Il Maradona di Budapest
Lajos Détári (1963-)
Al Bologna dal 1990 al 1992; 49 presenze ufficiali.
Esordio in campionato: 9-9-1990, Bologna-Pisa 0-1
I piedi potevano sembrare quelli di Roberto Baggio. Ma il cervello era indubbiamente di Lajos Détári, uno che arrivava a sbagliare un gol di proposito, se l’umore del momento glielo suggeriva. Dal 1990 al 1992 i bolognesi seppero familiarizzare coi suoi capricci, le sue smargiassate, i suoi imprevedibili colpi di classe. «Amico, quando tocco pallone quella è musica che tu mai sentito», disse l’ungherese presentandosi a Bologna, dopo esser stato ingaggiato per cinque miliardi dai greci dell’Olympiacos ed esser stato scartato a un provino del Barcellona, del Milan e della Juventus (Agnelli optò saggiamente per Roberto Baggio, condendo il rifiuto con la celebre frase: «Se lui è il nuovo Platini, io sono Sophia Loren»). Détári non amava risparmiare né il denaro né il talento. E ci teneva a farlo sapere, a bordo della sua Jaguar verde, con cui era capace di fare tirate dirette tra Budapest e Bologna. «Tu guarda mio piede: in mio piede ci cantano uccelli», altro motto leggendario dal catalogo della sua inesauribile autostima. Solo che nemmeno il canto di quegli usignoli servì a salvare il Bologna dalla serie B nel 1990-91, e a stento riuscì a evitare la C l’anno successivo. Ciononostante, di quegli anni incerti Détári rimase un simbolo, nonché uno degli stranieri più amati per la sua istintiva sprezzatura delle difficoltà tecniche. Era arrivato come un messia, con tre scudetti e altrettanti titoli di capocannoniere d’Ungheria. Nel 1986 aveva fatto parlare di sé per una formidabile vittoria per 3-0 tra Ungheria e Brasile. Un gol e un assist erano stati estratti dal suo cilindro. Dribblava qualsiasi cosa gli si parasse davanti, anche i divieti imposti dagli allenatori o dalla società. Quando fu deciso il silenzio stampa, si presentò davanti ai microfoni dicendo: «Prima parlo io, poi silenzio stampa». Non c’era un giornalista che non aspettasse le sue parole meno febbrilmente delle sue giocate. Nel febbraio 1992 il caso che lo rese famoso in tutta Italia: «Ho sbagliato un gol apposta», confessò Détári all’indomani della vittoria sul Messina. Era vero o era solo una boutade per sfogarsi contro i compagni, ritenuti incapaci di capirlo? Per la federazione ce n’era abbastanza per un deferimento. Anni dopo Détári stesso tornò sull’episodio, smentendo e ritrattando definitivamente: «Vorrei chiarire una volta per tutte: non ho mai detto che avevo sbagliato apposta. Forse qualcuno voleva fare uno scoop». O forse, più realisticamente, Détári non si riteneva più adatto alla serie B. Di nuovo vicino alla Juventus, e di nuovo scartato, si accasò all’Ancona, con cui inaugurò lo stadio del Conero alla sua maniera: due gol e un assist illuminante in un 3-0 contro l’Inter. Tolta una breve parentesi al Genoa, l’Italia non ebbe più niente da dire a Détári e viceversa. Indolente e geniale, trovò forza e motivazioni per spingere la sua carriera fino agli anni Duemila nelle serie minori ungheresi. E poi, quasi senza accorgersene, è approdato alla panchina, sempre irrequieto come un tempo se non di più: solo nel 2004 ha allenato quattro club diversi; a tre si è fermato invece nel 2008. Difficile trovar pace su una panchina dopo averla sempre accuratamente evitata da calciatore.