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Seldon non era affatto sicuro di incontrare l’imperatore. Al massimo avrebbe visto un funzionario di rango inferiore che gli avrebbe detto di parlare a nome del sovrano.
Quante persone lo vedevano davvero? Di persona, non in olovisione; quanti vedevano l’uomo in carne e ossa, visto che non lasciava mai il settore imperiale attualmente visitato da Seldon?
Un numero incredibilmente ridotto. Venticinque milioni di mondi abitati, ognuno con il proprio carico di un miliardo di esseri umani o più, e fra tanti milioni di uomini, quanti avevano visto il sovrano? Mille?
Ma in fondo, alla gente importava? L’imperatore era un simbolo come l’Astronave e il Sole, anche se meno diffuso e concreto. Erano i suoi soldati e funzionari, non lui, a spingersi ovunque, a rappresentare un impero che per i sudditi era diventato un peso morto.
Introdotto in una stanza di medie dimensioni ma sontuosamente arredata, si ritrovò di fronte a un tipo giovanile, seduto sull’orlo di un tavolo in una nicchia munita di finestre, con un piede sul pavimento e l’altro che dondolava. Seldon si meravigliò che un alto dignitario lo guardasse con un’espressione tanto bonaria. Aveva già avuto modo di constatare che i funzionari governativi, soprattutto quelli del servizio imperiale, avevano sempre un’aria grave, come se reggessero sulle spalle il peso della galassia. E a quanto sembrava, meno erano importanti, più mostravano un’espressione seria e minacciosa.
Forse il funzionario in questione occupava una posizione molto elevata e non sentiva l’esigenza di oscurare con le nubi della severità il sole del potere che brillava intenso su di lui.
Seldon non sapeva di preciso quale atteggiamento assumere, ma intuì che la soluzione migliore fosse quella di restare in silenzio e lasciare che l’altro parlasse per primo.
«Lei è Hari Seldon, immagino. Il matematico» disse il funzionario.
Seldon si limitò a rispondere: «Sì, signore» e attese.
Il giovanotto agitò un braccio. «L’espressione giusta sarebbe “sire”, ma detesto i convenevoli. Non ricevo che convenevoli, il che è seccante. Siamo soli, quindi mi concederò una pausa e mi asterrò dalle solite cerimonie. Si sieda, caro professore.»
Mentre l’altro parlava, Seldon si rese conto di trovarsi di fronte all’imperatore Cleon, Primo del Nome, e rimase allibito. Ora che osservava bene, c’era una lieve somiglianza con l’ologramma ufficiale che appariva sempre nei notiziari, ma in quell’immagine Cleon era immancabilmente vestito in maniera sontuosa, pareva più alto, solenne e impassibile.
Ed ecco invece l’originale dell’ologramma: una figura che, chissà come, non aveva nulla di eccezionale.
Seldon restò immobile.
L’imperatore corrugò leggermente la fronte e, abituato a esercitare l’autorità malgrado ogni intenzione di accantonarla momentaneamente, disse perentorio: «Le ho detto di sedersi. La sedia è lì, si sbrighi».
Seldon si accomodò ammutolito. Non riuscì nemmeno a balbettare: “Sì, sire”.
Cleon sorrise. «Così va meglio. Ora possiamo parlare come due semplici esseri umani, perché una volta abolite le cerimonie è questo che siamo, vero, professore?»
«Se vostra maestà imperiale ritiene che sia così, allora è così» rispose Seldon circospetto.
«Via, perché essere tanto guardinghi? Voglio parlare con lei da pari a pari. Per me è un piacere, mi accontenti.»
«Sì, sire.»
«“Sì” è sufficiente. Possibile che non riesca a farmi capire?»
Cleon fissò Seldon e Seldon decise che era uno sguardo vivace e interessato.
«Certo che non ha proprio l’aspetto di un matematico» disse infine l’imperatore.
Finalmente Seldon riuscì a sorridere. «Perché, come dovrei essere, si...?»
Cleon alzò una mano ammonitrice e Seldon lasciò il titolo a metà.
