L’eroe in trincea
Ernesto Lino Sala Rosa (1894-1917)
Al Bologna dal 1912 al 1915; 21 presenze ufficiali.
Esordio in campionato: 3-11-1912, Volontari Venezia-Bologna 4-1
Alla guerra come sul campo da calcio e viceversa. Non c’è mai stato un confine preciso tra baionetta e pallone nella vita di Ernesto (detto anche Emilio) Sala Rosa, uno dei quattordici caduti rossoblù, tra soci e calciatori, della Prima guerra mondiale. Combattivo quando c’era da difendere la linea difensiva, indomabile in trincea. Impossibile dargli un ruolo, nel campo e nella vita, se non quello di jolly. Correva dove c’era bisogno, sempre al servizio degli altri. Era nato il 22 dicembre 1894 a San Prospero di Suzzara, provincia di Mantova. A Bologna era capitato nell’epoca del calcio dei pionieri. E lui lo fu, a tutti gli effetti. Troppo giovane per essere ammesso al consesso dei fondatori, entrò in prima squadra nel 1912, esordendo in una sfortunata uscita del Bologna a Venezia. L’anno seguente, però, fu subito promosso titolare. Difensore, centrocampista, alla bisogna pure attaccante. Sala Rosa si prodigò in lungo e in largo per i rossoblù. Ma la guerra divampò e fatalmente lo richiamò alle armi. Fu arruolato come soldato semplice nella sanità: i primi mesi di guerra lo portarono in servizio a Lugo, lontano dal fronte, ma abbastanza vicino a Bologna, ragion per cui alla domenica era d’abitudine vederlo salire sul treno, esibire il tesserino da militare e scendere nel capoluogo, per tornare a giocare gli incontri amichevoli organizzati con squadre allestite lì per lì. Poi, da aspirante ufficiale nel Sesto Reggimento Alpini, arrivò l’ora di partire per le trincee. Il 4 dicembre 1917, durante la fase di sganciamento delle truppe italiane dal complesso montuoso delle Melette, poco dopo lo sfacelo di Caporetto, Sala Rosa si trovò impegnato in una difficile operazione di riconquista delle armi, lasciate sul terreno per improvviso attacco del nemico austriaco. Chissà se in quel momento, mentre veniva colpito una prima volta, e nonostante ciò avanzando spedito verso l’obiettivo, pensò alla circostanza fatale che lo aveva portato proprio lì, in quel preciso punto del mondo. Sì, ricordava tutto alla perfezione: era sceso a Bologna per un permesso premio, ma quando aveva saputo della disfatta italiana era stato travolto dal senso di colpa per non essere là. Era salito sul primo treno e aveva raggiunto i suoi commilitoni prima della fine della licenza. Li attendeva la difesa del Monte Badenecche, sull’Altopiano di Asiago. Ecco perché era stato colpito, né più né meno che per quel motivo. I primi proiettili l’avevano ferito ma non ucciso. Sala Rosa fece com’era abituato a fare in campo: avanzò, a dispetto di tutto, agguantò le sue armi e solo quando seppe di averle saldamente in mano, cadde esanime, colpito a morte. «Caro Angiolino», aveva scritto pochi giorni prima al suo compagno di squadra, il coetaneo Angelo Badini, «perdona se fino ad ora non ti ho scritto come avrei desiderato ma tu facilmente ne avrai compreso la ragione. Ormai da un mese con sublime valore gli alpini (i veri soldati d’Italia), combattono strenuamente per l’inviolabilità del sacro suolo della Patria […]. Ora cominciano ad affluire Brigate fresche di Fanteria e Bersaglieri a darci il cambio nell’immane compito; noi siamo stanchi benché il cuore generoso vorrebbe dare di più. Ad ogni modo il morale è sempre più alto e questo non verrà intaccato ne [sic] dal fango delle trincee ne dagli innumerevoli pidocchi ne dalla fame ne dal freddo. Una cosa volevo dirti giacché tu possa gridarla dappertutto: ricordati che l’offensiva austro-tedesca-bulgaro-turca fu arrestata da noi italiani e da noi soli, che sull’intera fronte non si è ancora visto ne un soldato francese ne un’inglese. Questo io te lo dico perché io so da fonte sicura che in Italia si crede che l’offensiva sia stata arrestata grazie agli aiuti dei nostri alleati, io non dico che questi non giungano, ma per ora non se ne sono visti. Dì [sic] a Nicolai che Sala è sempre Sala. Rispettosi saluti alla tua famiglia, Lino Sala». La lettera arrivò quando Sala era già morto. Fu laureato ad honorem il 9 gennaio 1919 in Ingegneria.