Il primo gol dell’ex
Cesare Alberti (1904-1926)
Al Bologna dal 1920 al 1923; 45 presenze ufficiali.
Esordio in campionato: 24-10-1920, Spal-Bologna 0-3
Anche se la morte lo sorprese a ventidue anni non compiuti, Cesare Alberti riuscì nell’impresa di vivere due volte, diventando cavia della prima operazione chirurgica al menisco d’Italia, un intervento che lo restituì al campo e che tuttavia, nello spietato scacchiere delle coincidenze, lo portò incontro al suo tragico destino. Il primo vero bomber della storia rossoblù (32 gol in 45 partite dal 1920 al 1922) era nato a San Giorgio di Piano il 30 agosto 1904. A soli 16 anni aveva già esordito con la maglia del Bologna, segnando un gol nella vittoria per 3-0 sulla Spal. L’intuito di Hermann Felsner non sbagliava mai e aveva puntato subito su quel ragazzino, imberbe ma predestinato. Benché dotato di eccezionale talento, Alberti non aveva comunque bisogno di presentazioni. Suo fratello maggiore era infatti Guido Alberti, mezzala rossoblù dal 1912 al 1915 e poi sottotenente del 48º Reggimento di artiglieria da campagna, morto non in trincea ma all’ospedale militare di Padova, probabilmente a causa della febbre spagnola, che completò l’opera delle ferite riportate in battaglia. A un passo dalla convocazione in Nazionale, nel 1922 Cesare salì per la prima volta sulla giostra delle fatalità. Era il 12 novembre, Bologna-Cremonese, prima partita casalinga dopo l’interruzione dei campionati dovuta alla Marcia su Roma. Un brutto calcio al ginocchio lo fece stramazzare a terra. Alberti si rialzò, rientrò in campo dopo 12 minuti ma all’inizio della ripresa fu costretto a dare forfait. Sembrava una semplice contusione, ma un mese dopo, tornando in campo contro il Derthona, si dovette arrendere definitivamente. La diagnosi non lasciava scampo: rottura del menisco. Negli anni Venti un infortunio del genere equivaleva alla fine di ogni velleità sportiva. Non dappertutto, però. In Inghilterra erano già stati segnalati molti casi di riabilitazione completa a seguito della rimozione della cartilagine. Tecnica complessa, che solo pochi chirurghi in Italia avrebbero potuto eseguire, ma nessuno di questi s’era ancora spinto a provarci. Fu l’intuito di un allenatore inglese, William Garbutt, alla guida del Genoa già dal 1912, a suggerire di tentare l’impossibile. Il trainer convinse la società a tesserare Alberti, che nel frattempo era stato liberato dagli obblighi con il Bologna, e coinvolse nella folle idea il chirurgo Federico Drago, socio del Genoa e luminare di ortopedia. Il suo campo di studio erano le nuove tecniche operatorie sulle articolazioni. Era la prima volta in Italia che si tentava questo intervento su un giocatore di calcio. A più di un anno di distanza dalla sua ultima partita giocata, Alberti decise di rischiare. Non erano scontati né l’esito dell’operazione, che avrebbe potuto mettere a repentaglio persino l’uso dell’arto, né tantomeno il ritorno in campo. E invece, per lo stupore della platea italiana che aveva cominciato a dimenticarsi di quella parabola sportiva brutalmente troncata, il bolognese tornò in campo a pochi mesi dalla rimozione del menisco. «L’esperimento più interessante», annotò «La Gazzetta dello Sport», «sarà l’inclusione di Alberti, il valoroso centre-forward [centravanti, nda] del Bologna. È noto che questo fortissimo giocatore è assente da oltre un anno dai campi di gioco per una contusione al ginocchio. Nel Regno Unito un inconveniente del genere è eliminato con una estirpazione di cartilagine e ogni anno sono parecchi i giocatori di cartello che subiscono questa operazione che nella grandissima parte dei casi ridà la primitiva attitudine. E poiché l’operazione su Alberti, fatta da un valente chirurgo genovese, assai benemerito anche nel campo dello sport, è riuscita dal lato chirurgico ottimamente, si spera che il suo caso rientrerà nella grande maggioranza e che il foot-ball italiano potrà contare su un valentissimo giocatore in più». Più precisamente, fu il Genoa a poter contare sul “valentissimo giocatore”. Come segno di gratitudine per esser stato restituito al calcio, Alberti confermò di voler onorare il tesseramento del Genoa. Il 19 ottobre 1924, terza giornata di campionato, venne salutato il suo nuovo debutto in Genoa-Hellas Verona. Non fu affatto una stagione interlocutoria, quel 1924-25. Il campionato volle che proprio Genoa e Bologna, le sue due squadre del destino, si trovassero a lottare fino all’ultimo per la conquista del Torneo di Lega Nord, il titolo che dava accesso alla finalissima scudetto contro la vincente della Lega Sud. Per aggiudicare il primato settentrionale servirono cinque partite, la quarta delle quali passò alla storia per i colpi di rivoltella partiti da un gruppo di tifosi bolognesi verso un vagone di genoani che stava ripartendo dalla stazione di Porta Nuova a Torino. Al primo incontro, vinto dal Genoa in trasferta, era stato proprio Alberti ad aprire le marcature, inaugurando anche quella sterminata letteratura chiamata “gol dell’ex”. A quell’epoca infatti non era ancora accaduto che un giocatore simbolo di una squadra venisse ceduto a una diretta rivale, e che con la nuova maglia segnasse proprio ai vecchi compagni. L’episodio, chiaramente, non passò inosservato. Testimone del parapiglia che seguì la fine della partita era Enrico Sabattini, un direttore generale ante litteram del Bologna: «Alcuni scalmanati bolognesi inscenarono una dimostrazione ostile (a base di grida “traditore!”) contro il buon “Mimmo”[soprannome di Alberti, nda], reo null’altro che di aver compiuto il suo dovere di calciatore. Ma alla sera stessa, auspice Arpinati, proprio nella vecchia trattoria gestita dalla famiglia Alberti in via degli Usberti ci fu un incontro chiarificatore che dissipò tutte le nubi e i giocatori petroniani espressero all’ex compagno di squadra tutta la loro stima e la loro inalterata amicizia». L’anno seguente era ancora tra le file del Genoa. La sua forma ritrovata lo rese protagonista assoluto del campionato del Grifone, con otto reti in undici presenze. Ma la notte tra il 13 e il 14 marzo 1926, alla vigilia di Genoa-Livorno, il destino si ricordò di lui. Tutto iniziò con un battere di denti inspiegabile, febbre improvvisa e un dolore lancinante all’addome. Alle 4 del mattino Alberti non c’era più. Si parlò di intossicazione alimentare, forse un avvelenamento da cozze avariate. A 21 anni moriva così uno dei più grandi attaccanti d’inizio anni Venti, trascinato da una maledizione che alla stessa età aveva colpito il fratello. Oggi riposa in Certosa, nella sua Bologna madre e matrigna, nel Chiostro IX sotterraneo, al loculo 4, ordine 87.