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Era una splendida giornata, né troppo calda né troppo fredda, non troppo luminosa e non troppo grigia. Anche se i fondi per la manutenzione dei terreni si erano esauriti anni prima, le scarse e striminzite piante perenni che fiancheggiavano la gradinata di accesso alla biblioteca galattica aggiungevano una nota allegra alla mattinata. (La biblioteca, essendo stata costruita nello stile classico dei tempi antichi, possedeva una delle più imponenti scalinate di tutto l’impero, seconda in maestosità solo alla scalinata dello stesso palazzo imperiale; quasi tutti i visitatori della biblioteca, tuttavia, preferivano entrare usando la scala mobile.) Seldon nutriva grandi speranze per quel giorno.
Dopo che lui e Stettin Palver erano stati pienamente assolti da ogni accusa nel recente caso di aggressione, Hari Seldon si sentiva un uomo nuovo. Benché l’esperienza fosse risultata dolorosa, il fatto stesso che fosse pubblica aveva favorito la causa di Seldon. Il giudice Tejan Popjens Lih, considerato uno dei più influenti magistrati, se non il più influente, della corte imperiale, era stato piuttosto esplicito nel presentare la sua opinione, resa pubblica il giorno successivo alla convulsa testimonianza di Rial Nevas.
«Quando si giunge a un punto cruciale della nostra cosiddetta società “civile”» aveva intonato il giudice dal suo banco «nel quale un uomo della levatura del professor Seldon viene costretto a subire l’umiliazione, gli abusi e le menzogne dei suoi simili solo a causa di ciò che lui è e rappresenta, significa che sono veramente tempi bui per l’impero. Riconosco che anch’io, sulle prime, mi sono ingannata. Perché il professor Seldon, pensavo, non dovrebbe fare ricorso a simili astuzie nel tentativo di dimostrare le sue previsioni? Ma mi sono resa conto che gli stavo facendo un grave torto.» Qui il giudice aveva corrugato la fronte, mentre una vampata blu scuro le saliva lungo il collo fino alle guance. «Perché attribuivo al professor Seldon moventi scaturiti dalla nostra nuova società, una società nella quale vivere in modo onesto, sincero e altruista può significare una morte violenta, una società nella quale sembra necessario ricorrere alla disonestà e alla sopraffazione solo per sopravvivere.
«Quanto ci siamo allontanati dai principi sui quali avevamo fondato questa società! Questa volta abbiamo avuto fortuna, cittadini di Trantor. Dobbiamo essere profondamente riconoscenti al professor Hari Seldon per averci rivelato la nostra vera natura; cerchiamo di imparare a memoria questo esempio e di mostrarci più vigili in futuro contro le forze più spregevoli della nostra natura umana.»
Dopo l’udienza l’imperatore aveva inviato a Seldon un olodisco di congratulazioni dove, accanto ai complimenti, esprimeva la speranza che adesso Seldon sarebbe riuscito a trovare nuovi fondi per il suo progetto.
Scivolando su per la scala mobile della biblioteca, Seldon rifletteva sullo stato attuale del suo Progetto Psicostoria. Il suo buon amico, l’ex bibliotecario capo Las Zenow, era andato in pensione. Durante la sua gestione Zenow era stato un accanito sostenitore di Seldon e della sua opera, anche se spesso si era trovato con le mani legate a causa del Consiglio direttivo. Tuttavia, aveva assicurato Zenow a Seldon, il nuovo bibliotecario capo, Tryma Acarnio, non era meno progressista di lui. Inoltre, a causa della sua natura cordiale e affabile, Acarnio godeva di una notevole popolarità fra le varie fazioni del Consiglio.
«Hari, amico mio,» aveva detto Zenow prima di lasciare Trantor per il suo mondo natale di Wenkory «Acarnio è un’ottima persona, un uomo di grande intelletto e mente aperta. Sono certo che farà il possibile per aiutare lei e il progetto. Gli ho lasciato nell’archivio del computer tutti i dati che riguardano lei e la sua Enciclopedia; so che il contributo che essa costituisce per l’intero genere umano lo ecciterà almeno quanto eccitava me. Abbia cura di sé, amico mio, la ricorderò sempre con affetto.»
