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Un fulminatore, nonostante il suo nome, non “fulmina” nel vero senso della parola. Colpisce e vaporizza l’interno del bersaglio e in pratica, provoca un’implosione. Si avverte un suono leggero, simile a un sospiro, che lascia ciò che si presenta come l’oggetto fulminato.
Hari Seldon non si aspettava di sentire alcun suono ma solamente la morte. Fu con notevole sorpresa che udì il caratteristico sospiro sibilante e, sbattendo le palpebre rapidamente, chinò gli occhi per guardarsi, a bocca aperta.
Era vivo? (La pensò come una domanda, non una constatazione.)
Raych era ancora in piedi al suo posto, con il fulminatore puntato in avanti e gli occhi vitrei. Era completamente immobile, come una macchina improvvisamente privata di energia.
Dietro di lui c’era il corpo rattrappito di Andorin, accasciato in una pozza di sangue, e fermo accanto a lui, con un fulminatore in pugno, c’era un giardiniere. Il cappuccio era scivolato sulle spalle; il giardiniere era chiaramente una donna con i capelli tagliati molto corti di recente.
La donna lanciò un’occhiata a Seldon e disse: «Suo figlio mi conosce come Manella Dubanqua. Sono un’agente dei servizi di sicurezza. Vuole che proceda alla mia identificazione, primo ministro?».
«No» rispose debolmente Seldon. Le guardie imperiali erano comparse sulla scena. «Mio figlio! Cos’è successo a mio figlio?»
«Disperanza, credo» rispose Manella. «Con il tempo si possono eliminarne gli effetti.» Si allungò per togliere il fulminatore dalla mano di Raych. «Sono dolente di non essere potuta intervenire prima. Dovevo aspettare una mossa scoperta e per poco non sono arrivata troppo tardi.»
«Ho avuto lo stesso problema. Dobbiamo portare Raych all’ospedale del palazzo.»
Un vocio confuso si levò improvvisamente dal Piccolo Palazzo. Seldon pensò che forse l’imperatore stava osservando sul serio la cerimonia e che adesso doveva essere veramente infuriato.
«Si occupi di mio figlio, signorina Dubanqua. Devo vedere l’imperatore.»
Si lanciò di corsa – in modo assai poco dignitoso – attraverso il caos che regnava sul Grande Prato e schizzò dentro il Piccolo Palazzo senza troppe cerimonie. A quel punto, Cleon non poteva certo infuriarsi maggiormente.
E là, sotto gli occhi di un gruppetto di persone che lo fissavano annichilite dallo stupore, sulla scalinata semicircolare c’era il corpo di sua maestà imperiale Cleon I devastato al punto da risultare irriconoscibile. I paramenti imperiali gli servivano ora da sudario. Tremante contro una parete, fissando con espressione instupidita i volti inorriditi che lo attorniavano, c’era Mandell Gruber.
Seldon sentì di essere arrivato a un punto di rottura. Vide il fulminatore ai piedi di Gruber. Doveva essere quello di Andorin, ne era certo. Allora chiese sottovoce: «Gruber, che cosa ha fatto?».
Gruber lo fissò, bofonchiando: «Tutti urlavano e gridavano. Ho pensato che nessuno se ne sarebbe accorto. Avrebbero creduto che qualcun altro avesse ucciso l’imperatore. Ma poi non sono riuscito a fuggire».
«Ma, Gruber, perché?»
«Così non sarei dovuto diventare giardiniere capo.» E crollò.
Seldon fissò allibito il corpo privo di conoscenza di Gruber.
Tutto si era svolto al limite della catastrofe. Lui era vivo. Raych era vivo. Andorin era morto, e la cospirazione dei joranumiti sarebbe stata cancellata fino all’ultimo soggetto.
Il centro dell’impero avrebbe tenuto, così come la psicostoria aveva richiesto.
E poi un uomo, per un motivo talmente banale da sfidare ogni analisi, aveva ucciso l’imperatore.
“E adesso?” pensò Seldon sull’orlo della disperazione. “Cosa facciamo? Cosa accadrà?”