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Il processo (tale almeno lo riteneva Gaal, per quanto non ci fosse alcuna traccia delle complicate procedure di cui aveva letto) non fu lungo. Si era già al terzo giorno e Gaal non riusciva più a ricordarne le fasi iniziali.
Lui era stato appena chiamato in causa: gli attacchi più violenti erano sempre diretti contro il dottor Seldon, che tuttavia rimaneva imperturbabile e agli occhi di Gaal appariva come il solo punto fermo nell’universo.
L’uditorio era ridotto e composto unicamente dai baroni dell’impero. La stampa e il pubblico erano esclusi dall’aula e c’era da dubitare che fossero molte le persone a conoscenza del processo a carico del dottor Seldon. In aula regnava un’atmosfera di ostilità assoluta nei confronti degli imputati.
Cinque membri del Comitato per la sicurezza pubblica sedevano dietro il banco della Corte. Indossavano uniformi porpora e oro, e scintillanti e aderenti copricapi di plastica che erano il simbolo della loro funzione giudiziaria. Al centro sedeva il commissario capo, Linge Chen. Gaal in tutta la sua vita non aveva mai visto da vicino un aristocratico di così alta nobiltà, e continuava a guardarlo affascinato. Nel corso del dibattimento Chen raramente era intervenuto, come a voler sottintendere che parlare troppo non fosse compatibile con la sua dignità.
L’avvocato del Comitato consultò gli appunti e l’udienza prese l’avvio con l’interrogatorio di Seldon.
D. «Ci dica, dottor Seldon. Quanti sono gli uomini che lavorano al progetto di cui lei è a capo?»
R. «Cinquanta matematici.»
D. «Incluso il dottor Gaal Dornick?»
R. «Il dottor Dornick è il cinquantunesimo.»
D. «Bene, allora sono cinquantuno? Cerchi di ricordare bene, dottor Seldon. Forse sono cinquantadue o cinquantatré? O più?»
R. «Il dottor Dornick non è stato ancora assunto nella mia organizzazione. Quando entrerà a far parte del gruppo saremo in cinquantuno; per ora siamo in cinquanta, come ho già detto.»
D. «Non siete invece quasi centomila?»
R. «Matematici? No.»
D. «Non mi riferivo ai matematici. Le chiedo se sono centomila le persone che lavorano per lei nei vari settori del progetto.»
R. «Calcolando tutte le attività connesse, forse le sue cifre sono esatte.»
D. «Forse? Io affermo che sono esatte. Preciserò anzi che gli uomini che lavorano al progetto sono novantottomilacinquecentosettantadue.»
R. «Credo che stia contando anche le donne e i bambini.»
D. (formulata ad alta voce) «Sono novantottomilacinquecentosettantadue. Non c’è bisogno di fare battute di spirito.»
R. «Accetto la sua affermazione.»
D. (formulata consultando gli appunti) «Lasciamo da parte questo argomento, per ora, e torniamo a un altro che abbiamo già discusso a lungo. Vuole ripeterci, dottor Seldon, la sua opinione circa il futuro di Trantor?»
R. «L’ho detto e lo ripeto adesso: Trantor sarà in completa rovina entro trecento anni.»
D. «Non ritiene che questa sua affermazione sia antipatriottica?»
R. «No, signore. La verità scientifica sta al di là di qualsiasi considerazione patriottica.»
D. «È sicuro che la sua affermazione rappresenti una verità scientifica?»
R. «Ne sono sicuro.»
D. «In base a che cosa lo afferma?»
R. «In base ai principi matematici della psicostoria.»
D. «Può provare che questi principi sono validi?»
R. «Solo a un altro matematico.»
D. (formulata con un sorriso) «Intende dire che la sua verità è di natura così complessa che sfugge alla comprensione di un uomo normale? Mi sembra che la verità dovrebbe essere chiara e nient’affatto misteriosa, accessibile a qualsiasi mente umana.»
R. «Non presenta difficoltà per certe menti. La fisica del trasferimento d’energia, che noi conosciamo sotto il nome di termodinamica, è stata evidente e vera durante tutta la storia dell’uomo sin dall’età mitica, tuttavia esistono persone, qui presenti, che non sarebbero in grado di disegnare un motore elettrico. Anche persone di elevata intelligenza. Per esempio, dubito che i cosiddetti commissari...»
A questo punto uno dei commissari si sporse verso l’avvocato dell’accusa. Non si capirono le parole ma il bisbiglio della voce aveva un tono aspro. L’avvocato arrossì e interruppe Seldon.
D. «Non siamo qui per ascoltare comizi, dottor Seldon. Ammettiamo, per amor di discussione, che abbia dimostrato la sua tesi. Ora mi permetto di affermare che le sue predizioni di sciagure hanno l’intento, per un suo preciso scopo, di distruggere la fiducia popolare nei confronti del governo imperiale.»
R. «Non è vero.»
D. «Lei però afferma che nel periodo precedente la cosiddetta distruzione di Trantor ci saranno sommosse e agitazioni.»
R. «È così.»
D. «Predicendo tali sommovimenti, lei spera di affrettarne il compimento, per il quale ha già a disposizione un esercito di centomila fedeli.»