E così quel giorno Hari Seldon doveva avere il suo primo incontro ufficiale con il nuovo bibliotecario capo. Si sentiva rassicurato dalle parole di Zenow e non vedeva l’ora di poter condividere con Acarnio i suoi piani per il futuro del progetto e dell’Enciclopedia.
Tryma Acarnio si alzò quando Hari fece il suo ingresso nell’ufficio del bibliotecario capo. La nuova gestione aveva già impresso la sua impronta; là dove Zenow aveva riempito ogni angolo e spazio libero della stanza con olodischi e tridigiornali dai differenti settori di Trantor, sotto un turbinoso insieme di videoglobi che rappresentavano i vari mondi dell’impero roteanti a mezz’aria, Acarnio aveva fatto piazza pulita di tutti i dati e le immagini che Zenow aveva voluto conservare a portata di mano. Su una parete spiccava un enorme oloschermo con il quale, pensò Seldon, Acarnio avrebbe potuto visionare ogni pubblicazione o trasmissione desiderata.
Acarnio era un uomo basso e tozzo, con un’espressione perennemente distratta a causa di un malriuscito intervento correttivo alle cornee in età infantile, espressione che tuttavia mascherava un’intelligenza prodigiosa e una consapevolezza costante di tutto ciò che accadeva intorno a lui.
«Bene, bene. Il professor Seldon. Venga avanti, si accomodi.» Acarnio indicò una sedia dallo schienale rigido di fronte alla scrivania, dietro alla quale tornò a sedersi. «È stata una vera coincidenza che abbia richiesto questo incontro; vede, contavo di mettermi in contatto con lei non appena avessi sistemato le mie cose.»
Seldon annuì, lieto di constatare che il nuovo bibliotecario capo lo considerava importante al punto da progettare già un incontro nei primi caotici giorni della sua gestione.
«Ma prima di tutto, professore, mi dica perché voleva vedermi, poi avremo modo di passare alle mie questioni, certamente più prosaiche.»
Seldon si schiarì la voce chinandosi in avanti. «Bibliotecario capo, Las Zenow le avrà senz’altro parlato del mio lavoro qui, e della mia idea per un’Enciclopedia galattica. Las ne era entusiasta e mi è stato di grande aiuto fornendomi un ufficio privato all’interno della biblioteca e accesso illimitato alle sue ampie risorse. Anzi, è stato proprio lui a individuare l’eventuale sede del Progetto Enciclopedia, un remoto Mondo esterno chiamato Terminus.
«C’è stata una cosa, tuttavia, che Las non ha potuto fornirmi. Per mantenere il progetto entro i tempi previsti, è necessario che io disponga di un ufficio più spazioso e di un accesso illimitato alle risorse della biblioteca anche per un gruppo di miei collaboratori. Già a questo stadio è un’impresa enorme, dobbiamo raccogliere i dischi con tutti i dati e le informazioni indispensabili per poterli copiare e trasferire su Terminus, prima di poter cominciare la vera e propria opera di compilazione dell’Enciclopedia.
«Las non godeva di molta popolarità all’interno del Consiglio direttivo della biblioteca, come senza dubbio saprà. Lei, invece, è piuttosto popolare. Per questo le chiedo, bibliotecario capo: vuole fare in modo che ai miei colleghi siano consentiti i privilegi dei ricercatori interni, dandoci così la possibilità di proseguire il nostro lavoro vitale?»
Qui Hari si fermò quasi senza fiato. Era certo che il suo discorso, che la notte prima aveva ripassato mentalmente più volte, finché la stanchezza non l’aveva sopraffatto, avrebbe sortito l’effetto desiderato. Attese fiducioso la risposta di Acarnio.
«Professor Seldon» cominciò Acarnio. Il sorriso fiducioso di Seldon si affievolì. Nella voce del bibliotecario capo vibrava un tono tagliente che lui non si era per nulla aspettato. «Il mio stimato predecessore mi ha fornito, con abbondanza di dettagli, una spiegazione del suo lavoro qui alla biblioteca. Era entusiasta delle sue ricerche e senz’altro favorevole all’idea che alcuni suoi colleghi si unissero a lei. Come lo ero io al principio, professor Seldon.» Alla pausa di Acarnio, Seldon sollevò di scatto lo guardo. «Ero pronto a convocare una riunione speciale del Consiglio per proporre che una serie più ampia di uffici venisse messa a disposizione dei suoi enciclopedisti. Ma adesso tutto questo è cambiato, professore.»