«Canuto, suppongo. Barbuto, forse. Sicuramente vecchio.»
«Eppure anche i matematici sono giovani, all’inizio.»
«Ma allora non sono famosi. Quando si impongono all’attenzione della galassia, sono come io li ho descritti.»
«Io non sono famoso, temo.»
«Ma ha parlato al Convegno che si è svolto qui.»
«Eravamo in molti, alcuni più giovani di me. Sono stati pochi quelli che hanno suscitato un minimo d’attenzione.»
«A quanto pare, il suo discorso ha attirato l’attenzione di certi miei funzionari. Se ho ben capito, secondo lei è possibile predire il futuro.»
Seldon si sentì di colpo depresso. Sembrava che quell’errata interpretazione della sua teoria fosse destinata a ripetersi continuamente. Forse non avrebbe dovuto presentare il suo studio.
«Non proprio, in realtà. Quello che ho fatto è molto più limitato. In molti sistemi esiste una situazione per cui, in determinate circostanze, si verificano eventi caotici. Questo significa che, dato un punto di partenza particolare, è impossibile prevederne gli sviluppi. Lo stesso vale per alcuni sistemi semplici, ma più un sistema è complesso più è probabile che diventi caotico. Si è sempre ritenuto che un sistema come la società umana fosse talmente complesso da diventare caotico molto presto ed essere quindi imprevedibile. Io ho dimostrato che, studiando le società, è possibile scegliere un punto di partenza ed eliminare il caos mediante presupposti adeguati, e che dunque si può predire il futuro: non in modo dettagliato, certo, solo a grandi linee e senza certezze assolute, ma in base a probabilità calcolabili.»
L’imperatore, che aveva ascoltato attentamente, ribatté: «Ma questo non significa che ha indicato il modo per prevedere l’avvenire?».
«Non esattamente. Ho dimostrato che teoricamente è possibile, nient’altro. Per spingerci oltre, dovremmo scegliere un punto di partenza corretto, introdurre presupposti validi e poi trovare il modo di eseguire i calcoli entro un lasso di tempo limitato. Nel mio studio matematico non c’è nulla che spieghi come procedere nelle varie fasi. E se anche fossimo in grado di farlo, al massimo valuteremmo delle probabilità. Predire il futuro è ben altra cosa; la mia rimane una semplice ipotesi su quello che accadrà probabilmente. Io penso che ogni personaggio politico, uomo d’affari o semplice essere umano di successo esamini il futuro in questo modo e compia valutazioni accurate, altrimenti non arriverebbe dove vuole.»
«Queste persone lo fanno senza alcun mezzo matematico.»
«Vero. Lo fanno basandosi sull’intuito.»
«Con i mezzi matematici idonei, chiunque sarebbe in grado di valutare le probabilità, non solo i rari individui che hanno successo grazie alle loro doti intuitive.»
«È vero anche questo, ma io ho dimostrato soltanto che un’analisi matematica è possibile, non ho detto che sia attuabile.»
«Una cosa possibile e nel medesimo tempo inattuabile... Non è un controsenso?»
«In teoria io posso visitare tutti i mondi della galassia e salutare tutti gli abitanti di ogni pianeta. Ma gli anni di vita che ho non basterebbero e, anche se fossi immortale, il ritmo delle nascite sarebbe sempre superiore al ritmo dei miei incontri e molti esseri umani morirebbero prima che potessi contattarli.»
«E questo discorso vale anche per la sua matematica del futuro?»
Seldon esitò, poi proseguì: «Forse per ultimare i calcoli sarebbe necessario troppo tempo, anche disponendo di un computer grande quanto l’universo che operasse a velocità iperspaziali. Così, una volta avuta la risposta, gli anni trascorsi nel frattempo avrebbero modificato la situazione in modo macroscopico e la risposta non avrebbe più alcun senso».
«Perché il procedimento non può essere semplificato?» chiese Cleon brusco.