R. «In primo luogo, questo non è vero. E se anche lo fosse, con un’indagine un po’ più precisa potreste scoprire che nemmeno uno dei diecimila uomini è in età militare e che nessuno di loro viene addestrato all’uso delle armi.»
D. «Forse agisce per conto di altri?»
R. «Non sono al soldo di nessuno, signor avvocato.»
D. «Si muove in maniera completamente disinteressata? Sta soltanto servendo la scienza?»
R. «Sì.»
D. «E allora lo provi. C’è modo di cambiare il futuro, dottor Seldon?»
R. «Certo. Quest’aula può esplodere da un momento all’altro, ma può anche non esplodere. Se un fatto del genere accadesse, il futuro cambierebbe, per quanto in piccola misura.»
D. «Sta sviando il discorso, dottor Seldon. Può l’intera storia della razza umana essere cambiata?»
R. «Sì.»
D. «Facilmente?»
R. «No. Con grande difficoltà.»
D. «Perché?»
R. «La spinta psicostorica di un pianeta sovrappopolato contiene una vasta forza inerziale. Per deviarne gli effetti, dobbiamo opporle un elemento che possegga almeno uguale potenza. È necessario quindi lo sforzo di un gran numero di persone, o, se il numero delle persone è relativamente piccolo, un enorme spazio di tempo. Sono stato chiaro?»
D. «Credo di capire. Lei afferma che Trantor non sarebbe necessariamente destinato alla distruzione se una moltitudine di persone agisse in modo che l’evento non si verifichi.»
R. «Esatto.»
D. «Sono sufficienti centomila uomini?»
R. «No, signore. Sarebbero troppo pochi.»
D. «Ne è sicuro?»
R. «Tenete presente che Trantor possiede una popolazione superiore ai quaranta miliardi di individui. E consideri inoltre che la spinta alla distruzione del pianeta non proviene solamente da Trantor ma da tutto l’impero, e che l’impero è abitato da quasi cinque milioni di miliardi di esseri umani.»
D. «Capisco. Quindi centomila uomini potrebbero cambiare il futuro se essi e i loro discendenti lavorassero a questo scopo per trecento anni.»
R. «Temo di no. Trecento anni è un periodo troppo breve.»
D. «Ah! In questo caso, dottor Seldon, dobbiamo trarre la conclusione che lei ha radunato centomila persone per il suo progetto ma che costoro sono in numero insufficiente per cambiare la storia di Trantor nei prossimi trecento anni. In altre parole non possono in alcun modo impedire la distruzione di Trantor.»
R. «Sfortunatamente ha ragione.»
D. «D’altra parte le sue centomila persone non sono state radunate per nessun proposito illegale.»
R. «Esatto.»
D. (formulata lentamente e con soddisfazione) «In questo caso, dottor Seldon... faccia molta attenzione, perché esigiamo una risposta coerente. Che funzione hanno queste centomila persone?»
La voce dell’avvocato era diventata quasi stridula. Aveva fatto scattare la sua trappola, mettendo abilmente Seldon alle strette e costringendolo a dare una qualche plausibile risposta.
Dal pubblico si era levato un brusio. Persino al banco dei giudici i commissari mormoravano tra loro. Le toghe rosse e oro si agitavano qua e là. Solo il commissario capo era rimasto impassibile.
Anche Hari Seldon era rimasto immobile. Aspettava che il brusio cessasse.
R. «Il loro scopo è quello di minimizzare gli effetti di questa drammatica situazione.»
D. «Che cosa intende dire esattamente con queste parole?»
R. «È semplice. L’imminente distruzione di Trantor non è un evento fine a se stesso, isolato da quello dello sviluppo umano. Sarà il punto d’arrivo di un dramma intricato che ha avuto inizio secoli addietro e che procede con ritmo sempre più accelerato. Mi riferisco, signori, al processo di declino e caduta dell’impero galattico.»
Il brusio si trasformò in un sordo frastuono. L’accusatore gridò, senza peraltro essere ascoltato: «Lei dichiara apertamente che...». Si fermò perché le grida di «Tradimento» salite dall’uditorio dimostravano che non c’era per nulla bisogno di sottolineare quel punto.
Lentamente il commissario capo sollevò il martelletto e lo lasciò cadere. Il suono era simile a quello di un gong. Quando le vibrazioni sonore cessarono, anche l’uditorio si zittì. L’accusatore trasse un lungo sospiro.
D. (formulata in modo teatrale) «Si rende conto, dottor Seldon, che sta parlando di un impero che dura da dodicimila anni, che è sopravvissuto alle vicissitudini di generazioni, un impero sostenuto dall’amore e dalla fedeltà di cinque milioni di miliardi di esseri umani?»
R. «Conosco bene l’attuale situazione e la storia passata dell’impero. E senza mancare di rispetto a nessuno posso affermare di averne una conoscenza migliore di qualsiasi persona presente in quest’aula.»
