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TRANTOR ... Capitale del Primo impero galattico... Sotto Cleon I conobbe il suo “fulgore crepuscolare”. Stando alle apparenze, era all’apice. La superficie di duecento milioni di chilometri quadrati era interamente coperta da cupole, tranne l’area del palazzo imperiale, e occupata in profondità da una città sterminata che si estendeva sotto le piattaforme continentali. La popolazione ammontava a quaranta miliardi di abitanti e, malgrado i numerosi sintomi di problemi che si profilavano sempre più pressanti (ben visibili, col senno di poi), chi viveva su Trantor era ancora convinto che quello fosse il leggendario Mondo eterno e non sospettava che un giorno...
ENCICLOPEDIA GALATTICA
Seldon sollevò lo sguardo. In piedi davanti a lui c’era un giovanotto che lo fissava con espressione sprezzante e divertita. Accanto allo sconosciuto c’era un secondo individuo, forse un po’ più giovane. Tutti e due massicci e robusti.
Sfoggiavano una versione esasperata della moda trantoriana, stabilì Seldon studiando il loro abbigliamento: colori vistosi e stridenti, grandi cinture frangiate, cappelli rotondi circondati da un’ampia falda, con le due estremità di un nastro rosa che ricadevano posteriormente sul collo.
Un’immagine divertente, e Seldon sorrise.
Il primo giovanotto esordì brusco: «Perché te la ridi, strambo?».
Seldon ignorò la sgarberia e rispose cortese: «La prego di scusarmi. Ammiravo la sua tenuta».
«La mia tenuta, eh? E tu che immondizia hai addosso?» Tese la mano e con il dito diede un colpetto al risvolto della giacca di Seldon, ignobilmente pesante e scialba, pensò fra sé Seldon, se paragonata all’abbigliamento sgargiante del giovane.
«Sono i miei abiti stranieri. Ho soltanto questi.»
Seldon non poté fare a meno di notare che le poche persone sedute nel parco si stavano alzando e allontanando. Sembrava che prevedessero guai e non volessero restare nei paraggi. Seldon si chiese se anche il nuovo amico Hummin se ne sarebbe andato, ma preferì non distogliere lo sguardo dal giovanotto che aveva di fronte. Indietreggiò leggermente sul sedile.
«Sei straniero?» lo incalzò il giovanotto.
«Appunto, donde i miei vestiti.»
«Donde? Che razza di parola è, di un’altra lingua?»
«Intendevo dire, ecco perché i miei vestiti le sembrano strani. Sono un visitatore.»
«Di che pianeta?»
«Helicon.»
Il giovanotto aggrottò le sopracciglia. «Mai sentito nominare.»
«Non è un grande pianeta.»
«Perché non ci torni?»
«È quel che intendo fare, parto domani.»
«No, tu parti adesso!»
Il giovanotto lanciò un’occhiata al compagno. Seldon seguì lo sguardo e intravide Hummin: non se n’era andato, ma a parte lui, Hummin e i due giovani il parco era deserto.
«Pensavo di trascorrere la giornata visitando la città» disse Seldon.
«Non visiterai un bel niente. Tu torni subito a casa.»
Seldon sorrise. «Spiacente, io resto.»
Il giovanotto disse al compagno: «Ti piacciono i suoi vestiti, Marbie?».
Marbie parlò per la prima volta. «No, disgustosi. Mi danno il voltastomaco.»
«Non possiamo farlo andare in giro a dare il voltastomaco, Marbie. Non fa bene alla salute della gente.»
«No, assolutamente, Alem» convenne Marbie.
Alem sogghignò. «Hai sentito cosa ha detto Marbie?»
In quel momento Hummin intervenne: «Ehi, voi due... Alem, Marbie o come vi chiamate. Ora vi siete divertiti, perché non ve ne andate?».
Alem, che si era chinato leggermente su Seldon, si drizzò e guardò l’uomo. «Tu chi saresti?»
«Non sono affari tuoi» scattò Hummin.
«Sei trantoriano?» chiese Alem.
«Anche questo non ti riguarda.»
Alem corrugò la fronte. «Tu hai vestiti trantoriani. Non ci interessi, quindi non cercare guai.»
«Voglio restare, il che significa che siamo in due. Due contro due non è il tipo di scontro che preferite, immagino. Perché non andate a chiamare qualche amico, così potete vedervela con noi?»
«Hummin,» disse Seldon «se ne vada finché può. È gentile a cercare di aiutarmi, ma non voglio che le facciano del male.»
«Non sono tipi pericolosi, Seldon. Sono solo dei mezzi lacchè.»
«Lacchè!» Quella parola sembrò mandare Alem su tutte le furie. Probabilmente su Trantor aveva un significato più offensivo che su Helicon, pensò Seldon.
