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La pensierosa passeggiata di Seldon nei giardini fu un distillato di serenità. Lì, in mezzo ai possedimenti più immediati dell’imperatore, gli riusciva difficile credere di trovarsi su un mondo totalmente rinchiuso sotto una cupola, a parte quella zona. Nell’oasi incontaminata poteva illudersi di essere ancora su Helicon, il suo mondo natale, o magari su quello di Gruber, Anacreon.

Naturalmente il senso di pace e isolamento era un’illusione. I giardini erano attentamente sorvegliati e pullulavano di sistemi di sicurezza.

Un tempo, mille anni prima, i giardini del palazzo imperiale – che all’epoca era assai meno imponente – non si differenziavano poi tanto dal resto di un mondo che iniziava soltanto allora a costruire cupole sopra le singole regioni; anzi, erano aperti a tutti i cittadini, che potevano incontrare lo stesso imperatore a passeggio lungo i suoi sentieri, un imperatore privo di guardie disposto a salutare cortesemente con un cenno del capo i sudditi in cui si imbatteva.

Adesso non era più così. Adesso erano in vigore le misure di sicurezza, e nemmeno i cittadini di Trantor potevano violare i giardini. Questo, tuttavia, non eliminava il rischio che un pericolo potesse presentarsi a opera di funzionari imperiali scontenti o di militari corrotti allo scopo. In simili casi era proprio all’interno dei giardini che l’imperatore e i suoi ministri correvano i maggiori pericoli. Che cosa sarebbe successo se dieci anni prima, in una simile circostanza, Seldon non si fosse fatto accompagnare da Dors Venabili?

Era il suo primo anno come primo ministro ed era naturale, anche secondo lo stesso Seldon (ma questo lo pensò dopo il fatto), che in seno alla corte serpeggiasse un certo malcontento per la scelta inattesa che lo aveva innalzato a quella carica. Molti altri funzionari, più qualificati per addestramento e anzianità, più convinti di meritare l’incarico (soprattutto ai loro stessi occhi), potevano essere rimasti irritati dalla nomina. Loro non conoscevano l’esistenza della psicostoria o l’importanza che l’imperatore attribuiva a essa, e il modo più semplice per correggere la situazione consisteva nel corrompere qualcuno di coloro che avevano giurato di proteggere la vita del primo ministro.

Fin dall’inizio Dors si era sempre mostrata più sospettosa dello stesso Seldon. Oppure, con la scomparsa di Demerzel dalla scena, le sue istruzioni di proteggere Seldon avevano acquistato una maggiore urgenza. Con il risultato che, durante i primi anni dell’alto incarico di Seldon, Dors rimase quanto più possibile al suo fianco.

E quel tardo pomeriggio di una calda giornata estiva, Dors notò il luccichio del sole – un sole mai visto sotto la cupola di Trantor – sul metallo di un fulminatore.

«Giù, Hari!» urlò di colpo, e le sue gambe divorarono il prato erboso mentre lei correva verso il sergente.

«Mi dia quel fulminatore, sergente» gli intimò con voce dura.

Il potenziale assassino, momentaneamente immobilizzato dalla vista di una donna che correva verso di lui, tentò di reagire in fretta sollevando l’arma appena tolta dal fodero.

Ma lei gli era già addosso e con una mano gli strinse il polso destro in una morsa d’acciaio, sollevando in alto il braccio. «Lasci l’arma» gli disse attraverso i denti serrati.

Il viso del sergente si contorse mentre cercava di liberare il braccio.

«Non ci provi, sergente. Il mio ginocchio è a dieci centimetri dal suo inguine e, se fa solo il gesto di sbattere le palpebre, il suo apparato genitale passerà alla storia. Quindi resti immobile... così, lentamente. Bene, adesso apra la mano. Se non lascia cadere il fulminatore subito, le spezzo il braccio.»

Un giardiniere arrivò di corsa con un rastrello. Dors gli fece segno di allontanarsi. Il fulminatore cadde sull’erba.

Seldon era arrivato. «Me ne occupo io, Dors.»

«Per nulla al mondo. Mettiti al coperto fra quegli alberi e prendi con te il fulminatore. Possono essere coinvolte altre persone, pronte a colpire.»

Dors non aveva allentato la stretta sul sergente. «Ora, sergente, voglio il nome di chi l’ha persuasa ad attentare alla vita del primo ministro e quello di ogni suo complice.»

Il sergente rimase in silenzio.

«Non sia stupido. Parli!» Gli torse il braccio e, quando lui cadde in ginocchio, gli appoggiò un piede sul collo. «Se pensa che il silenzio sia la scelta migliore, posso fracassarle la laringe e resterà in silenzio per sempre. Ma prima la ridurrò in uno stato tale da non lasciarle un solo osso intatto. Farà meglio a parlare.»

Il sergente parlò.

Più tardi Seldon le aveva detto: «Come hai potuto farlo, Dors? Cos’è successo alle Tre Leggi?».

Dors rispose con freddezza: «Non gli ho poi fatto tanto male, Hari. La minaccia è bastata. In ogni caso, la tua salvezza era prioritaria».

