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A quei tempi Hari Seldon non era certo una figura che colpisse. Come l’imperatore Cleon I, aveva trentadue anni ma era alto solo un metro e settantatré. Aveva un viso liscio e allegro, i capelli scuri, quasi neri, e nel suo abbigliamento si notava un’inconfondibile impronta provinciale.
Chi lo avesse conosciuto, in epoche successive, solo come un leggendario semidio, forse avrebbe gridato al sacrilegio se avesse visto che non aveva i capelli bianchi né una faccia rugosa, che non sfoggiava un sorriso tranquillo pieno di saggezza e non sedeva su una sedia a rotelle. In ogni caso, anche nella vecchiaia i suoi occhi avrebbero conservato un’espressione allegra: era una sua caratteristica.
E in quel momento erano particolarmente allegri, perché Seldon aveva presentato la sua relazione al Convegno decennale. La relazione aveva suscitato un certo interesse, per quanto vago, e il vecchio Osterfith aveva commentato, annuendo: «Ingegnoso, giovanotto. Davvero ingegnoso». Il che, detto da lui, era molto lusinghiero.
Ma ora c’erano alcuni sviluppi del tutto inattesi e Seldon non sapeva se fosse il caso di sentirsi ancora più allegro e lusingato oppure no.
Fissò il giovanotto alto in uniforme: sul lato sinistro della sua casacca spiccava il simbolo dell’Astronave e del Sole.
«Tenente Alban Wellis» disse l’ufficiale della guardia imperiale prima di riporre la tessera di riconoscimento. «Ora vuole venire con me, signore?»
Wellis era armato, naturalmente. C’erano altre due guardie che aspettavano davanti alla porta. Seldon sapeva di non avere scelta, ma nulla gli vietava di chiedere delucidazioni. «Per vedere l’imperatore?»
«Per essere accompagnato al palazzo, signore. Le mie istruzioni non vanno oltre.»
«Ma perché?»
«Non mi è stato detto il perché, signore. E ho l’ordine preciso di farmi seguire da lei, in un modo o nell’altro.»
«Mi sembra un arresto. Non ho fatto nulla che possa giustificare un trattamento simile.»
«Semmai, sembra che le abbiano concesso una scorta d’onore. Sempre che non indugi oltre, signore.»
Seldon non indugiò. Strinse le labbra, come se intendesse bloccare altre domande, poi annuì e si incamminò. La prospettiva di incontrare l’imperatore e di ricevere un encomio ufficiale non gli dava alcun senso di gioia. Era favorevole all’impero, cioè ai mondi dell’uomo uniti e in pace, ma non vedeva di buon occhio il sovrano.
Il tenente lo precedette, gli altri due si misero alle spalle. Seldon sorrise a quelli cui passava accanto e riuscì ad assumere un’espressione tranquilla. Fuori dall’albergo salirono su una terramobile ufficiale. (Seldon toccò il rivestimento interno: non era mai stato a bordo di un veicolo dalle finiture così ricercate.)
Erano in uno dei settori più ricchi di Trantor. Lì la cupola era abbastanza alta da dare la sensazione di trovarsi all’aperto, e chiunque avrebbe giurato che ci fosse il sole, perfino Hari Seldon, nato e cresciuto su un mondo non-sotterraneo. In realtà non si vedevano né sole né ombre, ma l’aria era fresca e chiara.
Poi la cupola cominciò ad abbassarsi, le pareti si avvicinarono sempre più, e poco dopo imboccarono un tunnel in cui a intervalli regolari si notava il simbolo dell’Astronave e del Sole. “Un tunnel riservato senza dubbio ai veicoli ufficiali” pensò Seldon.
Si aprì una porta e il veicolo la oltrepassò. Quando la porta si chiuse alle loro spalle, si ritrovarono all’aperto, sotto il cielo autentico. Su Trantor c’era un unico tratto scoperto di duecentocinquanta chilometri quadrati, e in quell’area sorgeva il palazzo imperiale. A Seldon sarebbe piaciuto esplorarla, non per la presenza del palazzo in sé, ma perché quella zona ospitava l’università galattica e la rinomata biblioteca.
Passando dal mondo chiuso di Trantor a quel tratto di parco e boschi, Seldon era entrato in un mondo in cui il cielo era oscurato dalle nubi e un vento gelido gli increspava la camicia. Premette il contatto di chiusura del finestrino del veicolo.
Era una giornata tetra, di fuori.