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Avakim si avvicinò, fece un cenno di saluto a Gaal e si chinò per mormorare qualcosa all’orecchio di Seldon. Si sentì il campanello che annunciava la ripresa della seduta e le guardie li separarono. Gaal venne condotto via.
Il giorno successivo l’udienza fu completamente diversa. Hari Seldon e Gaal Dornick erano soli con i membri del Comitato. Erano tutti seduti allo stesso tavolo; i cinque giudici si trovavano a breve distanza dai due accusati. Vennero perfino offerti sigari provenienti da una scatola di plastica iridescente che aveva l’aspetto dell’acqua in movimento. Gli occhi rimanevano ingannati da quell’apparenza di moto senza fine, mentre le dita potevano toccare una sostanza tanto dura quanto asciutta.
Seldon accettò il sigaro; Gaal, invece, lo rifiutò.
«Il mio avvocato» disse Seldon «non è presente.»
«Questo non è più un processo, dottor Seldon» replicò uno dei commissari. «Siamo qui per discutere della sicurezza dello stato.»
«Parlerò io» intervenne Linge Chen. Gli altri membri del Comitato si rilassarono contro gli schienali delle sedie, pronti ad ascoltare. Quando Chen prese la parola, calò un silenzio impressionante.
Gaal trattenne il fiato. Magro e legnoso, Chen sembrava più vecchio di quanto fosse in realtà. Era l’attuale imperatore della galassia. Il bambino che portava il titolo era solo un simbolo creato da lui, e del resto nemmeno il primo.
«Dottor Seldon,» cominciò Chen «lei sta turbando la pace dell’impero. Nessuno dei cinque milioni di miliardi di persone che popolano tuttora le stelle sarà in vita fra cento anni. Perché, allora, dovremmo preoccuparci di avvenimenti distanti da noi tre secoli?»
«Personalmente non vivrò neppure altri cinque anni, eppure per me questo problema è di fondamentale importanza. Lo chiami idealismo. Dica pure che è la presunzione di identificare me stesso con quella mistica generalizzazione cui ci riferiamo con il termine “uomo”.»
«Non voglio prendermi la briga di capire il suo misticismo. Sa che potrei liberarmi di lei e di uno scomodo, inutile futuro che non vedrò mai perché è lontano trecento anni, facendo eseguire questa sera stessa la sua condanna a morte?»
«Una settimana fa» disse Seldon sottovoce «avrebbe potuto agire in questo modo e forse conservare il dieci per cento di probabilità di rimanere vivo sino alla fine dell’anno. Oggi quel dieci per cento è divenuto sì e no l’uno per diecimila.»
I presenti si agitarono sulle sedie guardandosi l’un l’altro. Gaal sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Chen abbassò un poco lo sguardo.
«Com’è possibile?»
«La caduta di Trantor» rispose Seldon «non può essere evitata con nessuno dei mezzi disponibili. Tuttavia può essere facilmente affrettata. La notizia del mio processo interrotto si propagherebbe per tutta la galassia. L’aver accantonato il mio progetto inteso a rendere meno disastrosa la caduta dell’impero convincerà la gente che non esiste alcuna speranza per il loro futuro. Già ora ripensano alle generazioni dei loro padri con invidia. Si accorgeranno che le rivoluzioni politiche e il ristagno negli scambi commerciali sono in aumento. Nella galassia dilagherà la convinzione che bisogna accaparrare tutto il possibile e che conta soltanto quello che si riesce a godere subito. Gli uomini ambiziosi non aspetteranno e quelli privi di scrupoli non si tireranno indietro. Ogni loro azione affretterà la decadenza dell’universo. Uccidetemi e Trantor non cadrà fra trecento anni ma entro cinquanta, e voi stessi cadrete nel volgere di un anno.»
«Tali parole» disse Chen «potrebbero spaventare i bambini, non noi; e la sua morte non è soluzione che possa soddisfarci appieno.»
Spostò la mano sottile dal foglio sul quale era appoggiata, in modo che solo due dita ne toccassero leggermente la superficie.
«Mi dica,» continuò «la vostra sola attività consisterà nel preparare l’Enciclopedia di cui ha parlato?»
«Certo.»
«E questa attività deve essere svolta su Trantor?»
«Solo su Trantor, signore, esiste la biblioteca imperiale e, inoltre, qui abbiamo a disposizione le attrezzature scientifiche dell’università.»
«Se lei venisse trasferito in altro luogo, supponiamo un pianeta dove la vita convulsa della metropoli e le distrazioni non interferissero con il raccoglimento necessario allo studio, dove i suoi uomini potessero dedicarsi interamente al lavoro, lo riterrebbe vantaggioso?»
«In minima parte, forse sì.»
«Quel pianeta è già stato scelto. Là, dottore, potrà lavorare con calma insieme ai suoi centomila uomini. La galassia saprà che state lottando per impedirne la caduta. Faremo persino sapere che riuscirete a evitarla.» Sorrise. «Poiché sono tante le cose in cui non credo, non mi sarà difficile ignorare la caduta dell’impero; per questo sono perfettamente convinto di dire la verità al popolo. Nel frattempo, dottore, lei non creerà fastidi su Trantor e non turberà la pace dell’imperatore.
«L’alternativa è la morte per lei e per quanti fra i suoi collaboratori mi parrà opportuno far giustiziare. Dimenticherò le sue predizioni minacciose. Ha cinque minuti di tempo, a partire da questo istante, per scegliere fra la morte e l’esilio.»
«Qual è il pianeta prescelto, signore?» domandò Seldon.
«Si chiama, mi pare, Terminus» rispose Chen e con noncuranza spostò i fogli che aveva davanti fino a metterli di fronte a Seldon. «È deserto ma abitabile, e può essere adeguatamente trasformato per ospitare i suoi studiosi. È piuttosto isolato...»
Seldon lo interruppe. «È ai confini della galassia, signore.»
«Come stavo appunto dicendo, è piuttosto isolato. Proprio quello che ci vuole per la concentrazione. Le rimangono soltanto due minuti per decidere.»
«Occorrerà molto tempo» disse Seldon «per organizzare il trasferimento di così tante persone. Si tratta di oltre ventimila famiglie.»
«Le concederemo tempo a sufficienza.»
Seldon ci pensò su un attimo, e già l’ultimo minuto stava per scadere quando disse: «Accetto l’esilio».
A Gaal sembrò che il suo cuore saltasse un battito. Era felice di essere sfuggito alla morte, eppure nella sua immensa gioia provò una punta di dispiacere al pensiero che Seldon era stato sconfitto.