«Avresti dovuto lasciare che me ne occupassi io.»

«Perché? Per salvaguardare il tuo orgoglio maschile? Prima di tutto, non saresti stato abbastanza veloce. E poi, a prescindere da ciò che avresti saputo fare, tu sei un uomo e la tua reazione sarebbe stata prevedibile. Io sono una donna, e le donne, nell’opinione popolare, non sono feroci come gli uomini e non possiedono quel genere di forza necessario per fare ciò che ho fatto. La storia si accrescerà a furia di raccontarla e tutti saranno terrorizzati da me. Nessuno oserà tentare di farti del male nel timore di ciò che io potrei fare loro.»

«Nel timore di ciò che potresti fare tu e anche nel timore di un’esecuzione sommaria. Il sergente e i suoi complici saranno giustiziati.»

A questa notizia, un’espressione d’angoscia velò il viso solitamente impenetrabile di Dors, come se lei non sopportasse l’idea del sergente traditore che veniva messo a morte anche se lui avrebbe ucciso il suo amato Hari senza pensarci due volte.

«Ma non c’è alcun bisogno di giustiziare i cospiratori. L’esilio può bastare» esclamò Dors.

«E invece no. È troppo tardi. Cleon non è disposto ad accettare qualcosa di diverso da un’esecuzione. Posso citarti le sue esatte parole, se lo desideri.»

«Vuoi dire che ha già preso la sua decisione?»

«L’ha presa subito. Gli ho detto che l’esilio o il carcere sarebbero stati sufficienti, ma lui ha risposto: “No”. E ha aggiunto: “Ogni volta che cerco di risolvere un problema con un atto di forza diretto, prima Demerzel e poi lei mi parlate di dispotismo e tirannia. Ma questo è il mio palazzo. Questi sono i miei giardini. Queste sono le mie guardie. La mia vita dipende dalla sicurezza di questo luogo e dalla lealtà della mia gente. Crede che qualsiasi deviazione dalla lealtà assoluta possa meritare qualcosa di diverso da una morte immediata? Come potrei sentirmi al sicuro altrimenti? Me lo dica, di quale sicurezza potrei godere io?”.

«Gli ho detto che avrebbe dovuto esserci un processo. “Certo,” ha replicato lui “una rapida corte marziale, e non mi aspetto di vedere un solo voto a favore di qualcosa che non sia una condanna a morte. Lo metterò bene in chiaro.”»

Dors sembrava sconvolta. «Sembri prenderla con molta calma. Sei d’accordo con l’imperatore?»

Benché riluttante, Seldon annuì. «Sì.»

«Perché hanno attentato alla tua vita. Hai abbandonato i tuoi principi per la vendetta?»

«Oh, andiamo, Dors. Non sono una persona vendicativa. Tuttavia, il rischio non riguardava solo la mia persona, né ancora meno l’imperatore... Se c’è una cosa che la storia recente dell’impero ci insegna è che gli imperatori vanno e vengono. È la psicostoria che deve essere protetta. Indubbiamente, anche se mi accadesse qualcosa, prima o poi la psicostoria verrebbe completata, ma l’impero sta collassando rapidamente e noi non possiamo aspettare, perché solo io ho compiuto i progressi indispensabili per sviluppare in tempo le tecniche necessarie.»

«Forse dovresti insegnare ad altri ciò che sai, allora» disse Dors cupa.

«È quello che sto facendo. Yugo Amaryl sarebbe un discreto successore e ho già radunato un gruppo di tecnici che un giorno si riveleranno utili, ma non saranno mai...» fece una pausa.

«Non saranno mai bravi come te, altrettanto saggi o capaci? Sul serio?»

«Mi capita di pensarlo» ammise Seldon. «E mi capita di essere umano. La psicostoria è mia e, se sarà possibile, voglio che il merito mi venga riconosciuto.»

«Gli esseri umani!» sospirò Dors scuotendo tristemente il capo.

Le esecuzioni ebbero luogo. Da più di un secolo non si assisteva a una simile epurazione. Vennero messi a morte due consiglieri anziani, cinque ufficiali dei ranghi inferiori e quattro soldati, incluso lo sfortunato sergente. Ogni guardia addetta ai servizi di sicurezza che non fu in grado di superare a testa alta una severissima indagine fu esonerata dal servizio e trasferita in qualche distaccamento sui Mondi esterni.

Da allora non c’era più stato il benché minimo sussurro di malcontento, e la cura con la quale la vita del primo ministro veniva protetta era diventata così risaputa – per non parlare della donna terrorizzante che lo custodiva, da molti chiamata la “Donna Tigre” – che ben presto Dors non fu più obbligata ad accompagnarlo dappertutto. La sua presenza invisibile era uno scudo adeguato e l’imperatore Cleon poté godersi dieci anni di tranquilla e assoluta sicurezza.

Adesso, però, la psicostoria stava raggiungendo finalmente la fase nella quale alcune previsioni – sia pure approssimative – potevano essere formulate e, attraversando i giardini per andare dal suo ufficio (di primo ministro) al suo laboratorio (di psicostorico), Seldon era amaramente consapevole della possibilità che quell’era di pace fosse prossima alla fine.

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