La cavalcata in cappotto

Renzo Ulivieri (1941-)

Allenatore dal 1994 al 1998 e dal 2005 al 2007

La sua vocazione per le promozioni difficili spinse Giuseppe Gazzoni a rivolgersi a lui, quando nel 1994 il Bologna stagnava ancora in serie C, dopo aver perso i play off con la Spal, non senza il contributo di un discutibile arbitraggio. La missione era rischiosa, ma Renzo Ulivieri era indubitabilmente l’uomo perfetto, almeno sulla carta. Cinquantatré anni, di cui trentacinque spesi nel calcio, un passato di macerante gavetta sui campi toscani dei dilettanti, della serie C e delle giovanili viola, fino al gran salto di fine anni Settanta, tra Terni, Perugia, Vicenza, Sampdoria (portata dalla B alla A) e Cagliari. Nel 1986 era stato coinvolto in uno strascico dello scandalo scommesse, materia di cui si professò sempre estraneo, ma che non gli evitò tre anni pieni di squalifica. La sua forza fu quella di resistere all’inedia e di tornare più forte, prima a Modena (dove ottenne una promozione in B grazie a una difesa di ferro, 9 reti in 34 gare, record tuttora imbattuto) e poi ancora a Vicenza, replicando l’impresa. Uomo spigoloso, di radicata coscienza comunista, poco incline ai facili entusiasmi, a Bologna mise subito radici, compensando il carattere schivo del direttore sportivo Oriali e quello aristocratico del presidente Gazzoni. La squadra, in verità, era una corazzata: Bergamo in regia, Nervo-Bresciani-Morello il tridente offensivo; Tarozzi, De Marchi, Presicci e Pergolizzi la linea di difesa. La promozione arrivò addirittura con quattro turni d’anticipo. L’anno seguente la concorrenza si fece più serrata. Ma la macchina rossoblù aveva già preso a ingranare sul fronte mercato: dalla lista disoccupati era arrivato Michele Paramatti, ex Spal, laborioso terzino sinistro di corsa; al centro della difesa s’era poi aggiunto Stefano Torrisi, un passato a Modena con Ulivieri e al Ravenna; fondamentale anche l’acquisto di Antonioli, deluso dal mancato exploit al Milan, ma desideroso di un riscatto che l’avrebbe riportato in pochi anni ai vertici del calcio italiano. La partenza fu lenta a causa del cambio di modulo e del salto di categoria. Ma già al girone d’andata i rossoblù s’erano portati al secondo posto. Ulivieri fu bravo a smorzare i trionfalismi di una piazza incline ad ingigantire le emozioni. Gazzoni fece il resto ricordando che il Bologna, fino a quel momento, era primo solo negli ingaggi. La marcia inarrestabile ricominciò a fine marzo, con nove risultati utili consecutivi culminati con la vittoria all’ultimo respiro sul Chievo, che garantì la serie A con un turno d’anticipo. La vittoria esterna sul Cosenza, all’ultima giornata, assicurò invece il primo posto per l’incasso pieno della posta. Ulivieri aveva fatto il miracolo e non era certo merito del suo pesante cappotto di lana blu, il talismano da cui non si era mai separato nemmeno nei mesi più caldi. L’impatto con la serie A, per una squadra che fino a due anni prima se la giocava con il Leffe e con il Palazzolo, fu un altro passaggio delicatissimo. Ulivieri fu chirurgico nelle richieste, senza rinunciare alle ambizioni. Il mercato portò Davide Fontolan, Giancarlo Marocchi, i due Igor russi, Shalimov e Kolyvanov, e soprattutto l’ariete offensivo che mancava, lo svedese Kennet Andersson. Con una squadra nuova di zecca, ma già idealmente rodata dalle esperienze dei singoli che la componevano, il Bologna arrivò a scalare il settimo posto al giro di boa e salì addirittura al terzo, per una domenica, dopo aver travolto il Verona 6-1, prima di ritornare al definitivo e onorevolissimo settimo posto, traguardo insperato per una neopromossa. Le ambizioni erano insite in quel gruppo. E il primo ad averle era proprio il presidente Gazzoni, colui che quattro anni prima era sceso in campo per puro spirito civico. Ma il salvataggio del Bologna era diventata una faccenda assai più seria. Lo si capì quando, contro il parere di Ulivieri, si presentò all’estate 1997 con il colpo della vita: Roberto Baggio. L’ex Pallone d’Oro cercava rilancio dopo la deludente esperienza milanista. Il Bologna glielo offriva pagandolo due miliardi l’anno. I botteghini esplosero (27.336 abbonati), al ritiro di Sestola non si riusciva a camminare nel raggio di cinquecento metri dal campo d’allenamento. A Ulivieri quella febbre improvvisa non piaceva. Lui era il custode e il garante della crescita graduale del gruppo, della sua integrità. Non voleva né primedonne né solisti e lo disse chiaramente, con una provocazione che passò alla storia: «Con Baggio si va in B». Fu la prima volta in cui a Bologna si sbagliò grossolanamente. La frattura con Gazzoni era ormai consumata. A fine stagione arrivò la qualificazione all’Intertoto, il torneo che garantiva tre accessi alla Coppa Uefa. Ma a raccoglierne i frutti fu Carlo Mazzone. Ulivieri e Baggio salutarono insieme la compagnia, il primo perché aveva capito che s’era chiuso un ciclo, l’altro perché l’Inter gli offriva la possibilità di vincere quello che ancora non aveva vinto in carriera. Ulivieri tenterà di ripetere il tocco magico nel 2005, quando fu chiamato da Alfredo Cazzola per riportare in serie A il Bologna. Ma quella non era più la sua squadra: altri l’avevano scelta per lui. Esonerato, fu richiamato quando la parabola di Mandorlini s’infranse contro risultati modestissimi dopo appena dodici giornate. Chiuse al meglio delle sue possibilità, senza centrare i play off, ma dimostrando di aver ripreso in mano il timone. L’anno seguente era quello della super serie B con Napoli, Genoa e Juventus favoritissime, per non dire predestinate, alla promozione. Il Bologna era il quarto incomodo, ma il posto era riservato a soli tre commensali. La sconfitta con la Juventus del 19 dicembre 2006, ancora una volta viziata da enormi sviste arbitrali, fece capire ai rossoblù quanto salato fosse il pane della cadetteria. Ma intanto anche i rapporti tra Cazzola e Ulivieri erano esplosi. Dopo un pareggio con il Mantova, andò in scena quasi in presa diretta un litigio plateale tra presidente e allenatore. Due giorni più tardi Cazzola si presentò in televisione raccontando quanto era successo: «Sono stato offeso. Al di là del fatto che ce n’era abbastanza per licenziarlo in tronco, il rapporto è rotto. Ora Ulivieri resta al suo posto e ci porta in serie A. Se non lo farà sarà colpa sua. Contro il Mantova siamo stati imbarazzanti. Dopo sette mesi non sappiamo ancora qual è la formazione tipo. E comunque i rapporti umani con lui sono finiti. Restano quelli professionali». Non ancora per molto, in realtà. Dopo due pesanti sconfitte con Napoli e Genoa, che decretarono di fatto la fuga delle rivali verso la promozione diretta, il 14 aprile Ulivieri venne esonerato per l’ultima volta. E per completare lo smacco, Cazzola affidò la panchina al suo vice, Luca Cecconi, il bomber con cui Ulivieri aveva costruito la sua prima promozione in rossoblù.