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Erano passate due settimane. Quattordici giorni sprecati.
Ponyets aveva impiegato una settimana per raggiungere Askone e, prima di entrare in orbita, era stato raggiunto e scortato da numerose astronavi che pattugliavano la zona. Qualunque fosse il loro sistema d’avvistamento, era efficiente.
Ponyets avrebbe potuto liberarsene con facilità: si trattava infatti di vecchie astronavi da turismo dello scomparso impero galattico e, senza armamento atomico, avevano un aspetto quasi frivolo e per nulla minaccioso. Ma Eskel Gorov era prigioniero su Askone e non era un ostaggio da perdere. Sembrava che gli askoniani lo sapessero perfettamente.
Aveva impiegato un’altra settimana per passare attraverso le innumerevoli schiere di funzionari minori che costituivano una barriera fra il gran maestro e il mondo esterno. Con ognuno di quei burocrati si doveva trattare con tatto e circospezione. A ciascuno bisognava strappare, ricorrendo a tutta la diplomazia, la firma su un documento che permetteva di conferire con il funzionario di grado superiore.
Per la prima volta Ponyets scoprì che le sue credenziali di mercante non avevano valore.
Ora, finalmente, il gran maestro era a pochi passi da lui, appena al di là della porta dorata sorvegliata da due guardie armate. Erano trascorse due settimane.
Gorov era ancora prigioniero, e il carico di Ponyets si stava deteriorando nelle stive dell’astronave.
Il gran maestro era un uomo minuto, calvo, con la faccia piena di rughe. Un alto colletto di pelo gli cingeva la gola e sembrava immobilizzargli tutto il corpo con il suo peso.
Mosse le dita a destra e a sinistra, e la fila di armati si spostò al suo cenno formando uno stretto passaggio attraverso il quale Ponyets poté giungere fino ai piedi della poltrona del comando.
«Non parli» gli ingiunse il gran maestro. Ponyets strinse le labbra.
«Così va bene.» Il governatore di Askone sembrò sollevato. «Non posso sopportare le chiacchiere inutili. Lei non può minacciarmi e io non accetto l’adulazione. E non vedo come potrebbe espormi delle lagnanze. Non so quante volte ho avvisato voi vagabondi che le vostre diaboliche macchine non ci interessano, qui su Askone.»
«Signore,» disse Ponyets con calma «non sto assolutamente cercando di giustificare il mercante in questione. Non è nelle abitudini di noi mercanti andare dove non si è desiderati. Ma la galassia è grande, ed è accaduto altre volte che un confine sia stato valicato involontariamente. È stato un deplorevole errore.»
«Deplorevole senz’altro,» ribadì il gran maestro con voce acuta «ma è stato un errore? La sua gente su Glyptal IV ha cominciato a bombardarmi con petizioni appena due ore dopo la cattura di quel criminale sacrilego e più volte sono stato avvertito del suo arrivo. Sembra un’operazione di salvataggio organizzata su grande scala. Troppo ben organizzata perché si tratti di uno sbaglio, per deplorevole che sia.»
Gli occhi del gran maestro emanavano lampi d’ira. «E voi mercanti,» continuò «che svolazzate da un mondo all’altro come farfalle impazzite, vorreste sostenere di essere finiti per sbaglio sul pianeta centrale del sistema solare di Askone? Non mi racconti storie!»
Ponyets era in difficoltà, ma non si perse d’animo. «Se il tentativo di venire a commerciare» disse in tono conciliante «fu deliberato, venerabile signore, è stata certo un’azione poco giudiziosa e contraria alle regole del nostro commercio.»
«Molto poco giudiziosa, è vero, e per questo il suo amico perderà la vita.»
Ponyets avvertì un groppo allo stomaco. «La morte, venerabile signore, è una condanna assoluta e irrevocabile. Non c’è un’altra soluzione?»
Trascorse qualche istante prima che il vecchio desse una risposta guardinga. «Ho sentito dire che la Fondazione è ricca.»
«Ricca? Certo. Ma le nostre ricchezze sono proprio quelle che lei rifiuta di comperare. I nostri macchinari atomici...»
«Non ci servono perché non sono benedetti dalla nostra religione. Sono apparecchiature diaboliche e sono state colpite da un’interdizione ancestrale.» Pareva che stesse recitando una formula. Abbassò le palpebre, poi riprese: «Non avete altro che abbia valore?».
Il mercante non sapeva che cosa rispondere. «Non comprendo. Che vuole, con esattezza?»
L’askoniano allargò le braccia. «Mi propone uno scambio e vuole anche sapere da me quali sono i miei desideri. Questo è troppo. Temo che il suo collega sarà giustiziato secondo la legge di Askone che ha infranto. Camera a gas. Noi siamo un popolo giusto. Al più povero dei contadini, per un delitto simile, non daremmo una pena maggiore. E io stesso non ne avrei una minore.»
Ponyets cercò disperatamente un appiglio. «Venerabile signore, potrebbe concedermi di parlare al prigioniero?»
«La legge askoniana» rispose il gran maestro freddamente «non consente ai prigionieri di ricevere visite.»
Ponyets tentò con un altro sistema. «Venerabile signore, le chiedo di aver pietà dell’anima di un pover’uomo che sta per affrontare la morte. È stato lontano dalla consolazione spirituale tutto questo tempo, mentre la sua vita era in pericolo. E ora ha la prospettiva di giungere impreparato in seno allo Spirito che tutto vede e domina.»
«Lei è forse un consolatore di anime?» chiese il gran maestro sospettoso.
Ponyets abbassò il capo umilmente. «Così sono stato educato. Negli immensi spazi interstellari, i mercanti vagabondi hanno bisogno di uomini che curino l’aspetto spirituale della loro vita, che è completamente dedita al commercio e ai beni terreni.»
L’askoniano si morse pensieroso il labbro inferiore. «Ogni uomo ha il diritto di prepararsi al viaggio che lo condurrà in seno agli spiriti ancestrali. Eppure non avrei mai immaginato che voi mercanti aveste una fede.»