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Eto Demerzel rideva.
Non era la prima volta. Se ne stava seduto là, in una stanza accuratamente schermata contro ogni intrusione elettronica, in compagnia di Hari Seldon e Dors Venabili, e, di quando in quando, a un segnale di Hari, si metteva a ridere. A volte si chinava all’indietro e scoppiava in risate a dir poco fragorose, ma Seldon scuoteva il capo. «In questo modo non sembreresti mai convincente.»
Allora Demerzel sorrideva e poi rideva in modo dignitoso, e Seldon faceva una smorfia. «Non so più cosa consigliarti» disse a un certo punto. «È inutile cercare di raccontarti barzellette. Afferri la battuta solo intellettualmente. Dovrai accontentarti di memorizzare il suono.»
«Proviamo con una risata registrata in studio» propose Dors.
«No! Quello non sarebbe mai Demerzel. Usano un branco di idioti pagati per ululare in modo sguaiato. Non è quello che voglio. Tenta di nuovo, Demerzel.»
Demerzel tentò di nuovo finché Seldon disse: «Va bene. Allora, memorizza questo suono e riproducilo quando ti verrà posta la domanda. Devi assumere un’espressione divertita. Non puoi riprodurre il suono di una risata, per quanto convincente, con un viso troppo serio. Sorridi leggermente, appena un poco. Incurva verso l’alto gli angoli della bocca». Lentamente la bocca di Demerzel si allargò in un sogghigno. «Non puoi far luccicare gli occhi?»
«Luccicare? Ma che cosa stai dicendo?» intervenne Dors indignata. «Nessuno fa luccicare gli occhi. È un’espressione metaforica.»
«No, per nulla» disse Seldon. «Nell’occhio può essere presente una traccia di lacrime, per gioia, tristezza, o qualsiasi altro motivo, e il riflesso della luce su quella traccia di fluido produce il luccichio.»
«Be’, ti aspetti sul serio che Demerzel riesca a produrre lacrime a comando?»
Al che Demerzel disse con tono estremamente pratico: «I miei occhi producono lacrime per la pulizia complessiva, e mai in eccesso. Forse, però, se pensassi che sono un po’ irritati...».
«Provaci» disse Seldon. «Male non può farti.»
E così accadde che, quando il dibattito sugli argomenti di interesse generale ebbe fine e mentre le parole si riversavano per via subeterica verso milioni di mondi a una velocità migliaia di volte superiore a quella reale della luce – parole serie e compunte, pronunciate con tono grave, destinate a informare, prive di ogni abbellimento retorico, che avevano discusso di tutto all’infuori dei robot –, Demerzel si dichiarò pronto a rispondere a eventuali domande.
Non dovette attendere a lungo. La prima domanda fu: «Signor primo ministro, lei è un robot?».
Demerzel si accontentò di fissare con calma l’interlocutore e lasciò che la tensione si accumulasse. Dopo di che sorrise, il suo corpo sussultò lievemente e infine proruppe in una risata. Non fu una risata fragorosa o sguaiata, ma fu pur sempre uno scoppio sonoro di ilarità, la reazione spontanea di una persona colpita da qualcosa di divertente. Risultò contagiosa. Il pubblico dapprima ridacchiò e poi si mise a ridere insieme a lui.
Demerzel attese che le risate collettive si smorzassero e, subito dopo, con gli occhi luccicanti, disse: «Devo proprio rispondere a questa domanda? È veramente necessario?». Stava ancora sorridendo quando lo schermo si oscurò.