«Vostra maestà imperiale...» Seldon si rese conto che Cleon diventava sempre più freddo via via che le risposte gli riuscivano meno gradite, quindi reagì assumendo a sua volta un atteggiamento più formale. «Pensate a come gli scienziati si sono accostati allo studio delle particelle subatomiche. Abbiamo a che fare con quantità enormi di queste particelle, e ognuna si muove o vibra in maniera casuale e imprevedibile, ma tale caos possiede un ordine di base, per cui ecco che siamo in grado di elaborare una meccanica quantistica che risponde ai quesiti che possiamo formulare. Studiando la società, mettiamo gli esseri umani al posto delle particelle subatomiche, ma in tal caso subentra il fattore aggiuntivo della mente umana. Le particelle si muovono senza pensare, alla cieca, gli esseri umani no. Prendendo in considerazione i vari atteggiamenti mentali e gli impulsi, le cose si complicano a tal punto che manca il tempo materiale di tener conto di tutti questi elementi.»
«Può darsi che la mente, come il movimento alla cieca, abbia un ordine di base, no?»
«Forse. La mia analisi parte dal presupposto che alla base di tutto debba esserci un ordine particolare, per quanto un fenomeno possa apparire caotico, ma non offre la minima traccia che ci indichi come trovare questo ordine di base. Provate a pensare... Venticinque milioni di mondi, ognuno con cultura e caratteristiche proprie, ognuno diverso per certi aspetti dagli altri, ognuno abitato da un miliardo o più di esseri umani dotati tutti di una mente individuale... e tutti questi mondi interagiscono in modi innumerevoli, dando vita a chissà quante combinazioni! Anche se in teoria un’analisi psicostorica è possibile, è assai poco probabile che possa essere tradotta in pratica.»
«Cosa significa “psicostorica”?»
«Chiamo “psicostoria” l’esame teorico delle probabilità relative al futuro.»
L’imperatore si alzò di colpo, raggiunse l’estremità opposta della stanza, si girò, tornò indietro e si fermò di fronte a Seldon, che sedeva immobile.
«Si alzi!» ordinò.
Seldon obbedì e fissò dal basso il sovrano, più alto di lui, sforzandosi affinché il suo sguardo non vacillasse.
«Questa sua psicostoria...» disse infine Cleon «se fosse possibile trovare un’applicazione pratica sarebbe di grande utilità, vero?»
«Di enorme utilità, è evidente. Sapere cosa ha in serbo il futuro, anche in modo generico e probabilistico, sarebbe una nuova meravigliosa guida per le nostre azioni, uno strumento senza precedenti per l’umanità. Ma naturalmente...» Seldon si interruppe.
«Ebbene?» sbottò Cleon impaziente.
«Ecco, mi pare che, escludendo alcune figure chiave responsabili delle grandi decisioni, i risultati dell’analisi psicostorica dovrebbero rimanere sconosciuti al pubblico.»
«Sconosciuti?» fece Cleon sorpreso.
«È chiaro. Lasciate che provi a spiegare... Se si fa un’analisi psicostorica e si comunicano i risultati al pubblico, il complesso di sentimenti e reazioni dell’umanità subisce una distorsione immediata. E l’analisi, basata sui sentimenti e sulle reazioni che si verificano senza conoscere il futuro, perde qualsiasi valore. È chiaro?»
L’imperatore, con gli occhi raggianti, rise. «Meraviglioso!»
Batté una mano sulla spalla di Seldon, che traballò leggermente sotto il colpo.
«Non si rende conto, professore? Non capisce? Ecco la sua applicazione pratica. Non è necessario predire il futuro. Basta scegliere un buon futuro utile e fare delle predizioni che modifichino i sentimenti e le reazioni umane in modo che il modello predetto si realizzi. Meglio costruire un avvenire buono che predirne uno negativo.»
Seldon corrugò la fronte. «Capisco quel che volete dire, sire, ma è ugualmente impossibile.»
«Impossibile?»
«Be’, in ogni caso inattuabile. Se non si può partire dalle emozioni e dalle reazioni umane e predire il futuro che ne deriverà, non si può nemmeno fare il contrario. Non si può partire da un futuro e predire da quali emozioni e reazioni deriverà.»
Cleon parve deluso e contrasse le labbra. «E la sua relazione, allora? A che serve?»
