Forchetta infida

Silva Geovani (1964-)

Al Bologna nel 1989-90; 28 presenze ufficiali.

Esordio in campionato: 6-9-1989, Udinese-Bologna 1-1

Il flop del brasiliano Enéas nel 1980 non fu un deterrente abbastanza forte da impedire al Bologna di ritentare, nove anni dopo, la carta verdeoro al tavolo del calciomercato. Nell’estate 1989 il presidente Luigi Corioni si lasciò sedurre da un regista brevilineo che s’era segnalato al Vasco da Gama in compagnia di due fenomeni assoluti come Romário e Roberto Dinamite. Il suo nome era Geovani Silva, il prezzo del cartellino una mezza manovra finanziaria: 9 miliardi di lire. Una follia. Ma in quel 1989, forse complice il pericolo scampato della retrocessione e la voglia di pensare in grande, Corioni non badò a spese. Del resto, da quel Bologna se n’era appena andato Eraldo Pecci, il cervello pensante della squadra. E il suo addio, pare motivato da un’offerta di rinnovo al ribasso, doveva esser fatto dimenticare in fretta. Dire Brasile vuol dire euforia. Senza nemmeno averlo mai visto palleggiare, il pubblico bolognese s’eccitò subito all’idea di poter scrutare le giocolerie di un nuovo sudamericano. L’occasione arrivò prima del previsto. In luglio la nazionale brasiliana intraprese una tournée europea in preparazione ai Mondiali italiani del 1990. Fu un rodaggio disastroso: allibiti, i tifosi rossoblù assistettero alla disfatta di Geovani e compagni (4-0 dalla Danimarca, 2-1 dalla Svezia, 1-0 dalla Svizzera, pareggio contro il Milan di Sacchi). Era questo il fenomeno costato 9 miliardi? Nessuna paura, tranquillizzò Corioni. Geovani era pur sempre il miglior talento sfornato dalle Olimpiadi di Seoul del 1988. E in un anno soltanto il talento non se ne va di certo per traspirazione. La presentazione fu degna della grancassa suonata prima del suo atterraggio: «Ecco a voi uno dei tre migliori giocatori al mondo», frase pronunciata veramente, in quei giorni di delirio, senza pensare che nel 1989 galoppavano già da tempo Baggio, Van Basten e Maradona. In ogni caso, attorno a Geovani si concentrarono tutte le residue speranze di grandeur della piazza bolognese. Nacquero pure i “Testimoni di Geovani”, setta domenicale che dovette presto sconfessare il nuovo idolo per palese latenza di risultati sul campo. A frenare l’inserimento del brasiliano fu anche la malaccorta idea di parcheggiarlo in un appartamento confinante con quello di una sfoglina, tale signorina Orianna, responsabile occulta di un numero imprecisato di cene e pranzi fuori orario. Vera o verosimile che fosse questa leggenda, è certo che Geovani non arrivò mai a raggiungere un peso forma ideale. Cosa che non gli impedì, comunque, di compiere prodezze memorabili, come il gol-saetta da quaranta metri in casa della Fiorentina, che valse una vittoria mai più ripetuta per i successivi vent’anni. Briciole rispetto alle aspettative che Corioni e l’allenatore Maifredi avevano riposto in lui, confidando che la squadra di ex campioni, da Bruno Giordano ad Antonio Cabrini fino a Massimo Bonini, avrebbe favorito il suo ambientamento nel calcio italiano. La mancata convocazione da parte del commissario tecnico Lazaroni ai Mondiali del 1990 fu la certificazione del fallimento bolognese. Vent’anni dopo è riapparso al Dall’Ara per festeggiare il secolo del Bologna assieme a tanti ex campioni. Sorridente, entusiasta della vita dopo essersi salvato da una grave polineuropatia, chiese persino al club di poter collaborare come osservatore per il Brasile. Non se ne fece nulla.