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Hari Seldon stava cercando di scacciare la depressione che gli era piombata addosso. Gli erano state fatte prediche da Dors, Raych, Yugo e Manella. Tutti d’accordo nel dirgli che un sessantenne non era un vecchio.
Non riuscivano proprio a capire. A trent’anni aveva concepito le prime nozioni della psicostoria, a trentadue aveva letto la sua famosa relazione al Convegno decennale di matematica, dopo di che tutto era sembrato cadergli addosso all’improvviso. Fuggendo, aveva percorso Trantor in lungo e in largo incontrando Demerzel, Cleon, Dors, Yugo e Raych, per non parlare della gente di Micogeno, Dahl e Wye.
A quarant’anni era diventato primo ministro e a cinquanta aveva abbandonato l’incarico. Adesso ne aveva sessanta.
Aveva dedicato trent’anni di vita alla psicostoria. Quanti altri gliene sarebbero serviti? Per quanto ancora sarebbe vissuto? Doveva forse morire lasciando il progetto incompleto?
Non era il fatto di morire che lo preoccupava, si disse. Era il fatto di dover lasciare incompiuto il progetto.
Decise di far visita a Yugo Amaryl. Negli ultimi anni avevano in qualche modo ridotto i contatti, man mano che il progetto aumentava di dimensione. Nei primi anni all’Università di Streeling erano stati solo loro due, Seldon e Amaryl, e nessun altro, a lavorare insieme spalla a spalla. Ora, però...
Amaryl aveva quasi cinquant’anni, non proprio un giovanotto, e aveva fatto del suo lavoro una mania. In tutti quegli anni non si era interessato a nulla oltre alla psicostoria. Nessuna donna era mai entrata nella sua vita, nessun compagno, nessun passatempo, nessuna attività secondaria.
Amaryl lo guardò entrare sbattendo le palpebre, e Seldon non poté fare a meno di notare i vari cambiamenti intervenuti nel suo aspetto. Forse ciò dipendeva dal fatto che i suoi occhi erano stati ricostruiti. Ora ci vedeva benissimo, ma aveva uno sguardo innaturale e tendeva a sbattere molto lentamente le palpebre. Tutto ciò lo faceva sembrare sempre insonnolito.
«Che ne pensi, Yugo? Si vede qualche luce alla fine del tunnel?»
«Luce? Sì, certo. C’è questo nuovo ricercatore, Tamwile Elar. Naturalmente lo conosci già.»
«Oh, sì. Sono stato io ad assumerlo. Molto energico e aggressivo. Come se la cava?»
«Non posso dire di trovarmi a mio agio con lui, Hari. La sua risata sguaiata mi dà sui nervi. Ma è brillante. Il nuovo sistema di equazioni si adatta perfettamente al radiante primario, e sembra che le nuove equazioni ci possano aiutare ad aggirare il problema del caos.»
«Sembra o di certo ci aiuteranno?»
«È troppo presto per dirlo, però nutro grandi speranze. Le ho messe alla prova con un paio di situazioni che le avrebbero demolite se fossero state inutili, ma le nuove equazioni ne sono uscite indenni. Poiché dovrebbero annullare l’effetto del caos, sto iniziando a definirle “equazioni acaotiche”.»
«Non credo che noi possediamo già delle rigorose dimostrazioni al riguardo.»
«No, hai ragione, anche se ho messo una mezza dozzina dei nostri a lavorarci, incluso Elar, naturalmente.» Amaryl accese il suo radiante primario, un modello non meno aggiornato di quello di Seldon, e osservò le linee curve formate da equazioni luminose raggomitolate a mezz’aria, troppo piccole, troppo sottili per essere lette senza un ingrandimento. «Aggiungi le nuove equazioni e potremo iniziare a fare delle previsioni.»
«Adesso, ogni volta che studio il radiante primario» disse Seldon pensieroso «mi meraviglio per l’elettrochiarificatore e di come riesca a comprimere il materiale nelle linee e nelle curve del futuro. Non era anche quello un prodotto di Elar?»
«Sì. Con l’aiuto di Cinda Monay.»
«È un bene che delle persone nuove e intelligenti siano coinvolte nel progetto. Mi rimette in pace col futuro.»
«Credi che qualcuno come Elar potrebbe trovarsi un giorno alla guida del progetto?» chiese Amaryl continuando a studiare il radiante primario.
«Forse. Dopo che noi due ci saremo ritirati, o saremo morti.»
Amaryl sembrò rilassarsi e spense lo strumento. «Mi piacerebbe completare l’opera, prima di ritirarmi o di morire.»
«Anche a me, Yugo. Anche a me.»
«La psicostoria ci ha guidati piuttosto bene negli ultimi dieci anni.»
