Il jolly dello scudetto
Bruno Capra (1937-)
Al Bologna dal 1955 al 1965; 178 presenze ufficiali.
Esordio in campionato: 20-5-1956, Bologna-Roma 1-0
Quel nomignolo da cow boy suonava bene su un bambino che era stato in America: lo chiamavano “Johnny” perché prima di trasferirsi a Bolzano la famiglia di Bruno Capra aveva vissuto a Pittsburgh, in Pennsylvania. “Johnny” gli rimase appiccicato sempre, tanto più dopo il 7 giugno 1964, quando nello spareggio scudetto tra Bologna e Inter Capra s’incarnò nel capolavoro tattico di Bernardini, un terzino al posto di un’ala. Pascutti era infortunato, e a Johnny toccava imbrigliare Corso e Facchetti. Gli riuscì alla perfezione. Fogli e Nielsen fecero il resto. Bruno Capra era nato a Bolzano, figlio di un ferroviere, e lì aveva cominciato a giocare. Fu comprato dalla Spal per sette milioni di lire, ma non passò le visite mediche perché quel giorno aveva la tonsillite e i valori risultarono sballati. Ne approfittò il Bologna, che offrì quattro milioni, fece curare le tonsille di Capra e consegnò a Gipo Viani un giocatore fatto e finito. In rossoblù sarebbe rimasto dieci anni, non sempre in prima linea, ma collezionando comunque 145 presenze in campionato e una trentina nelle varie coppe. Paolo Mazza, il presidente della Spal, anni dopo gli confessò: «T’avevo pagato sette milioni e ti potevo rivendere a trenta». Fulvio Bernardini invece gli dava sempre del lei. Anche quando, alla vigilia della partita più importante, gli comunicò a bruciapelo che sarebbe stato titolare al posto dell’infortunato Pascutti. «Johnny domenica gioca lei», disse lapidario il giovedì dopo l’allenamento. «Come gioco io?», rispose il terzino, «E Renna? Guardi che si mette a piangere». Ma Bernardini non volle sentire obiezioni: «Ho in mente una mossa e quel gioco lì lo può fare solo lei». Missione compiuta. A Capra, come segno di gratitudine, il tecnico del Bologna regalò una Fiat 500. Ma dopo lo scudetto a Johnny non rimasero molte altre ribalte. Fu ceduto al Foggia, con cui segnò anche ai suoi vecchi compagni (lui che al Bologna aveva realizzato un solo gol in dieci anni). Chiuse con il calcio nel 1969, senza più superare il picco di notorietà che gli aveva dato quel pomeriggio leggendario dell’Olimpico con la maglia numero 11. Dopo il ritiro, non ha più partecipato ad alcuna celebrazione, ricorrenza o adunata di vecchie glorie. Fino al 2014, il mezzo secolo dello scudetto, non ha voluto rilasciare nemmeno un’intervista su quei tempi. «Il calcio», disse rompendo il silenzio con «la Repubblica», «è stato solo una parentesi della mia vita».