Un ginocchio per la patria
Franco Liguori (1946-)
Al Bologna dal 1970 al 1973; 40 presenze ufficiali.
Esordio in campionato: 27-9-1970, Bologna-Vicenza 3-0
Poteva e doveva diventare uno dei più forti centrocampisti del campionato italiano. Un prescelto. Ma il destino gli mise davanti uno dei difensori più duri di quell’epoca. Il prima e il dopo, nella vita di Franco Liguori, cresciuto nella Ternana e poi acquistato dal Bologna nel 1970, ha una data e un luogo precisi: il 10 gennaio 1971, allo stadio San Siro. In casa del Milan, capolista, si gioca subito all’arma bianca. È il quindicesimo del primo tempo, la palla contesa sembra favorire Liguori, ma Romeo Benetti entra in vistoso ritardo sul suo ginocchio. È un colpo micidiale, «un fallo da codice penale» dirà il tecnico rossoblù Edmondo Fabbri. Chi è allo stadio, quel giorno, sente distintamente l’urlo terrificante di Liguori che non ha nemmeno modo di accorgersi, intontito dal dolore, che l’arbitro gli ha persino fischiato il fallo di simulazione. Le condizioni della sua articolazione destra appaiono subito disperate: la prima diagnosi parla di lesione del legamento collaterale mediale, lesione del menisco, lesione dei due legamenti crociati e della capsula posteriore. Un massacro. Cominciò quel giorno uno snervante andirivieni per cliniche specializzate, nella speranza di salvare la carriera. Operato due volte a Lione, Liguori tornò in campo il 16 gennaio 1972, a quasi un anno esatto dall’incidente. Per l’occasione, i giornali cercarono invano di strappare a Benetti una parola di pentimento, ma non ci riuscirono: «Sono contento di questo ritorno», si limitò a dire il milanista, «io personalmente non gli ho mai serbato rancore per la campagna denigratoria scatenata contro di me in seguito a quel disgraziato incidente. Porgo a Liguori i miei migliori auguri». In realtà, un vero ritorno non ci sarebbe mai stato. In quella stagione Liguori giocò solo quattro partite, poi altre sette nel 1972-73. Il trasferimento a Foggia, in serie B, fu come un addio anticipato al mondo del calcio. A soli trent’anni il congedo definitivo di un campione mai sbocciato, travolto da una fatalità più grande di lui. Quel che il campo gli aveva tolto, Liguori cercò di riprenderselo in panchina. La carriera di allenatore sembrava una conseguenza naturale, per certi versi risarcitoria. Cominciò guidando l’Elettrocarbonium Narni, poi passò alla Ternana come viceallenatore, in attesa di conseguire il patentino a Coverciano. La prima chiamata, non casuale, fu quella del Bologna nella primavera del 1982. Liguori ebbe troppa fretta di regolare i conti con il passato e non riuscì a intuire che dietro quell’offerta si nascondeva un’altra insidia, quella della retrocessione. Mise la sua firma sulla prima storica caduta in serie B, anche se le colpe non erano tutte sue. Quel marchio condizionò il suo avvenire: ripartì nel 1983 dal Benevento in serie C1, poi, sempre ai margini dei grandi palcoscenici, guidò Sanbenedettese, Cavese, Cosenza, Casertana, Torres, Palermo, Monopoli e ancora la Ternana, un giro infinito e avaro di soddisfazioni, sempre fatalmente condizionato da quel maledetto 10 gennaio.