L’angelo dell’altro mondo
Angelo Badini (1894-1921)
Al Bologna dal 1913 al 1921; 43 presenze ufficiali.
Esordio in campionato: 19-10-1913, Hellas Verona-Bologna 8-2
La Grande Guerra s’era già portata via sette giocatori, tra cui i campioni Guido Della Valle e Guido Alberti. Nessuno era preparato alla tragedia che incombeva già all’alba del 1921, quando il 12 febbraio a ventisette anni non compiuti Angelo Badini spirò nel letto di casa per una tonsillite setticemica. Fu un lutto cittadino con risonanza nazionale. Il giorno seguente ne scrisse anche «La Gazzetta dello Sport», perché l’astro di questo centromediano s’era fatto ammirare anche alla Unione Sportiva Milanese, mentre il fratello minore Emilio, noto come Badini II, era già inserito nel giro della Nazionale. Modi cavallereschi in un volto birichino da bohémien, Angiolino non aveva bisogno di conquistare la simpatia di nessuno: lui era la simpatia. In campo, con le doti di trascinatore naturale, che lo avevano eletto anima e bandiera del primo Bologna di Hermann Felsner; in famiglia, educando alla disciplina i due fratelli calciatori, Emilio e Augusto, il fratellino Cesare e le altre tre sorelle; in società, dove si faceva apprezzare per i suoi studi all’Accademia delle Belle Arti. Il suo “Sveglia!”, gridato ai compagni nei momenti di difficoltà, era diventato un motto di ordinanza durante le partite allo stadio Sterlino, che dopo la sua morte fu ribattezzato “Campo Angelo Badini”. La famiglia Badini era originaria di Bologna ma aveva messo radici a Rosario, in Argentina. È lì che il 23 settembre 1894 nacque Angelo, figlio di Giuseppe Badini, stimato ingegnere di edilizia civile: dai suoi progetti nacquero ospedali, asili, scuole, banche e uffici. Benefattore e filantropo, socio perpetuo del Club Alpino, tornò nella città natale con la famiglia dopo aver fatto fortuna per 25 anni in Sudamerica. Quando Angelo si ritrovò in quel paese ancora sconosciuto che era l’Italia, non era digiuno di calcio. Nel 1912 aveva già giocato qualche partita con l’Atletico Sparta, una delle squadre di Rosario. Anche per questo già nel 1913-14 fu ammesso tra le prime linee rossoblù, arrivando a segnare sei gol in appena undici apparizioni. Il suo calcio era istintivo, univa tecnica innata e foga agonistica. Poi con l’arrivo di Felsner dovette disciplinarsi e diventare un metodista classico. A cavallo della prima grande rivoluzione calcistica, tra un’epoca tatticamente “anarchica” e i primi schemi studiati, Badini riuscì comunque a mantenere la sua centralità. Molti lo considerano il primo grande giocatore in senso moderno del Bologna. Di sicuro fu una fiamma preziosa per tener viva la passione per il calcio in tempo di guerra, addestrando tutti i futuri campioni degli anni Venti, la generazione di Baldi, Genovesi, Pilati e Giuseppe Della Valle. Ecco perché la sua morte, che colse di sorpresa tutti, familiari, amici e compagni, scosse dalle fondamenta l’intera società sportiva. L’ultima partita in cui tuonò il suo “Sveglia!” fu il 9 gennaio 1921, durante la pausa invernale del campionato. In pochi giorni si ammalò: prima la febbre, poi una debolezza incompatibile con il suo carattere pirotecnico, infine la diagnosi di setticemia. Quando il male sembrava debellato – riuscì ad alzarsi sul letto quando seppe che i compagni avevano battuto il Modena 10-1 – si aggravò all’improvviso di nuovo, e all’ora di cena del 12 febbraio morì gettando tutti nello sgomento. Il lunghissimo corteo con la bara del campione percorse Via Rizzoli, Via Ugo Bassi, Piazza Malpighi e Via Andrea Costa fino alla Certosa, dove tutt’oggi il suo monumento funebre – un bel ritratto di marmo con la divisa da calcio del Bologna – si fa spazio in mezzo alle statue dei genitori. «Triste ora, malinconico distacco», declamò la sua orazione funebre il poeta-tifoso Giuseppe Lipparini. «Chi di noi avrebbe immaginato così vicino lo strazio di questo istante? Il Destino lascia in vita vecchi cadenti ed acciaccati per i quali la morte sarebbe l’unico sollievo e si lancia crudelmente sulle vite di giovani, amati, cui tutto sorride! È morto un artista, la cui passione per lo sport era concepita come scuola di elevazione morale e non come gioco. E tale sua anima artistica egli portava nel gioco, e tale passione imprimeva nei compagni». Poi, rivolgendosi alla famiglia, aggiunse: «A voi Angiolino direbbe: Fratelli, non pianti, non lamenti. Oggi e sempre mostratevi degni di me, amatevi, amate il vostro club e portatene il vessillo alle più alte vittorie». Proprio come sarebbe accaduto da lì a pochi anni. Il primo scudetto fu dedicato alla sua memoria.