Il cinese
Alberto Pozzi (1902-1966)
Al Bologna dal 1920 al 1929; 204 presenze ufficiali.
Esordio in campionato: 31-10-1920, Bologna-Virtus Bologna 2-1
Sulle figurine della cioccolata Lurati la faccia di Alberto Pozzi aveva qualcosa di inconfondibile e insieme di inquietante. Qualcosa che giustificava il soprannome “al cinais” (il cinese) affibbiatogli all’inizio della sua avventura in rossoblù, nel 1920-21. Perché cinese? Bruno Roghi de «La Gazzetta dello Sport» lo spiegava per «la sua pelle olivastra e l’obliquità del suo sguardo sardonico, un giocatore rude e malandrino», con «una furia selvatica», aggiungeva Francesco Arcangeli. Pozzi era nato a Bologna il 21 novembre 1902. Studente e poi geometra, come tanti della sua generazione s’era avvicinato al pallone di cuoio attraverso una delle sezioni calcistiche delle polisportive bolognesi, nel suo caso la Fortitudo, squadra in cui militò quasi in contemporanea anche il futuro goleador rossoblù Angelo Schiavio. Pozzi fu notato perché sapeva calciare straordinariamente bene sia con il destro sia con il sinistro e per questo motivo, quando approdò al Bologna, fu spostato indifferentemente su entrambe le fasce. A notarlo fu Angelo Badini, tanto talentuoso in campo quanto abile nel riconoscere l’altrui valore. Poco prima di andarsene prematuramente, l’aveva segnalato a Hermann Felsner, che non si fece ripetere il consiglio. Pozzi era proprio l’ala che serviva all’idea di calcio all’austriaca del nuovo Bologna: veloce, ubriacante, rabbioso, perfettamente integrato con il gioco dei bomber Giuseppe Della Valle e Angelo Schiavio. La sua serpentina disorientante gli era valsa an che il soprannome dialettale di “Zinzela” (zanzara), in quanto pungente, rapido e sempre fastidioso per gli avversari; ma molti tifosi continuavano a chiamarlo confidenzialmente “il cinese”, anche perché negli anni il colorito olivastro e gli occhi a fessura diventarono ancora più accentuati. Le sue prestazioni gli procurarono anche la chiamata in Nazionale a soli vent’anni, nel 1922, ben prima che il Bologna diventasse uno dei principali serbatoi della leva azzurra. I sogni di Alberto Pozzi si infransero il 17 marzo 1929 allo Stadio Militare dell’Arenaccia, che per sette anni fu la casa del Napoli (nel 1923 era stato inaugurato con una corrida: al temerario di turno era data la possibilità di strappare dal dorso di un toro una coccarda contenente 500 lire). Probabilmente a Pozzi quel giorno maledetto parve proprio di essere travolto da un toro, quando al 35° minuto Vittorio Ramello gli franò addosso devastandogli un ginocchio. Così calò il sipario su una carriera sfolgorante, durata nove anni ininterrotti in più di duecento presenze ufficiali corredate da 46 gol. Alla fine di quella stagione il Bologna avrebbe vissuto i suoi mesi più esaltanti e divertenti: lo scudetto vinto a Roma contro il Torino, la tournée di cinquanta giorni in Sudamerica, i viaggi transoceanici, le prime partite in notturna in Brasile. Tutto questo fu negato a uno dei calciatori che più avrebbero meritato di esserci.