«È solo una dimostrazione matematica... interessante per altri matematici, forse, ma non ho mai pensato che potesse avere qualche utilità.»
«Lo trovo disgustoso» sbottò Cleon rabbiosamente.
Seldon si strinse leggermente nelle spalle. Non avrebbe mai dovuto presentare il suo studio, ne era sempre più convinto. Che ne sarebbe stato di lui, se l’imperatore si fosse messo in testa di essere preso in giro?
A giudicare dall’espressione, Cleon era abbastanza prossimo a crederlo.
«Comunque,» disse il sovrano «potrebbe sempre fare predizioni non legittimate dalla matematica, giusto? Predizioni che, secondo funzionari governativi esperti nel campo del comportamento della gente, provocherebbero reazioni utili?»
«A che scopo ricorrere a me, in tal caso? I funzionari governativi potrebbero fare le predizioni da soli, senza intermediari.»
«I funzionari non sarebbero altrettanto efficaci. Di tanto in tanto fanno dichiarazioni e pronostici del genere, ma non è detto che siano creduti.»
«E perché mai la gente dovrebbe credere a me?»
«Lei è un matematico. Lei avrebbe calcolato il futuro, non l’avrebbe... intuito, se è questo il termine esatto.»
«Ma non sarebbe vero.»
«E chi lo saprebbe?» Cleon fissò Seldon socchiudendo gli occhi.
Ci fu una pausa e Seldon si sentì in trappola. Sarebbe stato prudente rifiutarsi di eseguire un ordine diretto dell’imperatore? Se avesse detto di no, forse sarebbe stato imprigionato e giustiziato. Non senza processo, naturalmente, ma difficilmente l’esito sarebbe stato diverso da quello imposto da un apparato burocratico prepotente: i funzionari della giustizia dovevano assoggettarsi agli ordini del signore dell’enorme impero galattico.
«Non funzionerebbe» disse infine Seldon.
«Perché?»
«Se dovessi predire cose vaghe, generiche, che potrebbero verificarsi solo dopo un paio di generazioni, forse riusciremmo a spuntarla; d’altro canto alla gente non interesserebbero granché. A nessuno importa di una prospettiva rosea distante magari un paio di secoli. Per ottenere dei risultati, dovrei predire cose più dirette e immediate: il pubblico reagirebbe solo in questo caso. Presto o tardi (presto, probabilmente) un certo pronostico non si realizzerebbe e la mia utilità cesserebbe subito. Al che la vostra stessa popolarità potrebbe crollare e questo segnerebbe la fine della psicostoria. Non ci sarebbe alcuno sviluppo matematico costruttivo in grado di contribuire all’impiego pratico della mia teoria.»
Cleon si abbandonò su una sedia e fissò Seldon aggrottando le sopracciglia. «Non sapete fare altro, voi matematici? Siete solo capaci di dire che è tutto impossibile?»
Disperato, Seldon disse sottovoce: «Sire, siete voi a insistere su cose impossibili».
«La metterò alla prova, professore. Se le chiedessi di usare la sua matematica per sapere se un giorno verrò assassinato, che cosa risponderebbe?»
«Il mio sistema non fornirebbe una risposta a una domanda così specifica, nemmeno se la psicostoria fosse applicata nel modo migliore. Neppure tutta la meccanica quantistica del mondo consente di predire il comportamento di un singolo elettrone, solo il comportamento medio di molti.»
«Conosce la sua matematica meglio di me. Basandosi su di essa, faccia una previsione da esperto. Sarò assassinato, dunque, un giorno?»
«Sire,» rispose Seldon a bassa voce «mi tendete un tranello. Ditemi che risposta desiderate e ve la darò, altrimenti consentitemi di rispondervi liberamente senza rischiare una punizione.»
«Parli pure liberamente.»
«Ho la vostra parola d’onore?»
«Vuole una dichiarazione scritta?» fece Cleon sarcastico.
«La vostra parola d’onore è sufficiente» disse Seldon smarrito, pensando che forse non lo sarebbe stata.
