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Stavano percorrendo di nuovo il tunnel, velocemente. Seldon decise di fare la domanda che lo tormentava ormai da un’ora.
«Perché afferma che l’impero galattico sta morendo?»
Hummin si voltò ancora a guardarlo. «Come giornalista, sono bombardato di statistiche da ogni lato, tanto che mi escono dalle orecchie. E posso divulgarne solo una minima parte. La popolazione di Trantor diminuisce. Venticinque anni fa raggiungeva quasi i quarantacinque miliardi di abitanti. In parte, questo calo è dovuto a un abbassamento dell’indice di natalità. È vero, Trantor non ha mai avuto un indice molto alto. Se si guarda intorno, non vedrà tanti bambini, considerata la sua enorme popolazione. In ogni caso, questo indice è in ribasso. Poi c’è l’emigrazione. Quelli che lasciano Trantor sono più numerosi di quelli che vengono a stabilirsi qui.»
«Considerato il numero di abitanti, non è sorprendente.»
«Ma è ugualmente insolito, perché prima non succedeva. Continuiamo: in tutta la galassia il commercio ristagna. Dato che al momento non ci sono ribellioni e la situazione è tranquilla, la gente pensa che tutto vada bene e le difficoltà degli ultimi secoli siano superate. Ma le lotte politiche, le rivolte e i fermenti sociali sono anche segni di una certa vitalità, mentre adesso c’è una stanchezza generale. La situazione è calma non perché la gente sia soddisfatta, ma perché è stanca e ha rinunciato.»
«Be’, non saprei» fece Seldon dubbioso.
«Lo so io. E il fenomeno dell’antigravità di cui abbiamo parlato è un altro esempio significativo. Abbiamo alcuni ascensori gravitazionali in funzione, ma non se ne stanno costruendo altri. È un’impresa antieconomica e pare che nessuno voglia cercare di renderla fruttuosa. Sono secoli che il ritmo del progresso tecnologico rallenta, adesso è quasi fermo. In alcuni casi si è arrestato del tutto. Non l’ha notato? In fin dei conti, lei è un matematico.»
«Non mi sono mai soffermato a riflettere sul problema, a dire il vero.»
«Già, nessuno ci pensa. Oggi gli scienziati sono molto bravi a dire che le cose sono impossibili, poco pratiche, inutili. Condannano subito qualsiasi processo speculativo. Lei, per esempio... che cosa pensa della psicostoria? Teoricamente è interessante, ma è inutile all’atto pratico. Ho ragione?»
«Sì e no» rispose Seldon seccato. «Certo, è inutile all’atto pratico, ma non perché il mio spirito d’avventura sia venuto meno, gliel’assicuro. È proprio inutile.»
«Questa almeno è la sua impressione, nell’atmosfera di decadenza in cui l’impero vive» disse Hummin con una punta di sarcasmo.
«L’atmosfera di decadenza è una sua impressione» replicò Seldon, piccato. «Potrebbe sbagliarsi, no?»
Hummin esitò un istante, ci pensò e disse: «Sì, potrei sbagliarmi. Parlo solo basandomi sull’intuizione, su delle ipotesi. Mi occorre una tecnica psicostorica che funzioni».
Seldon alzò spalle e non abboccò. «Non ho nessuna tecnica del genere da offrirle, ma supponiamo che abbia ragione, che l’impero sia veramente in declino e che l’attendano la paralisi e la disgregazione. Il genere umano continuerà comunque a esistere.»
«In che situazione, Seldon? Da circa dodicimila anni Trantor, grazie a sovrani risoluti, mantiene e tutela la pace. Ci sono state interruzioni, certo: rivolte, guerre civili locali, episodi tragici, ma complessivamente c’è stata pace in vasti settori. Perché Helicon è così favorevole all’autorità imperiale? Perché il suo è un mondo piccolo e sarebbe divorato dai vicini se non ci fosse l’impero a garantirne la sicurezza.»
«Sta predicendo che se l’impero verrà a mancare avremo guerra universale e anarchia?»
«Certo. Non mi piace l’imperatore, né le istituzioni imperiali in genere, ma non ho nulla che possa sostituire tutto questo e mantenere la pace. E non sono disposto a rinunciarvi, finché non avrò in mano qualcos’altro.»