D. «E malgrado questo lei ne predice la distruzione?»
R. «È una predizione che ha basi matematiche. Non comporta nel modo più assoluto un giudizio morale. Personalmente, questa prospettiva mi addolora. Anche se dovessi affermare che l’impero è una pessima istituzione (cosa che mi guardo bene dal fare), lo stato di anarchia che seguirà la sua caduta sarà certo peggiore. È appunto a questo stato di anarchia che il mio progetto intende porre rimedio. La caduta di un impero, signori, è un avvenimento di enormi proporzioni, non facile da contrastare. È provocata dalla crescita della burocrazia, dall’inaridirsi dell’iniziativa umana, dall’immobilismo delle caste, dall’appiattimento degli interessi... e da centinaia di altri fattori. Questo movimento è cominciato centinaia di anni fa, ed è ormai troppo colossale e complesso perché possa essere arrestato.»
D. «Non è forse noto a tutti che la forza dell’impero è immutata?»
R. «Si tratta di una forza solo apparente. A guardare le cose in modo superficiale, si può affermare che tutto sia normale. Tuttavia, signor avvocato, anche il tronco marcio dell’albero, fino a quando l’uragano non l’abbia spezzato in due, ha tutte le apparenze della solidità. Le prime folate della tempesta fischiano attraverso le fronde dell’impero già adesso. Le ascolti con le orecchie dello storico e ne sentirà gli scricchiolii.»
D. (formulata con voce incerta) «Noi siamo qui, dottor Seldon, per ascoltare...»
R. (formulata con fermezza) «L’impero svanirà e con esso le sue conquiste. Il sapere che vi è stato accumulato si inaridirà e scomparirà ogni ordine costituito. Le guerre interstellari continueranno senza fine; decadrà il commercio interstellare; la popolazione si avvierà al declino, i mondi perderanno contatto con il corpo principale della galassia... e regnerà il caos.»
D. (quasi sussurrata nel vasto silenzio) «Per sempre?»
R. «La psicostoria, che è in grado di predire la caduta, può fare ipotesi sui successivi periodi di oscurità. L’impero, come è stato appena detto, ha resistito per dodicimila anni. Il futuro periodo oscuro della storia non durerà dodicimila anni, ma trentamila. Un altro impero sorgerà, ma fra esso e la nostra civiltà ci saranno migliaia di generazioni d’umanità sofferente. E noi dobbiamo opporci a tutto questo.»
D. (formulata recuperando in qualche modo) «Si contraddice. Prima aveva affermato che non era possibile impedire la distruzione di Trantor e di conseguenza, presumibilmente, la caduta... la cosiddetta caduta dell’impero.»
R. «Io non sostengo che riusciremo a impedirne la caduta. Ma non è ancora troppo tardi per diminuire il periodo d’interregno che ne seguirà. È possibile, signori, ridurre la durata dell’anarchia a un solo millennio, se si permette al nostro gruppo di proseguire nel suo operato. Siamo in un momento delicato della storia. L’enorme massa degli eventi che incombe sulla civiltà deve essere deviata. Non sarà possibile fare molto, ma forse il nostro sforzo basterà a eliminare ventinovemila anni di miseria dalla storia dell’umanità.»
D. «Come crede di riuscirci, dottor Seldon?»
R. «Conservando il sapere. La somma delle conoscenze umane supera le capacità di ogni singolo individuo, e anche quelle di migliaia di individui. Con la distruzione della nostra costruzione sociale, la scienza verrà spezzettata in milioni di parti. Gli individui conosceranno poco meno che una sfaccettatura di tutto ciò che c’è da sapere. Da soli, saranno indifesi e inutili. Tali frammenti insignificanti di conoscenza non saranno trasmessi e si disperderanno attraverso le generazioni. Se tuttavia prepareremo un gigantesco sommario dello scibile, esso non andrà perduto. Le generazioni successive potranno ricominciare a costruire il futuro su queste basi, senza doverle riscoprire. Un millennio farà il lavoro di trentamila anni.»
D. «Tutto questo...»
R. «Tutto questo è il mio progetto; i miei trentamila uomini, con le loro mogli e bambini, si sono dedicati interamente alla preparazione di un’Enciclopedia galattica. Non riusciranno a completarla nel tempo concesso loro dalla vita. Non vivranno abbastanza a lungo nemmeno per vederla cominciata. Ma quando Trantor cadrà, l’opera sarà completa e ne esisteranno copie in ogni biblioteca della galassia.»
Il commissario capo sollevò il martelletto e batté un colpo. Hari Seldon lasciò il banco dell’interrogatorio e si accomodò silenzioso accanto a Gaal.
«Le è piaciuta la rappresentazione?» gli chiese sorridendo.
«È stato meraviglioso. Che cosa accadrà, adesso?»
«Aggiorneranno il processo e cercheranno di addivenire a un accordo con me.»
«Come lo sa?»
«A dire la verità, non lo so. Dipende dal commissario capo del Comitato. L’ho studiato per anni. Ho cercato di analizzare il suo lavoro, ma sa bene come sia rischioso introdurre le mutevoli caratteristiche di un individuo in un’equazione psicostorica. Eppure, nutro buone speranze.»