«Ha la mia parola d’onore.»
«Allora posso rispondervi che negli ultimi quattro secoli circa la metà degli imperatori è stata assassinata, quindi deduco che le vostre probabilità di essere assassinato siano grosso modo il cinquanta per cento.»
«Qualsiasi sciocco potrebbe dare una risposta del genere» proruppe Cleon sprezzante. «Non è necessario avere uno scienziato.»
«Vi ho detto parecchie volte che la mia matematica è inutile per i problemi pratici.»
«Non pensa che i miei sfortunati predecessori mi abbiano insegnato qualcosa?»
Seldon respirò a fondo e si buttò. «No, sire. La storia dimostra che dalle lezioni del passato non impariamo granché. Per esempio, mi avete ricevuto qui in udienza privata. E se avessi avuto intenzione di assassinarvi?» e si affrettò ad aggiungere: «Naturalmente non ho questa intenzione».
Cleon sorrise arcigno. «Professore, lei dimentica la nostra meticolosità e la nostra tecnologia avanzata. Abbiamo studiato i suoi precedenti, sappiamo tutto di lei. Quando è arrivato, è stato analizzato: espressione, impronta vocale. Abbiamo controllato dettagliatamente il suo stato emotivo: in pratica abbiamo letto i suoi pensieri. Se ci fosse stato anche il minimo dubbio riguardo alla sua innocuità, non le avrebbero permesso di incontrarmi. Anzi, adesso avrebbe già cessato di vivere.»
Seldon fu scosso da un’ondata di nausea, ma continuò: «Per gli estranei è sempre stato difficile colpire l’imperatore, anche quando la tecnologia non era così progredita. Quasi tutti gli assassinii si sono verificati in seguito a una congiura di palazzo. Il pericolo più grande per un imperatore è rappresentato dalle persone che gli sono vicine. Per scongiurare questo pericolo, il controllo meticoloso degli estranei non serve affatto. E per quanto riguarda i vostri funzionari, le guardie e gli amici intimi, non potete trattarli come trattate me».
«Lo so benissimo anch’io. E le dirò che quelli che mi circondano vengono trattati in modo giusto ed equo, quindi non hanno motivo di nutrire risentimento nei miei confronti.»
«Uno sciocco...» iniziò Seldon e si bloccò confuso.
«Vada avanti» lo esortò rabbioso Cleon. «Le ho dato il permesso di parlare liberamente. Perché sarei sciocco?»
«La parola mi è sfuggita, sire. Intendevo dire “irrilevante”. Il modo in cui trattate quelli che vi circondano è irrilevante. Sarete senz’altro sospettoso, tutti gli esseri umani lo sono. Una parola detta senza riflettere, come quella che mi è appena sfuggita, un gesto incauto, un’espressione ambigua, ed ecco che voi socchiudete gli occhi e cominciate a prendere le distanze. E basta un velo di sospetto per mettere in moto un circolo vizioso. La persona amica percepisce questa diffidenza, si risente e il suo comportamento cambia, per quanto possa sforzarsi di controllarsi. Voi avvertite tutto questo e diventate ancora più sospettoso, e alla fine o la persona amica viene giustiziata o voi venite assassinato. È un processo dimostratosi inevitabile per gli imperatori degli ultimi quattro secoli, e non è che un segno della difficoltà crescente della conduzione degli affari dell’impero.»
«Dunque non posso fare nulla per evitare l’assassinio.»
«No, sire. D’altra parte, potreste essere fortunato.»
Cleon tamburellava con le dita sul bracciolo della sedia. «Lei è inutile, professore...» disse brusco «e lo è anche la sua psicostoria. Se ne vada.» Al che distolse lo sguardo e tutt’a un tratto parve molto più vecchio dei suoi trentadue anni.
«L’ho detto che la matematica non potrebbe servirvi, sire. Le mie più profonde scuse.»
Seldon fece per inchinarsi, ma a un segnale che non vide due guardie entrarono e lo condussero via. La voce di Cleon lo raggiunse dalla sala dell’udienza. «Riportate quest’uomo dove l’avete preso.»