Era abbastanza vero, ma Seldon sapeva che era troppo presto per cantare vittoria. Le cose erano filate lisce e senza grosse sorprese.
La psicostoria aveva predetto che il centro dell’impero sarebbe rimasto abbastanza stabile dopo la morte di Cleon – l’aveva predetto in modo molto vago e impreciso – e il centro aveva tenuto. Trantor era rimasto ragionevolmente tranquillo. Anche con l’assassinio di un imperatore e con la fine di una dinastia, il centro aveva retto.
C’era riuscito sotto le inevitabili tensioni di un governo militare... Dors non aveva avuto torto nel definire i membri della Giunta “quei furfanti”. Avrebbe anche potuto spingersi oltre senza esagerare. Non di meno, riuscivano a tenere insieme l’impero e avrebbero continuato a farlo per un certo periodo di tempo. Forse abbastanza a lungo da permettere alla psicostoria di giocare un ruolo attivo negli eventi che sarebbero accaduti.
Ultimamente Yugo aveva accennato alla possibilità di istituire due Fondazioni: entità distinte, isolate, indipendenti dall’impero stesso, che sarebbero servite come semi per la rinascita attraverso le imminenti ere oscure fino alla nascita di un nuovo e migliore impero. Anche Seldon aveva lavorato sulle possibili conseguenze di una simile eventualità.
Ma il tempo non gli bastava e, con una certa commiserazione, sentiva che gli mancava anche la giovinezza. Il suo intelletto, per quanto saldo e vigoroso, era privo della resistenza e della creatività che possedeva quando era appena trentenne, e sapeva, inoltre, che col passare del tempo la situazione sarebbe peggiorata.
Forse avrebbe dovuto assegnare quel lavoro al giovane e brillante Elar, liberandolo dai suoi altri compiti. Però Seldon doveva ammettere, con vergogna, che quell’idea non lo attirava. Non voleva che, dopo aver inventato la psicostoria, tutti i vantaggi della fama e della gloria andassero a un nuovo membro del progetto. In realtà, per dire la verità nuda e cruda, Seldon era geloso di Elar e ne era cosciente quanto bastava per vergognarsene.
Tuttavia, nonostante i suoi sentimenti meno razionali, avrebbe dovuto dipendere in modo sempre maggiore da persone più giovani, per quanto gli dispiacesse. La psicostoria non era più la riserva privata di Amaryl, di qualche assistente e sua. Il decennio passato come primo ministro l’aveva trasformata in una grande impresa sancita e finanziata dal governo e, con sua sorpresa, dopo il suo ritorno all’università, era diventata ancora più grande.
Sembrava che la Giunta militare considerasse il progetto come possibile arma politica e, fino a quando lo avesse giudicato tale, i fondi non sarebbero stati un problema. Ne arrivavano a palate. In cambio, bisognava redigere dei rapporti annuali che comunque risultavano piuttosto oscuri. Si faceva menzione solo di sviluppi secondari e, anche così, comprendere la matematica contenuta nei rapporti non rientrava quasi sicuramente nelle capacità dei membri della Giunta.
Mentre si accingeva a lasciare il suo vecchio assistente, a Seldon apparve chiaro che almeno Amaryl fosse più che soddisfatto di come proseguivano le ricerche sulla psicostoria, ma nonostante questo sentì ricadere su di sé il manto della depressione.
Decise che era l’ormai prossimo compleanno a deprimerlo. Nelle intenzioni di chi stava organizzando, i festeggiamenti doveva essere una consolazione e un momento di gioia, ma serviva solo a sottolineare la sua età.
Inoltre, stava anche scombussolando le proprie abitudini quotidiane. Il suo ufficio e un paio di quelli vicini erano stati svuotati, e da giorni interi lui non riusciva a lavorare normalmente. I suoi vecchi uffici sarebbero stati convertiti in sale della gloria e ci sarebbero voluti parecchi giorni prima che lui potesse ritornare al suo lavoro. Soltanto Amaryl si era categoricamente rifiutato di spostarsi, evitando così di perdere l’ufficio.
Seldon si era chiesto, piuttosto irritato, a chi fosse venuta quella brillante idea. Di certo non era stata Dors. Lei lo conosceva fin troppo bene. Neppure Amaryl o Raych, che non riuscivano nemmeno a ricordarsi i loro compleanni. Aveva sospettato di Manella e l’aveva anche interrogata personalmente.
Lei aveva ammesso di essere del tutto favorevole all’idea e di aver anche dato precise disposizioni perché venissero eseguiti certi preparativi, ma aveva precisato che l’idea le era stata suggerita da Tamwile Elar.
“Il giovanotto brillante” pensò Seldon. Brillante in tutto.
Sospirò. Se solo il suo compleanno fosse già passato...