Arbiter elegantiae

Alfredo Pitto (1906-1976)

Al Bologna dal 1927 al 1931; 106 presenze ufficiali.

Esordio in campionato: 25-9-1927, Bologna-Pro Patria 1-1

Alfredo Pitto mosse i primi passi da calciatore nelle settimane in cui a Livorno prendeva vita il Partito Comunista Italiano. Già nel 1921 il futuro jolly di centrocampo della Nazionale si faceva riconoscere per una vezzosa fascia bianca che gli cingeva la fronte, un’abitudine che avrebbe mantenuto anche nei suoi quattro anni in rossoblù. Chi era Pitto? Di sicuro un calciatore fortissimo, molto amato nella sua Livorno, soprattutto dopo l’insperato terzo posto ottenuto nel girone A di Prima Divisione 1923-24. Lo stile elegante che mostrava in campo era lo stesso che esprimeva nella vita di tutti i giorni. Si diceva amasse la bella vita (e chi non la ama?), ma in fondo il suo gusto convergeva essenzialmente nell’abbigliamento: ottime cravatte, completi alla moda, cappelli ricercati. Si poteva scambiarlo tranquillamente per un attore. Un tipo così impiegò poco per diventare una bandiera del calcio livornese. Si diceva anche che corresse i cento metri in undici secondi e due decimi, retaggio della sua formazione nell’atletica leggera. Ma dopo cinque anni di prodezze e di corse sfrenate, cominciarono a farsi vivi molti club di serie A. Il Bologna di Hermann Felsner usò gli argomenti più convincenti. Era nato in quegli anni uno squadrone spietato e veloce, destinato a imporsi per una rivoluzionaria interpretazione del calcio, una via di mezzo tra i dettami inglesi e l’approccio danubiano. Quando nell’estate del 1927 a Livorno si sparse la voce che Pitto sarebbe potuto partire, si scatenò una mezza insurrezione. I tifosi riuscirono a sospendere temporaneamente la cessione e organizzarono un’assemblea pubblica al Cinema Margherita. Per la prima volta in Italia una notizia di calciomercato aveva generato un movimento d’opinione. La riunione fu animata: nel frastuono di proposte, si decise alla fine di raccogliere denaro da offrire al Livorno per resistere all’offerta rossoblù. Il cesto fece più volte il giro della sala, ma con gran sorpresa fu svuotato con appena due lire. Pitto aveva il destino segnato. L’azionariato popolare, nel calcio italiano, non avrebbe mai raccolto grandi consensi. La velocità del livornese servì subito a colmare il vuoto lasciato dallo sfortunato Alberto Giordani, morto l’8 novembre 1927 di meningite fulminante. Il campionato 1927-28, che prevedeva due gironi interregionali da 11 squadre ciascuno, di cui le prime quattro classificate accedevano a un nuovo campionato a otto squadre, fu la prova generale dello scudetto rossoblù dell’anno successivo. Il Bologna si piazzò di slancio al primo posto nel girone interregionale, davanti a Juventus, Internazionale e Casale, ma arrivò solamente quinto nel pur equilibratissimo minitorneo finale, vinto dal Torino del futuro allenatore rossoblù Tony Cargnelli. Pitto dimostrò comunque che tempi migliori erano imminenti. L’anno dopo fu tra le colonne indiscusse del secondo titolo del Bologna e uno dei protagonisti del tour sudamericano che impegnò gli uomini di Felsner nell’estate 1929. Per ammazzare il tempo, nell’interminabile viaggio transoceanico, Pitto era stato coinvolto anche in un concorso di eleganza che lo vide arrivare in finale con Gastone Baldi, detto “il centromediano in frac” per il suo atteggiamento compassato. Quattro stagioni consecutive si susseguirono nel segno delle corse di Pitto. Nell’estate 1931 raggiunse il suo mentore Hermann Felsner alla Fiorentina, formando con il centravanti uruguaiano Pedro Petrone una coppia di trascinatori che valse alla neonata squadra viola un quarto e un quinto posto. Dopo un interludio di tre anni all’Inter, nel 1936 Pitto si sdebitò con il pubblico della sua città decidendo di tornare a Livorno. Il ritorno tardivo del figliol prodigo, a quasi dieci anni di distanza, valse agli amaranto la promozione in serie A. Con quell’annata e quell’ultimo successo, ogni rancore era dissolto per sempre.