«Cambiato! Perché?»
«Professor Seldon, lei è appena reduce da un sensazionale caso di aggressione e percosse che l’ha vista nei panni del principale imputato.»
«Ma sono stato prosciolto da ogni accusa. Il caso non è neppure diventato un processo.»
«Tuttavia, professore, la sua ultima incursione sotto lo sguardo dell’opinione pubblica le ha guadagnato un’innegabile, come definirla?, sfumatura di cattiva reputazione. Oh, certo, lei è stato prosciolto da tutte le accuse. Ma per ottenere questo proscioglimento il suo nome, il suo passato, le sue idee, il suo lavoro sono stati sbandierati davanti agli occhi di tutti i mondi. E anche se un magistrato progressista e illuminato l’ha dichiarata innocente, che mi dice dei milioni, forse miliardi, di altri cittadini comuni che non vedono un pioniere psicostorico in lotta per conservare le glorie della sua civiltà, bensì un lunatico delirante intento solo a predire rovina e distruzione per il grande e potente impero?
«Lei, per la natura stessa del suo lavoro, sta minacciando il tessuto essenziale dell’impero. Non mi riferisco all’enorme impero monolitico, senza nome e senza volto. No, intendo l’anima e il cuore dell’impero, la sua gente. Quando lei dice loro che l’impero sta decadendo, in pratica dice che loro stanno decadendo. E questo, mio caro professore, il cittadino medio non può sopportarlo.
«Seldon, che le piaccia o no, lei è diventato un oggetto di derisione, una figura degna di ridicolo, uno zimbello.»
«Mi scusi, bibliotecario capo, ma ormai sono anni che in certi ambienti vengo considerato uno zimbello.»
«Sì, ma solo in alcuni. Quest’ultimo incidente, però, con la risonanza pubblica che ha avuto, l’ha esposta al ridicolo non solo qui su Trantor, ma su tutti i mondi. Quindi, professore, se fornendole un ufficio noi, la biblioteca galattica, approviamo tacitamente il suo lavoro, ne consegue che anche noi, la biblioteca galattica, diventeremo lo zimbello di tutti i mondi. E per quanto io possa credere personalmente nelle sue teorie e nella sua Enciclopedia, come bibliotecario capo della biblioteca galattica di Trantor devo pensare prima di tutto alla biblioteca.
«Di conseguenza, professore, la richiesta di introdurre i suoi colleghi nella biblioteca è respinta.»
Hari Seldon boccheggiò con un sussulto all’indietro, come se fosse stato colpito.
«Inoltre» proseguì Acarnio «devo comunicarle una sospensione temporanea di due settimane di tutti i suoi privilegi bibliotecari, con effetto immediato. È stato il Consiglio a convocare quella riunione speciale, professor Seldon. Fra due settimane le comunicheremo se la sua associazione con la biblioteca dovrà avere termine.»
A questo punto Acarnio smise di parlare e, appoggiate le mani sulla superficie lucida e immacolata della scrivania, si alzò in piedi. «Per ora è tutto, professor Seldon.»
Anche Hari Seldon si alzò, benché il suo movimento verso l’alto non risultasse altrettanto rapido e fluido come quello di Tryma Acarnio.
«Potrei avere il permesso di rivolgermi al Consiglio?» chiese Seldon. «Forse, se riuscissi a spiegare loro l’importanza vitale della psicostoria e dell’Enciclopedia...»
«Temo che non sia possibile, professore» rispose Acarnio gentilmente, e nel tono di quella frase Seldon colse un barlume dell’uomo che Las Zenow gli aveva descritto. Ma, con la stessa rapidità, il gelido burocrate riprese il sopravvento mentre accompagnava Seldon alla porta.
Quando i battenti si aprirono, Acarnio disse: «Due settimane, professor Seldon. Ci risentiremo allora». Hari uscì dirigendosi verso il suo levitante in attesa, e i battenti si richiusero.
“E adesso cosa faccio?” si domandò Seldon sconsolato. “È questa la fine di tutta la mia opera?”