«Dài, Marbie» ringhiò Alem. «Occupati dell’altro figlio di lacchè. Io strappo i vestiti a questo Seldon, è lui il nostro uomo. Forza...»
Abbassò le mani di scatto per afferrare i risvolti di Seldon e strattonarlo per farlo alzare. Il matematico si ritrasse con un gesto apparentemente istintivo, inclinando la sedia indietro. Afferrò le mani tese verso di lui, alzò un piede e la sedia cadde.
D’un tratto Alem schizzò a mezz’aria, si capovolse e atterrò violentemente sul collo e la schiena, oltre Seldon.
Mentre la sedia cadeva, il matematico ruotò di lato e si drizzò in piedi. Guardò Alem, poi lanciò un’occhiata in direzione di Marbie.
Alem era immobile, la faccia contratta in una smorfia di sofferenza. I pollici erano slogati, provava un dolore lancinante all’inguine e la spina dorsale aveva subìto un colpo non indifferente.
Con l’avambraccio Hummin aveva stretto da tergo il collo di Marbie e gli aveva bloccato il braccio destro, piegandolo dietro la schiena. Marbie era rosso in viso e cercava disperatamente di respirare. A terra, accanto ai lottatori, giaceva un coltello su cui luccicava un minuscolo congegno laser.
Hummin allentò leggermente la stretta e con un’aria di sincera preoccupazione disse: «L’ha conciato male, quel tipo».
«Temo di sì» annuì Seldon. «Uno spostamento di pochi centimetri nella caduta e si sarebbe spezzato il collo.»
«Che razza di matematico è?»
«Un matematico heliconiano.» Seldon si chinò a raccogliere il coltello e, dopo averlo esaminato, disse: «Disgustoso e letale».
«Una lama normale» osservò Hummin «servirebbe allo scopo senza aver bisogno di una fonte energetica, ma lasciamo andare questi due. Dubito che vogliano continuare.»
Liberò Marbie che si massaggiò la spalla e il collo, e infine si girò verso i due uomini, boccheggiando. Aveva gli occhi pieni di odio.
«Vi conviene andarvene,» disse Hummin brusco «altrimenti dovremo testimoniare contro di voi per aggressione e tentato omicidio. Senza dubbio, con questo coltello è possibile risalire fino a voi.»
Sotto lo sguardo di Seldon e Hummin, Marbie drizzò in piedi il compagno e si allontanò con lui, sorreggendolo. Alem barcollava ed era ancora curvo per il dolore. I due si voltarono un paio di volte, ma Seldon e Hummin rimasero a osservarli impassibili.
Seldon gli tese la mano. «Come posso ringraziarla? È accorso in aiuto di un estraneo senza esitare di fronte a due aggressori. Dubito che sarei riuscito a respingere da solo tutti e due.»
Hummin agitò la mano, sminuendo l’importanza dell’episodio. «Non avevo paura di loro, erano solo dei lacchè attaccabrighe. È bastato mettergli le mani addosso... le mie e le sue, naturalmente.»
«Ha una stretta che non perdona» commentò Seldon.
Hummin fece spallucce. «Nemmeno lei scherza.» Poi, senza cambiare tono, aggiunse: «Forza, meglio che andiamo via di qui. Non perdiamo tempo».
«Perché?» chiese Seldon. «Ha paura che quei due tornino?»
«Di certo non in questa vita, ma qualcuno dei coraggiosi che hanno abbandonato il parco per non assistere a una scena sgradevole potrebbe aver avvisato la polizia.»
«Ottimo. Abbiamo i nomi di quei teppisti e possiamo descriverli abbastanza bene.»
«Descriverli? Crede che alla polizia interessino?»
«Ma hanno commesso un’aggressione.»
«Non sia sciocco. Noi non abbiamo un graffio, loro sono pronti per il ricovero all’ospedale, soprattutto Alem. Accuseranno noi di aggressione.»
«Ma è impossibile, i presenti possono testimoniare che...»
«Non chiameranno nessun testimone, Seldon, se lo metta bene in testa. Quei due sono venuti a cercare lei, proprio lei. Gli hanno detto che indossava abiti heliconiani, gli hanno fornito una descrizione precisa, forse gli hanno anche mostrato un ologramma. Ho il sospetto che siano stati mandati, guarda caso, da chi controlla la polizia, quindi sbrighiamoci.»
Hummin si incamminò rapido, stringendo il braccio di Seldon. Il matematico constatò che era impossibile liberarsi da quella morsa e lo seguì, sentendosi come un bambino sballottato da una balia impetuosa.
Si infilarono in una galleria e, prima che gli occhi di Seldon si fossero abituati alla luce più fioca, sentirono il ronzio dei freni di una vettura.
«Eccoli» mormorò Hummin. «Più in fretta, Seldon.» Saltarono su un corridoio mobile e si confusero tra la folla.