«Parla come se fosse il padrone della galassia. Lei non è disposto a rinunciare, lei deve avere in mano qualcos’altro! Chi è, per parlare così?»
«Parlo in generale, in senso figurato. Non mi preoccupo per Chetter Hummin personalmente. L’impero vivrà più a lungo di me, probabilmente mostrerà addirittura segni di miglioramento durante la mia vita. Il declino non ha un andamento rettilineo. Può anche darsi che debbano passare mille anni prima del crollo definitivo, e allora io sarò già morto e sicuramente non avrò discendenti. Per quanto riguarda le donne, ho solo qualche relazione occasionale e passeggera, non ho figli e non intendo averne. Niente persone care che possano condizionarmi l’esistenza. Dopo la conferenza mi sono informato, Seldon. Nemmeno lei ha figli.»
«Ho i genitori e due fratelli, ma non sono padre.» Seldon abbozzò un sorriso fiacco. «Un tempo ero molto legato a una donna, ma secondo lei ero più attaccato alla matematica.»
«Era vero?»
«A me sembrava di no, ma lei la pensava diversamente e se n’è andata.»
«E da allora non ha avuto altri legami?»
«No. Il ricordo della sofferenza è ancora troppo vivo.»
«A quanto pare potremmo aspettare tranquilli che tutto si compia e lasciare che siano gli altri a soffrire in futuro. Forse un tempo l’avrei anche accettato, ora no. Perché ho uno strumento e posso intervenire.»
«Quale sarebbe questo strumento?» chiese Seldon, conoscendo già la risposta.
«Lei!»
Sapendo cosa avrebbe detto Hummin, Seldon non perse tempo a mostrarsi sorpreso o sconvolto. Si limitò a scuotere la testa. «Si sbaglia. Non sono uno strumento utilizzabile.»
«Perché?»
Seldon sospirò. «Quante volte devo ripeterlo? La psicostoria non è una scienza pratica. Presenta difficoltà di base enormi. Nemmeno disponendo di tutto il tempo e lo spazio dell’universo si riuscirebbe a risolverne i problemi essenziali.»
«Ne è sicuro?»
«Purtroppo, sì.»
«Nessuno le chiede di calcolare il futuro dell’impero galattico nel suo complesso. Non deve tracciare dettagliatamente le azioni di ogni essere umano o di ogni mondo. Deve solo rispondere ad alcune domande: l’impero galattico crollerà e se sì, quando? Quali saranno le condizioni dell’umanità in seguito? Si può fare qualcosa per impedire il crollo o per migliorare la situazione più avanti? Sono domande relativamente semplici, mi pare.»
Seldon scosse il capo e sorrise mesto. «La storia della matematica è piena di domande semplici che hanno solo risposte complicatissime o nessuna.»
«Non si può fare nulla? So che l’impero sta crollando ma non posso dimostrarlo. Le mie conclusioni sono soggettive e non posso mostrare con certezza assoluta che ho ragione. Dato che si tratta di un’idea sconvolgente, è ovvio che la gente preferirà non credere alle mie conclusioni soggettive e non si farà nulla per impedire la caduta o per cercare di attutirla e renderla meno rovinosa. Lei, invece, potrebbe dimostrare che la caduta è imminente o confutarla.»
«Ma è proprio quello che non posso fare: trovare delle prove se non ce ne sono, applicare un sistema matematico inapplicabile. Non posso trovare due numeri pari che diano come somma un numero dispari... per quanto lei o tutta la galassia possiate averne bisogno.»
«Be’, allora fa parte della decadenza. È disposto ad accettare il fallimento.»
«Che scelta ho?»
«Tentare. Forse le sembrerà uno sforzo inutile, ma nella vita non ha di meglio da fare. Non esistono mete più degne, scopi più nobili, nemmeno a suo giudizio.»
Seldon sbatté le palpebre. «Milioni di mondi. Miliardi di culture e di persone. Trilioni di interrelazioni... E lei vuole che ordini sistematicamente tutto questo.»
«No, voglio che tenti. Per il bene di quei milioni di mondi, di quei miliardi di culture e di persone. Non per l’imperatore, non per Demerzel. Per l’umanità.»
«Fallirò.»
«In tal caso le cose resteranno come sono, non peggioreranno certo. Ci proverà?»
E contro la propria volontà, senza sapere perché, Seldon si scoprì a rispondere: «Proverò». E il corso della sua vita fu segnato.