Il caratteraccio
Francisco Fedullo (1905-1963)
Al Bologna dal 1930 al 1939; 279 presenze ufficiali.
Esordio in campionato: 28-9-1930, Bologna-Triestina 6-1
Riottoso, geniale, istintivo. Francisco Fedullo è stato il perfetto personaggio letterario che ci si sarebbe aspettato da un sudamericano dal sangue bollente. Del resto, la sua avventura a Bologna nacque grazie a un pugno rifilato a un arbitro. Nato a Montevideo da genitori di origine salernitana, divideva il suo tempo tra il calcio e un modesto impiego presso una fabbrica di pantofole. Già nel 1929, un anno prima del suo approdo in Italia, era stato notato e segnalato dal talent scout Ivo Fiorentini al dirigente rossoblù Enrico Sabattini. Il tecnico Hermann Felsner, invece, ebbe occasione di conoscerlo durante la tournée sudamericana del Bologna, proprio in quel 1929. Ma l’offerta rossoblù non convinse Fedullo. Poi, il fattaccio che cambiò il suo destino e anche quello del Bologna: durante una partita di campionato la mezzala colpì in pieno volto l’arbitro, rimediando squalifica a vita con effetto immediato. Sembrava finita, ma la vittoria ai Mondiali della Nazionale uruguaiana sancì un’amnistia per tutti gli squalificati come lui. Ottenuta la grazia, a condizione che non giocasse più nella capitale, Fedullo si ricordò dell’offerta del Bologna, ancora validissima. Al suo arrivo gli scettici di mestiere storsero il naso per una certa lentezza di passo. Ma era solo il fisiologico adattamento di un campione pronto a impadronirsi subito delle chiavi del gioco. I passaggi calibrati, il fiuto per il gol (53 ne metterà a segno in 9 stagioni a Bologna), la potenza del tiro. Tutte queste caratteristiche gli valsero già nel 1932 la chiamata in Nazionale. E qui, ahilui, tornò fuori il caratteraccio che lo aveva inguaiato nel suo paese. Subito dopo aver segnato una sconvolgente tripletta all’esordio contro la Svizzera, Fedullo fu avvicinato dal commissario tecnico della Nazionale Vittorio Pozzo, che in quel preciso momento, però, esercitava la funzione di inviato de «La Stampa». L’uruguaiano non lo sapeva. E alla domanda «Come ha fatto a segnare tre gol?» rispose in malo modo. Pozzo se lo ricordò per sempre. Passò un anno, prima che Fedullo venisse richiamato (per l’ultima volta) in azzurro. Si consolerà con il Bologna tre scudetti in quattro anni, e altrettanti trofei europei, ovvero le due Coppe dell’Europa Centrale e il Torneo Internazionale dell’Esposizione Universale di Parigi del 1937. Due anni prima aveva rischiato di divorziare bruscamente dal Bologna per l’ennesimo colpo di testa. A nove domeniche dalla fine del campionato 1934-35, forse sobillato da Raimundo Orsi della Juventus, che aveva in mente lo stesso piano di fuga, Fedullo lasciò improvvisamente la città. Si scoprì che s’era imbarcato senza permesso sul transatlantico Neptunia, ufficialmente per far visita al padre moribondo. Un telegramma strappalacrime convinse Dall’Ara ad accettare il suo pentimento. A una condizione: che prima di rientrare da figliol prodigo in Italia segnalasse un talento uruguaiano di sicuro avvenire. Fedullo non ebbe difficoltà a rintracciare Miguel Andreolo, e insieme si presentarono a Bologna. Il primo con una colpa da emendare, il secondo senza la minima certezza di esser messo sotto contratto. Ma proprio grazie a quella fuga il Bologna costruì l’impalcatura della squadra destinata a trionfare nella seconda metà degli anni Trenta, rendendo il Littoriale un campo inespugnabile (dal 9 ottobre 1938 al 2 novembre 1941 per 43 partite consecutive il Bologna non subirà mai una sconfitta casalinga). Renato Dall’Ara amava i sudamericani, ma sapeva di non potersi fidare di loro, ad eccezione dell’amatissimo Raffaele Sansone. Arrivò così il giorno in cui Fedullo sparì veramente dalla circolazione. Accadde verso la fine di giugno del 1939, quando i venti di guerra cominciavano a soffiare in tutto il continente. Il Bologna aveva appena perso, e male, in Romania contro il Venus Bucureşti in una gara di Coppa dell’Europa Centrale. Fu l’ultima volta in cui Fedullo fu visto in campo. Pochi giorni dopo non si ebbero più notizie di lui. Riapparve in Uruguay, trovando lavoro come impiegato alle poste. Dal suo nuovo ufficio scrisse molte volte in Italia, confessando la sua voglia di tornare a Bologna. Ma non fece in tempo a realizzare il suo desiderio. Nel 1963 un male incurabile si portò via il suo genio e la sua sregolatezza, assieme ai ricordi di un Bologna praticamente invincibile.