L’ultima corsa del terzino

Dino Fiorini (1915-1944)

Al Bologna dal 1933 al 1943; 187 presenze ufficiali.

Esordio in campionato: 11-6-1933, Pro Patria-Bologna 3-3

Uno dei più grandi calciatori della storia del Bologna sparito nel nulla. Ucciso, senza colpevoli, senza testimoni. La morte di Dino Fiorini, in piena guerra civile tra repubblichini e partigiani, è ancor oggi il più grande mistero legato ai colori rossoblù. Tanto più inspiegabile quanto più si pensa alla carriera e alla notorietà del primo esempio di calciatore-star dell’epoca. Bello d’aspetto, fortissimo in campo, abbastanza scavezzacollo da assurgere al ruolo di atleta-maledetto, Fiorini era nato a San Giorgio di Piano nel 1915, e a 17 anni figurava già nell’organico rossoblù, pronto a rilevare il posto di Monzeglio. Fu Árpád Weisz a valorizzarne il talento e a tratteggiarne un ritratto quantomai veritiero: «Naviga con scrupoli di coscienza tra Scilla e Cariddi, tra dovere e piacere. Copre i cento metri in undici secondi, salta in alto e in lungo come uno specialista e quando spicca il volo per prendere un pallone alto par di vedere una scultura, talmente meraviglioso e perfetto è il suo stile». Perfetto, ma impossibile da imbrigliare dentro le regole. Nel corso della sua carriera litigò con tutti: con il commissario tecnico della Nazionale, Vittorio Pozzo, che non a caso gli fece assaggiare solo tre presenze con l’Italia B; con l’allenatore Hermann Felsner, dal quale fu diviso un attimo prima di venire alle mani; con il campione Meazza, al quale Fiorini disse prima di una partita: «Vede questo pallone? Lo guardi bene adesso perché dopo non lo vedrà più». Possedeva una splendida moto Guzzi nera ed era diventato uno dei primi calciatori testimonial di prodotti cosmetici (la brillantina Bourjois). Inutile sottolineare che fosse anche l’idolo di un folto pubblico femminile, al quale evidentemente guardava tutt’altro che disinteressato. A vent’anni, però, aveva già avuto una bambina con quella che sarebbe diventata sua moglie, e madre di altri due gemelli, Franco e Franca. Fu lei a riaprire il caso della scomparsa di Fiorini nel 1949, cinque anni dopo la sua effettiva uccisione. La sera del 2 settembre 1944, indossando l’uniforme della Guardia Nazionale Repubblicana, cui aveva aderito di slancio dopo la caduta di Mussolini, caricò sulla sua moto l’amico di una vita, il sangiorgese Angelo Ferrari, partigiano attivo. Arrivarono a Bologna e dormirono nella casa di Fiorini, con l’intento di raggiungere Monterenzio il giorno seguente, una domenica. Furono visti partire, ma mai più tornare. Cos’era successo a quei due uomini divisi da schieramenti opposti, ma uniti da una lunghissima amicizia? Le ipotesi restano aperte da allora. La prima, che iniziò a circolare subito, insinuava che Fiorini fosse stato catturato e giustiziato da un gruppo di partigiani. Ma se così fosse, non si spiegherebbe perché anche il partigiano Ferrari abbia fatto la stessa fine. Fu la moglie Italia Fiorini a suggerire un’altra versione: Ferrari stava conducendo Fiorini a un appuntamento segreto con Mario Musolesi, il comandante Lupo; ma non ci arrivò mai, perché sarebbe stato raggiunto dai fascisti che erano venuti a conoscenza del doppio gioco del calciatore. Con questa ipotesi, anche la scomparsa di Ferrari (e del suo cadavere) troverebbe una collocazione razionale. Terza e ultima possibilità: Fiorini sarebbe stato ucciso per un delitto d’onore da un marito geloso, forse un marito troppo potente per sopportare l’onta del tradimento. Ferrari, secondo questa ipotesi, sarebbe stato ucciso a sua volta per non diventare uno scomodo testimone. Quale che sia la reale ricostruzione, settantasei anni non sono ancora bastati per trovare il corpo, il movente e soprattutto i colpevoli. Di Fiorini restano invece sicure le prodezze sul campo, sparse in undici stagioni con 187 presenze ufficiali. Mise la firma su quattro scudetti su sette del Bologna, sulla Coppa Mitropa e sul Torneo Internazionale dell’Esposizione di Parigi. E questo basta, al di là dei misteri sulla sua tragica fine, a renderlo immortale.