a spirale di un’astronave che seguisse un fascio direzionale.

«Hai corso il rischio di avere grane grosse con i funzionari della dogana.»

«Be’...» Compor fece un sorriso così aperto e affascinante che Trevize si sentì per un attimo meno diffidente nei suoi confronti. «Non sono un codardo sempre e in qualsiasi circostanza.»

Trevize riprese immediatamente il suo atteggiamento rigido.

«E come mai hai un’astronave uguale alla mia?»

«Per lo stesso motivo per cui tu hai la tua. Me l’ha assegnata la vecchia signora, ovvero il sindaco Branno.»

«Perché?»

«Voglio essere completamente sincero con te. Me l’ha assegnata con l’incarico di seguirti. Voleva sapere dove andavi e cosa avresti fatto.»

«E tu, ligio, le hai fatto regolarmente rapporto, suppongo. O hai per caso tradito anche il sindaco?»

«Ho fatto rapporto. In realtà non avevo scelta. Mi ha messo a bordo dell’astronave un iper-relè che in teoria non avrei dovuto trovare, ma che in effetti ho trovato.»

«Allora?»

«Purtroppo è collocato in modo che non posso rimuoverlo senza bloccare l’astronave. O, almeno, non so trovare la maniera di toglierlo. Di conseguenza la Branno sa dove mi trovo e dove ti trovi tu.»

«Metti che non fossi riuscito a seguirmi. In quel caso non lei avrebbe saputo dove mi trovo. Ci hai pensato?»

«Certamente. Ho pensato che avrei potuto riferire semplicemente che ti avevo perso di vista, ma lei non ci avrebbe creduto, ti pare? E non sarei stato più in grado per chissà quanto tempo di tornare su Terminus. E non sono come te, Trevize. Non sono una persona spensierata, senza legami. Su Terminus ho una moglie, una moglie incinta, e voglio tornare da lei. Tu puoi permetterti il lusso di pensare solo a te stesso, io no. E poi non ho rinunciato a seguirti anche per poterti avvertire. Per Seldon, è da quando ci siamo visti che sto cercando di fare questo, e tu non mi dai retta, continui a parlare d’altro.»

«La tua improvvisa sollecitudine nei miei riguardi non mi commuove affatto. Contro che cosa puoi mettermi in guardia? Secondo me, sei tu l’unico da cui devo essere messo in guardia. Mi hai tradito una volta e adesso mi segui per tradirmi una seconda. Non c’è nessun altro che mi stia minacciando, in questo momento.»

«Piantala di fare la vittima, amico» disse Compor serio. «Tu non sei che un parafulmine. Sei stato spedito in avanscoperta a cercare tracce dell’esistenza della Seconda Fondazione... ammesso che esista una cosa come la Seconda Fondazione. Ho una discreta intuizione e non solo quando si tratta di indovinare la direzione che prenderà un’astronave entrando nell’iperspazio; sono sicuro che la Branno intende utilizzarti come esca. Se tenti di trovare la Seconda Fondazione, questa se ne renderà conto, prima o poi, e cercherà di neutralizzarti. Così facendo, d’altro canto, è facile che si tradisca e sveli la propria ubicazione. E quando lo farà, il sindaco Branno sarà pronto ad attaccarla.»

«Peccato che la tua famosa intuizione non si sia messa in moto quando la Branno ha progettato di farmi arrestare.»

Compor arrossì e mormorò: «Sai che non funziona sempre».

«E adesso ti dice che la Branno sta progettando di attaccare la Seconda Fondazione, eh? Non oserebbe mai attaccarla, invece.»

«Io credo di sì. Ma non è questo il punto. Il punto è che adesso la Branno ti sta usando come esca.»

«E allora?»

«E allora non cercare la Seconda Fondazione, per la galassia! Alla Branno non importerebbe niente se tu venissi ucciso nel corso delle ricerche, ma a me importa la tua incolumità. Me ne sento responsabile e ci tengo a che tu rimanga in vita.»

«Sono commosso,» disse Trevize in tono secco «ma si dà il caso che al momento io abbia un’altra missione da compiere.»

«Davvero?»

«Pelorat e io stiamo cercando la Terra, il pianeta che alcuni ritengono sia il luogo d’origine della specie umana. È vero, Janov?»

Pelorat annuì. «Sì, è una missione di natura squisitamente scientifica. Si tratta di un interesse di vecchia data, per me.»

Per un attimo Compor apparve smarrito. «Cercate la Terra? Ma perché?» chiese poi.

«Per studiarla» rispose Pelorat. «È il mondo su cui gli esseri umani si sono evoluti, probabilmente da forme di vita inferiori. Sugli altri pianeti, invece, questa evoluzione non c’è stata; c’è stata solo una colonizzazione da parte di esseri umani già civilizzati. La Terra, insomma, è un esemplare unico, e quindi interessante da analizzare.»

«Ed è anche un mondo dove forse posso imparare di più sulla Seconda Fondazione» aggiunse Trevize. «Dico forse, bada bene.»

«Ma la Terra non esiste» disse Compor. «Non lo sapevate?»

«Ah, la Terra non esiste?» disse Pelorat, che aveva assunto l’espressione vacua di quando si preparava a un’accanita discussione. «Intende dire che non è mai esistito il pianeta su cui la specie umana si è evoluta?»

«Oh, no, il pianeta d’origine è esistito, naturalmente, questo è fuori discussione. Non esiste più adesso. Non c’è più una Terra abitata. La popolazione è scomparsa.»

Pelorat disse impassibile: «Ci sono leggende che...».

«Scusi un attimo, Janov» disse Trevize, interrompendolo.

«Come fai a sapere queste cose, Compor?»

«Come sarebbe a dire? Lo so per via delle mie ascendenze, naturalmente. I miei antenati provenivano dal settore Sirio, se mi è consentito ripeterlo senza annoiarti. Là si sa tutto sulla Terra perché essa fa parte di quel settore, il che significa che non appartiene alla Federazione della Fondazione. Per questo, credo, su Terminus la snobbano. Però resta il fatto che si trova là.»

«Sì, questa è una delle ipotesi,» disse Pelorat «la cosiddetta “Alternativa Sirio” godeva di una grande popolarità, all’epoca dell’impero.»

«Non si tratta di un’alternativa, ma di un fatto» replicò Compor con foga.

«E se le dicessi che più di un pianeta della galassia è, o era, chiamato Terra dalle popolazioni abitanti nei suoi dintorni stellari?» disse Pelorat.

«Ma quello che dico io è il pianeta vero» ribatté Compor. «Il settore Sirio è quello abitato da più lunga data. Lo sanno tutti .»

«Sì, questo è quanto sostengono i siriani» disse Pelorat impassibile.

Compor appariva frustrato. «Le assicuro che...»

«Dicci cos’è successo alla Terra» lo interruppe Trevize. «Come mai non è più abitata?»

«Per via della radioattività. L’intera superficie planetaria è radioattiva a causa di reazioni nucleari che sfuggirono al controllo, oppure di esplosioni nucleari, non so bene... In una parola, la vita non è più possibile, sul pianeta.»

I tre si guardarono l’un l’altro per un bel po’ di tempo. Alla fine Compor ritenne opportuno ribadire la sua opinione. «Non esiste la Terra come mondo abitato, ve l’assicuro. Quindi non ha senso mettersi a cercarla.»

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