Il lavandaio di via Siepelunga
Felice Gasperi (1903-1982)
Al Bologna dal 1921 al 1938; 404 presenze ufficiali.
Esordio in campionato: 6-11-1921, Bologna-Juventus 1-1
Il terzino che ha segnato gli anni Venti e Trenta del Bologna non aveva le origini altolocate dei fondatori rossoblù, quasi tutti studenti stranieri o avviati professionisti che praticavano calcio per diletto. Felice Gasperi era di umilissima estrazione e non lo nascondeva: quando non correva per Hermann Felsner, il suo scopritore, saettava su e giù per via Siepelunga con un carico di panni sporchi appena ritirati e compiva il percorso inverso per riconsegnarli puliti. In una parola: lavandaio. Da quel mestiere senza pretese aveva tratto l’abitudine di indossare anche in campo una vistosa bandana bianca, con cui si proteggeva dal sole e soprattutto, come amava ripetere, dalle cuciture di cuoio del pallone. Di certo quell’ornamento lo rese inconfondibile nella memoria dei contemporanei, che si divertivano a vedere il loro campione bardato come un pirata. Gasperi, in effetti, era un vero irriducibile. Per il suo modo di avventarsi sulla palla era stato ribattezzato “tubo di gelatina”, ma per gli amici era semplicemente “Gisto”. In carriera non ebbe altre squadre che il Bologna, né forse le avrebbe desiderate. Iniziò con i Boys, la squadra delle riserve, al fianco di Angelo Schiavio, e di fatto i loro esordi furono contigui, nella settimana che portava al San Silvestro del 1922. Curiosamente, a Gasperi toccò una radicale inversione di ruolo: fu Felsner a trasformarlo in terzino da attaccante che era. Ebbe ragione, come quasi sempre accadeva. In quel ruolo andò infatti a costruire un muro difensivo che si sarebbe arricchito con il portiere Gianni, l’altro terzino Borgato (e poi Monzeglio) e Baldi. Caparbietà, istinto, voglia di dar battaglia: c’era tutto in quel Bologna, e Gasperi era l’incarnazione sociale, prima ancora che caratteriale, di questa attitudine al sacrificio. Vinti quattro scudetti, due Coppe dell’Europa Centrale, il Torneo dell’Esposizione di Parigi (e pure un bronzo Olimpico ad Amsterdam), Gasperi capì che era venuto il momento di farsi da parte e comunicò ad Árpád Weisz che da quel momento sarebbe stato giusto cedere definitivamente il suo posto al promettente Mario Pagotto. Durante la sua lunghissima gittata rossoblù resse anche il colpo della perdita del figlio di sette anni che alla scuola “Laura Bassi” condivideva il banco con il futuro artista Wolfango Peretti Poggi. Nel dopoguerra si reinventò commerciante di vini e non si parlò più di lui per motivi attuali, se non per un alterco con Gino Cappello dopo una sconfitta con il Milan. Fu ricoverato nel 1982 in una clinica di Città Sant’Angelo, vicino Pescara. Il 23 maggio, nel giro mattutino delle stanze, trovarono deserta la sua. Gli infermieri dovettero uscire a cercarlo, pensando a una fuga. Ma si sbagliavano. Gasperi era uscito in aperta campagna e lì si era spento, accovacciato sul ciglio di una stradina. Forse aveva rivisto in quel sentiero sterrato una scena della sua gioventù, raccontata proprio da Wolfango, quando in via Siepelunga «si poteva vedere un uomo di mezz’età gravato da un enorme fagotto bianco a mo’ di palla. Scendeva da questa strada, che era attorniata dalla campagna, e proveniva da un villaggio fatiscente, a circa trecento metri. Sulla strada polverosa collinare l’ingresso era segnato da un piccolo arco campestre. Tutto attorno prati costellati di pali collegati con fili. Era il regno dei lavandai».